La possibilità di impugnare la cartella, nonché la pendenza dei termini a tal fine fissati, non pone in discussione la definitività della sottostante violazione tributaria, la quale risulta accertata attraverso la stessa emanazione della cartella.

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[…]

1. La vicenda verte sulla sussistenza di una causa ostativa alla partecipazione alla gara oggetto del presente giudizio, ai sensi dell’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, segnatamente per presenza di un debito tributario.
La norma, in effetti, stabilisce: “un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”.
Questi, sinteticamente i fatti che hanno indotto la stazione appaltante a ravvisare l’esistenza del debito tributario in capo all’odierna impresa appellante:
– nel Documento di Gara unico Europeo in data 12 ottobre 2016, il legale rappresentante della società appellante ha dichiarato “l’insussistenza di violazioni definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse”;
– nella fase di verifica sulle dichiarazioni di gara, in data 20 dicembre 2016, Co. ha ricevuto dall’Agenzia delle entrate un certificato attestante un debito tributario definitivamente accertato a carico della Eg. Ev. e risalente al 2011, pari ad euro 25.864,84 per l’errato pagamento di un’imposta di registro nel 2009;
– è risultato che l’appellante aveva contestato il debito con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano, respinto con sentenza definitiva n. 23 luglio 2014, n. 6970/41/14;
– in particolare, l’avviso di rettifica e liquidazione del 2011 era dovuto ad errato pagamento dell’imposta di registro a seguito di un atto di cessione del ramo d’azienda del 2009, comprensivo di sanzione e accessori;
– la stessa appellante aveva richiesto in data 31 gennaio 2012 di poter definire la lite ai sensi dell’art. 39, comma 12 d.-l. n. 216 del 2011 tramite il pagamento di una somma determinata ai sensi dell’art. 1 l. 289 del 2002 (c.d. “domanda di definizione di lite fiscale pendente”);
– con nota prot. n. 2323331 dell’11 ottobre 2012, l’Agenzia delle entrate ha comunicato alla controparte il diniego della domanda di definizione della lite, in quanto “non sarebbe stata individuata alcuna lite fiscale pendente correlata ai dati riportati nella menzionata domanda di definizione”;
– la Eg. Ev. ha adito la competente Commissione Tributaria Provinciale di Milano proprio avverso il predetto diniego e contro l’avviso di rettifica del 2011;
– la citata sentenza della CTP 23 luglio 2014, n. 6970/41/14 ha rigettato il ricorso evidenziando come il termine per impugnare l’avviso di rettifica del 2011 fosse “abbondantemente scaduto”.
– la sentenza della CTP di Milano mai è stata impugnata e, di conseguenza, l’accertamento contenuto nell’avviso di rettifica del 2011 è da considerarsi definitivo;
– a seguito di detta sentenza, Eq. ha notificato all’appellante la cartella di pagamento n. 06820150091355571 per l’importo di euro 27.217,06;
– la stazione appaltante ha escluso il RTI appellante, con atto del 25 gennaio 2017 ai sensi dell’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, dalla gara per l’aggiudicazione dei lotti nn. 2 e nn. 3, che sono stati aggiudicati agli odierni controinteressati in appello con provvedimenti del 7 febbraio 2017 e del 3 marzo 2017.
2. Con il primo motivo di appello, l’appellante sostiene che la sentenza avrebbe ritenuto erroneamente autosufficiente, ai fini dell’accertamento della presunta condizione di irregolarità tributaria in capo all’appellante, la mera esistenza del certificato rilasciato dall’Agenzia delle entrate in data 20 dicembre 2016.
Il Collegio ritiene che la sentenza abbia bene esaminato gli assunti dell’attuale appellante, riproposti qui in appello e bene li abbia disattese. Infatti, sono stati presi in considerazione tuti i successivi atti della vicenda tributaria e, in particolare:
– l’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro del 21 luglio 2011 e le conseguenti cartelle esattoriali del 2015 e del 2017;
– l’istanza di agevolazione della lite ex art. 39, comma 12, d.-l. n. 216 del 2011 presenta dall’appellante il 31 gennaio 2012 e la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate di mancato accoglimento della domanda;
– la sentenza n. 6970/41/2014 della CTP di Milano che ha rigettato per tardività il ricorso promosso da Eg. Ev. avverso l’avviso di rettifica e liquidazione;
– l’istanza di sospensione legale della riscossione ai sensi dell’art. 1, commi 537-543 della legge n. 228-2012 presentata dall’appellante il 5 novembre 2015 all’agente della riscossione e la nota di riscontro di Eq. del 2 dicembre 2015;
– l’atto con cui controparte ha chiesto ad Eq., il 24 gennaio 2017, la rottamazione del ruolo di cui all’art. 6 d.-l. n. 193 del 2016;
– il ricorso promosso da Eg. presso la CTP di Milano avverso la cartella esattoriale n. 06820179001245104000 del 13 gennaio 2017.
3. Con il secondo motivo d’appello, collegato al primo, si contesta nella sostanza la ritenuta definitività degli atti posti a fondamento del Certificato rilasciato dall’Agenzia delle entrate “per mancata impugnazione tempestiva dinanzi al giudice tributario”, visti i successivi atti della vicenda tributaria.
In realtà, come detto, la citata sentenza della CTP 23 luglio 2014, n. 6970/41/14 ha rigettato il ricorso evidenziando come il termine per impugnare l’avviso di rettifica del 2011 fosse “abbondantemente scaduto”: detta sentenza mai è stata impugnata, sicché l’accertamento contenuto nell’avviso di rettifica del 2011 è definitivo. La sentenza, non impugnata, ha accertato definitivamente la sussistenza del debito fiscale di 20.973,68 euro relativo all’errato pagamento dell’imposta di registro sull’atto di cessione di ramo d’azienda del 2009.
Infatti, a seguito di detta sentenza, Eq. ha notificato all’appellante la cartella di pagamento n. 06820150091355571 per l’importo di euro 27.217,06.
Infatti, per giurisprudenza costante e pacifica, la regolarità fiscale delle imprese partecipanti ad appalti pubblici sussiste quando, alternativamente, a carico dell’impresa non risultino contestate violazioni tributarie mediante atti ormai definitivi per decorso del termine di impugnazione ovvero, in caso d’impugnazione, la relativa pronuncia giurisdizionale sia passata in giudicato.
Pertanto, nel caso in cui l’atto di accertamento sia divenuto definitivo per l’infruttuoso decorso del termine di impugnazione oppure per passaggio in giudicato della sentenza, l’impresa che partecipi ad una procedura ad evidenza pubblica deve essere esclusa per il mancato rispetto del requisito della regolarità fiscale ex art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016.
4. Peraltro, come già accennato, a seguito del rigetto dell’impugnazione avanti al giudice tributario, promossa dall’odierna appellante, sono stati emanati gli atti di riscossione della violazione tributaria accertata nel 2011.
L’agente della riscossione Eq. ha provveduto a notificare alla Eg. Ev. la già citata cartella di pagamento n. 06820150091355571 di Euro 27.217,06, e, in data 13 gennaio 2017 ha notificato all’appellante un’intimazione di pagamento per l’importo di euro 28.949,18.
La Eg. Ev. ha reagito con ricorso tributario avverso l’intimazione di pagamento del 13 gennaio 2017, peraltro, rigettato con sentenza depositata il 30 maggio 2017, pur non ancora passata in giudicato.
Secondo l’appellante “anche in virtù della pendenza dei termini per impugnare la sentenza della CTP di Milano, avverso gli atti tributari dai quali è derivata l’ingiusta esclusione dell’appellante dalla gara, non sussiste, nella presente fattispecie, il requisito della definitività della violazione fiscale contestata e, quindi, anche sotto tale profilo, la sentenza gravata appare meritevole di essere riformata”.
L’assunto è destituito di fondamento.
Infatti, il giudizio avverso la cartella di pagamento (rectius: l’intimazione di Eq. del 2017) introduce una lite attinente alla fase della riscossione, ma non pregiudica la sussistenza del debito tributario sottostante. Infatti i tributi per quali è stata accertata l’inadempienza derivavano da atti non più soggetti a impugnazione e la cartella esattoriale può essere impugnata solo per vizi formali ad essa attinenti, ma non può più mettersi in discussione la debenza dei tributi ivi indicati perché sono iscritti a ruolo solo dopo la definitività degli stessi.
Infatti, la possibilità di impugnare la cartella, nonché la pendenza dei termini a tal fine fissati, non pone in discussione la definitività della sottostante violazione tributaria, la quale risulta accertata attraverso la stessa emanazione della cartella (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 10 agosto 2017, n. 3985).
Pertanto, la pendenza del giudizio tributario avverso la sola cartella di pagamento non integra la fattispecie della non definitività dell’accertamento tributario, come anche correttamente rilevato dalla sentenza impugnata.
Nemmeno si può ritenere, per gli stessi motivi, che la pendenza della procedura di sospensione legale della riscossione della cartella esattoriale del 2015, ex art. 1, commi 537-543 l. n. 228 del 2012 (peraltro, mai perfezionatasi) possa incidere sulla definitività della violazione.
5. Infine, non ha rilievo l’istanza di “rottamazione del ruolo” ex art. 6 d.-l. n. 193 del 2016, presentata dall’interessata in data 23 gennaio 2017 all’Agenzia delle entrate, con la quale si impegnava a pagare il debito maturato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate di cui alla cartella di pagamento 06820150091355571 del 2015 in cinque rate.
Al riguardo, l’art. 80 d.lgs. n. 50-2016 stabilisce che la causa di esclusione per irregolarità fiscali non si applica “purché il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande”; nel caso di specie, è evidente che la predetta istanza sia stata presentata oltre il termine di presentazione della domanda di partecipazione e a gara già conclusa, rendendola irrilevante ai fini della partecipazione alla gara.
6. Con il terzo motivo d’appello si contesta che l’ammontare complessivo del debito fiscale, anche considerato lo sgravio di 3.000 euro concesso dall’Agenzia delle Entrate il 17 febbraio 2017, fosse inferiore ad euro 10.000.
Al riguardo si deve osservare che l’art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016 dispone che “costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”.
L’art. 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973 quantifica la gravità della sanzione in 10.000 euro, precisando altresì come il debito debba derivare “dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo”.
Nel caso di specie, come detto, l’importo della cartella di pagamento n. 06820150091355571 del 2015 è di euro 27.217,06, mentre la successiva intimazione di pagamento del 2017 ammonta ad euro 28.949,18, somme evidentemente superiori al limite di euro 10.000,00 sopra richiamato.
Se pur si volesse considerare scomputato dal totale dell’imposta dovuta (pari ad euro 10.850,78) il quantum oggetto dello sgravio del 2017, in base all’istanza di “rottamazione del ruolo” ex art. 6 d.-l. n. 193 del 2016, l’importo del ruolo, comprensivo degli interessi maturati, delle sanzioni e degli aggi per la riscossione, supererebbe sempre il limite di € 10.000,00.
Peraltro, come ben osserva la sentenza appellata, anche a volersi ammettere che lo sgravio ottenuto dall’appellante abbia fatto venir meno la gravitàdella sanzione, il beneficio è maturato solo nel febbraio 2017 a gara già abbondantemente conclusa.
7. Infine, è infondato anche il quarto motivo di appello, con il quale si deduce che dopo la presentazione, da parte dell’appellante, della già citata istanza di sospensione della riscossione della cartella esattoriale del 2015 ex art. 1, commi 537-543 l. n. 228 del 2012, si sarebbero “prodotti gli effetti estintivi del debito tributario ingiustamente assunto come ancora esistente con l’emissione dell’intimazione di pagamento notificata all’appellante il 24 gennaio 2017”.
Il procedimento disciplinato dall’art. 1, commi 537-543 l. n. 228 del 2012 è così sintetizzabile:
– il debitore trasmette l’istanza all’Agente di riscossione;
– l’Agente della riscossione, a sua volta, la trasmette all’ente creditore;
– l’ente creditore ha l’onere di comunicare direttamente al debitore, entro 220 giorni, l’esito dell’istruttoria effettuata, dando altresì comunicazione al concessionario del provvedimento di sospensione o sgravio ovvero conferma della legittimità del debito iscritto a ruolo (comma 539);
– solo in caso di mancato invio, da parte dell’ente creditore al debitore, della comunicazione prevista dal comma 539 e trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore allo stesso concessionario della riscossione, le partite di cui al comma 537 sono annullate di diritto con automatico discarico dei relativi ruoli (comma 540).
Nel caso di specie, tuttavia, il procedimento non ha potuto compiersi secondo l’iter indicato dal legislatore, poiché l’istanza in data 5 novembre 2015 dell’attuale appellante è stata ritenuta incompleta; l’Agente della Riscossione, infatti, in data 2 dicembre 2015, ha sollecitato la Eg. Ev. a inviare l’istanza di sospensione secondo le modalità indicate e per il tramite di un modulo allegato e l’appellante non ha mai provveduto in tal senso.
Il mancato compimento degli essenziali passaggi procedimentali previsti dalla norma richiamata della L. n. 228 del 2015, per fatto documentatamente imputabile all’attuale appellante (mancato invio di un’istanza completa, in quanto carente del riferimento all’art. 76 della legge n. 445 del 2000, del documento di identità, della causale della richiesta di sospensione e dell’autorizzazione per la privacy ai sensi del d.lgs. n. 196 del 2003) ha comportato, evidentemente, il mancato perfezionamento della fattispecie estintiva prevista dall’art. 1, comma 540, della stessa legge del 2015 (cfr. nota dell’Agenzia delle Entrate febbraio 2017 inviata a Co., in atti – doc. n. 15 Co.).
8.Alla luce delle predette argomentazioni, l’appello va respinto in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta),
Definitivamente pronunciando sull’appello principale, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio, spese che liquida in euro 5.000,00, oltre accessori di legge, in favore di Co. e euro 5.000,00, oltre accessori di legge, in favore della Presidenza del Consiglio e dell’Agenzia delle entrate in solido tra loro.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

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