Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 novembre 2017, n. 5283. L’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l’abuso

[….segue pagina antecedente]

2.2.- A fronte di tali produzioni documentali, l’amministrazione non ha fornito alcuna prova contraria da cui desumere la posteriorità del manufatto al 1942 e che il corpo di fabbrica individuato nell’aerofotogrammetria del 1934 sia diverso per caratteristiche planivolumetriche rispetto a quello oggi in contestazione. Non è a tal fine sufficiente rilevare il mancato accatastamento nella planimetria del 1939, in quanto tale circostanza avrebbe potuto al più concorrere, quale mero elemento indiziario, con altri elementi di prova al fine di dimostrare le reali consistenze dell’immobile.
2.3.- L’eccezione di inammissibilità del deposito delle aerofotogrammetrie del 1934, per violazione dell’art. 104, secondo comma, c.p.a., non può essere accolta.
In termini generali, il principio del divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova riguarda anche le prove precostituite, quali i documenti, la cui produzione dunque è subordinata, alla pari delle prove costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità, la quale peraltro non va intesa come mera rilevanza dei fatti dedotti, ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. III, 27 giugno 2017, n. 3142).
Sennonché, nel caso di specie, il nuovo mezzo di prova è senza dubbio ammissibile, in quanto i citati documenti non sono semplicemente “rilevanti” ai fini del decidere, bensì appaiono dotati di quella speciale efficacia dimostrativa che si traduce nella capacità di fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale, conducendo ad un esito, per così dire, “necessario” della controversia.
2.4.- In conclusione, dalla preesistenza del manufatto al 1934, consegue che lo stesso non soggiace ad alcun regime autorizzatorio. E’ dunque erroneo il capo della sentenza di primo grado che ha concluso nel senso dell’abusività del manufatto in muratura. L’intervento di demolizione e ricostruzione, avente ad oggetto un preesistente e legittimo volume coperto, era soggetto al regime della SCIA. La sua realizzazione in assenza o difformità della segnalazione di inizio attività, avrebbe potuto comportare l’applicazione della sola sanzione pecuniaria.
3.- Anche il capo della sentenza relativo allo stenditoio è erronea.
3.1.- Nella SCIA presentata dagli odierni appellati al Comune di Roma si fa espresso riferimento alla “realizzazione di stenditoio con copertura in legno”. La difformità consistente nella mera diversa collocazione dello stesso rispetto al progetto originario, anche in tal caso avrebbe potuto dare luogo soltanto a sanzione pecuniaria, e non all’ingiunzione della demolizione dell’opera.
3.2.- Anche ove ricondotto tipologicamente nel novero delle “tettoie”, la conclusione sull’intervento edilizio in esame non sarebbe diversa. Il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una tettoria è necessario infatti solo quando, per le sue caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad alterare la sagoma dell’edificio (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 febbraio 2017, n. 694). L’installazione della tettoia è invece sottratta al regime del permesso di costruire ove la sua conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo e protezione dell’immobile cui accedono (Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo 2014 n. 1272).
Nel caso di specie, il manufatto non modifica la sagoma ed il prospetto dell’edificio: si tratta infatti di una struttura aperta sui tre lati (che quindi non costituisce ampliamento, volumetria e nuova superficie), posta a servizio del fabbricato sulla cui parete esterna si appoggia, priva di autonoma destinazione e di ridotte dimensioni (metri 2,05 x 6,40 ed altezza variabile da metri 2,85 a 3,00). Di conseguenza, conservando il terrazzo la propria identità e rimanendo comunque esistente nella sua superficie originaria, non può certamente affermarsi che l’avvenuta parziale copertura con una tettoia, abbia trasformato il preesistente organismo edilizio.
4.- L’ulteriore censura, articolata con i motivi aggiunti – con i quali è stato eccepito il difetto di motivazione in ordine alla decisione di Roma Capitale di non irrogare la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, in violazione degli artt. 33, comma 4, e 37, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 – può essere assorbita, dal momento che gli appellanti, con l’accertamento delle illegittimità sopra scrutinate, hanno conseguito la massima utilità sostanziale conseguibile nel giudizio.
5.- Le spese di lite del doppio grado di giudizio devono essere interamente compensate tra le parti, attesa la particolare difficoltà di ricostruzione storica dei fatti rilevanti ai fini della decisione della presente controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 145 del 2017, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata:
– annulla gli atti impugnati;
– compensa interamente le spese di lite del doppio grado di giudizio;
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
Giordano Lamberti – Consigliere

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *