Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 4 gennaio 2018, n. 50. L’errore revocatorio, oltre ad apparire immediatamente rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche, non va confuso con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice

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In sintesi, l’errore revocatorio, oltre ad apparire immediatamente rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006), non va confuso con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice e non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2015, n. 5657; id., 12 gennaio 2017, n. 1296; id., 6 aprile 2017, n. 1610; id., 21 agosto 2017, n. 4047).
Siffatta confusione tra errore revocatorio ed errore di giudizio si rinviene appunto nel caso di specie, per le ragioni di cui appresso.
8. Il fatto, o meglio la questione, del livello dirigenziale del Capo Settore e della sua equiparazione o meno al livello del Direttore di Direzione Operativa ha costituito punto controverso sul quale si sono pronunciati sia i giudici del giudizio concluso con la sentenza n. 690/2015, sia i giudici del presente giudizio, per come esplicitato nella memoria di parte resistente.
Non vale obiettare, come fa il ricorrente, che, allo scopo, nelle precedenti sentenze non fosse stato speso esattamente lo stesso argomento – relativo al rapporto tra i preesistenti Settori e le Direzioni Operative di nuova istituzione – utilizzato nella sentenza qui impugnata. Ed invero, l’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., nel riferirsi al fatto che “non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”, non ha riguardo alle argomentazioni utilizzate dal giudice per supportare le conclusioni raggiunte su un determinato punto controverso, bensì alla questione giuridica che ne costituì oggetto ed al fatto od ai fatti decisivi sui quali sia caduto l’errore di percezione.
8.1. Quanto appena detto dimostra che la questione posta dal ricorrente relativamente all’affermazione della sentenza sopra riportata sub d) è puramente interpretativa delle risultanze processuali e non dipende affatto da un’errata lettura dei documenti (specificamente, gli organigrammi su cui è basato il ricorso) procurata da un abbaglio dei sensi o da una svista del giudice, presupponendo anzi la valutazione di dette risultanze.
Come nota il resistente, questa conclusione è confermata dall’affermazione del ricorrente secondo cui il giudice d’appello avrebbe basato il proprio ragionamento confondendo Settore con Servizio, non certo perché si sarebbe basato sulla lettura di un organigramma piuttosto che di un altro – come sostiene il ricorrente, senza che di ciò si abbia alcun riscontro in atti – ma perché detta equiparazione risulta essere l’approdo di valutazioni che, pur non esplicitate in sentenza, presuppongono l’esame critico di detti organigrammi.
8.2. Ulteriore e definitiva conferma dell’estraneità delle censure del Comune di Piacenza all’ambito operativo dell’istituto della revocazione si rinviene nelle considerazioni finali del ricorso.
Queste sono volte a ribadire che la commissione, nel rivalutare il possesso del requisito di esperienza in capo al dott. Mo., non avrebbe compiuto un giudizio di equivalenza funzionale di carattere discrezionale, ma avrebbe operato correttamente prendendo atto della parità di livello dirigenziale tra Dirigente di Settore e Dirigente di Direzione Operativa.
Così argomentando, il ricorrente torna a censurare, non solo il procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ma addirittura la ratio decidendi del giudizio di illegittimità dell’operato della commissione di concorso espresso nella sentenza impugnata, andando ben oltre i limiti del rimedio della revocazione.
Il ricorso è perciò inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore del resistente, nell’importo complessivo di E. 5,000,00 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere, Estensore

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