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Nel fare concreta applicazione di tali principi di ordine generale, il primo giudice ha innanzitutto evidenziato che non è configurabile l’assoggettamento di una strada vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale, anche laddove essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari o possa servire da collegamento con una via pubblica.
Inoltre, sempre rifacendosi alla giurisprudenza di questa Sezione, ha rilevato come l’esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non possa sorgere per meri fatti concludenti, ma presupponga un titolo idoneo a tal fine. In particolare, laddove – come nel caso in esame – la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone “un atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento) o l’intervento della usucapione ventennale, fermo restando che relativamente a quest’ultimo titolo di acquisto del diritto va preliminarmente accertata la riconosciuta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico” (in questi termini, espressamente, Cons. Stato, V, 1° dicembre 2003, n. 7831, peraltro impropriamente richiamato anche dall’appellante a sostegno delle proprie difese).
Alla luce degli atti di causa, il giudice di prime cure ha ritenuto – con argomentazione che si condivide – che nel caso di specie non sussistessero tali presupposti.
Invero, come del resto evidenziato nella relazione di verificazione disposta nel precedente grado di giudizio, “non sussistono le condizioni di palese uso pubblico della variante alla strada vicinale, nonostante la stessa sia inclusa nell’elenco comunale delle strade vicinali”, in quanto “il Comune non ha mai esercitato su tale strada i poteri di polizia, di regolamento della circolazione e dell’ordine, di controllo tecnico, di manutenzione, di apposizione della segnaletica prescritta e di rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni previste dal codice della strada. Inoltre l’uso della strada, anche per carenze strutturali, è sporadico e occasionale, limitato agli usi agricoli o a fini escursionistici”.
Tali circostanze di fatto, a rigore neppure oggetto di puntuale smentita da parte dell’appellante, appaiono del tutto coerenti con lo stato dei luoghi quale risultante dal materiale cartografico fotografico in atti, posto che la stessa vicinale di cui trattasi presenta una larghezza estremamente ridotta per una strada (tra m. 2,30 a m. 2,80), nonché un piano viabile sterrato “pressoché impraticabile in caso di piogge”. Inoltre, ad essere revocato in dubbio è lo stesso uso pubblico (seppur di mero fatto), attuale e pregresso, essendo l’utilizzo di tale transito limitato ai mezzi agricoli dei proprietari finitimi ed, al più, ad occasionali turisti. La stessa chiesa servita dalla vicinale, in passato forse officiata, da moltissimo tempo risulterebbe ridotta allo stato di rudere ed isolata.
Non può quindi considerarsi illogica la conclusione di cui alla sentenza, per cui non sussisterebbero, allo stato, i requisiti del “passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale” e della “concreta idoneità a soddisfare esigenze di generale interesse”, requisiti che la giurisprudenza consolidata considera imprescindibili al fine della connotazione di una strada come di uso pubblico.
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