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Oggetto dell’introduttivo ricorso, infatti, sono alcuni provvedimenti del Sindaco del Comune di (omissis), contestati dal Pi., diretti al ripristino della viabilità della strada vicinale denominata “di S. Ma. Su.” e per tali costituenti esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all.F, il quale configura una ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade sottoposte all’uso pubblico.
Al riguardo, il Collegio ritiene di doversi conformare al precedente di Cons. Stato, IV, 7 settembre 2006, n. 5209, dal che consegue che tutte le argomentazione sviluppate dalla parti per dare dimostrazione, con esiti contrapposti, della natura pubblica o privata della strada per cui è causa, sono estranee all’ambito giurisdizionale della presente controversia, che rimane circoscritto all’accertamento dell’uso pubblico di detta strada all’epoca dei provvedimenti in contestazione.
Dunque, poiché l’oggetto del presente giudizio concerne solamente la legittimità o meno dei provvedimenti impugnati, diretti a ripristinare il passaggio pubblico sulla strada vicinale in contestazione, mediante l’imposizione di un obbligo di facere in capo al Pi., sussiste la giurisdizione del giudice adito.
Invero, se è pacifico che il giudice amministrativo non ha giurisdizione per l’accertamento, in via principale, della natura vicinale, pubblica o privata, della strada in parola, ovvero della servitù pubblica di passaggio, essendo dette questioni devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, è anche vero che il medesimo giudice ben può (anzi, deve) valutare – incidenter tantum, ossia ai limitati fini del giudizio concernente la legittimità degli atti impugnati – la natura vicinale, pubblica o privata, del passaggio nella strada su cui si controverte, dal momento che tale questione costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo esame in via principale.
Ciò premesso sotto il profilo procedimentale, vanno adesso esaminate le questioni di merito dedotte dall’amministrazione appellante.
Circa la mancata considerazione della presunzione di demanialità, contestata nel secondo, articolato motivo di appello, va rilevato come il primo giudice si sia in realtà conformato al precedente della Sezione, 4 marzo 2010, n. 1266 – dal quale non v’è ragione di discostarsi, nel caso di specie – a mente del quale il requisito della servitù di uso pubblico, secondo consolidata giurisprudenza sussiste soltanto laddove “la strada vicinale possa essere percorsa indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di usi e con una pluralità di mezzi e conseguentemente il Comune possa introdurre alcune limitazioni al traffico, come per il resto della viabilità comunale”.
La medesima giurisprudenza precisa altresì che – salva l’ipotesi dell’immemorabile (questione affrontata nel terzo motivo di appello), il requisito dell’uso pubblico “insorge dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesantesi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere in occasione di convenzioni urbanistiche, di nuove edificazioni o di espropriazioni e tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto di uso della strada, palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica” (conforme, Cons. Stato, V, 9 giugno 2008, n. 2864).
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