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Da qui il ricorso, a sostegno del quale i ricorrenti hanno dedotto che:
– “il motivo di diniego concernente l’asserita inottemperanza ad una richiesta di integrazione documentale, mirata alla rigorosa dimostrazione dell’originaria consistenza dell’edificio oggetto di ristrutturazione, è ultroneo dal momento che… non esiste altra documentazione rispetto a quella già prodotta a corredo dell’istanza di sanatoria e nel corso del procedimento”;
– “le direttive regionali (cfr. punti 7.3 e 7.8 della Nota Tecnica esplicativa della Circolare del Presidente della Giunta Regionale n. 7/LAP) sono nel senso della possibilità di intervenire in zona IIIb2 con una certa ampiezza, a patto che si realizzino determinati interventi atti a scongiurare situazioni di pericolo”, interventi, peraltro, già posti in essere, ma non considerati dall’Amministrazione nel motivare il provvedimento di diniego;
– “il paragrafo 1.3.4. delle Norme Tecniche di Attuazione di carattere geologico del PRGC adottato con deliberazione consiliare in data 25 settembre 2008 prevede esplicitamente la ristrutturazione edilizia senza alcuna ulteriore limitazione, anche a condizione della dimostrazione di cautele concomitanti con l’intervento edilizio”. Tale norma, seppur solo adottata, era da ritenersi già vigente ai sensi dell’art. 85, comma 5, L.R. Piemonte n. 56/1977;
– “l’art. 69 del R.E.C. collide, nella sua assolutezza, con le Norme Tecniche di Attuazione di carattere geologico di PRG (indicate al punto precedente), che consentono la ristrutturazione edilizia (e quindi anche il ripristino) ed il cambio di destinazione d’uso, previa adozione di determinate cautele e di determinati interventi, nonché con il su riportato art. 7.8 della Norma Tecnica Esplicativa della Circolare 7/LAP”;
– “il manufatto preesistente era dimensionalmente superiore rispetto alle risultanze della scheda catastale di riferimento (Va.)”, conseguendone che la realtà dei fatti smentisce l’asserita valenza probatoria di tale scheda, senza tralasciare, peraltro, di considerare altri elementi, quali la conformità delle preesistenze dimensionali alla rappresentazione progettuale, le esigue differenze quanti-qualitative riscontrate e la circostanza che le murature interne erano apparse “originarie e prive di modifiche sostanziali di cui agli interventi edilizi che hanno interessato il fabbricato dal 2007 ad oggi”.
Ritengono, in sostanza, i ricorrenti che nell’area in cui è ubicato il fabbricato siano possibili ristrutturazioni, senza alcuna restrizione, e cambio di destinazione d’uso, a patto che venga mitigato il rischio.
A tal proposito rappresentano, peraltro, d’aver già proceduto a mettere in sicurezza tutto il sito mediante l’esecuzione di un esteso muro di contenimento e sostegno, oltre una fitta palificata, con relative opere di collegamento, a tutela della costruzione in sé stessa, e che tali interventi sono stati riconosciuti dalla stessa Amministrazione comunale come idonei ad escludere il pericolo (sopralluogo in data 25 marzo 2009), conseguendone che qualora, successivamente, li avesse ritenuti motivatamente inadeguati, avrebbe dovuto individuare gli interventi idonei allo scopo e segnalarlo agli istanti.
A loro avviso, nulla avrebbe dovuto, conseguentemente, ostare alla sanatoria richiesta, atteso – tra l’altro – che non è necessario che il ricostruito sia rigorosamente conforme alla preesistenza, stante l’eliminazione del requisito della “fedeltà” della ricostruzione da parte della novella di cui al D.Lgs. n. 301/2002.
Tale prospettazione va condivisa, per le ragioni di seguito evidenziate.
L’istituto della sanatoria edilizia trova compiuta disciplina all’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il quale dispone che il permesso in sanatoria può essere ottenuto “se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
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