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d) la situazione di inedificabilità prodotta dal vincolo è suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nell’art. 338, quinto comma;
e) l’art. 338, quinto comma, non presidia interessi privati e non può legittimare interventi edilizi futuri su un’area indisponibile per ragioni di ordine igienico-sanitario, nonché per la sacralità dei luoghi di sepoltura;
f) il procedimento attivabile dai singoli proprietari all’interno della zona di rispetto è soltanto quello finalizzato agli interventi di cui al settimo comma dell’art. 338, settimo comma (recupero o cambio di destinazione d’uso di edificazioni preesistenti); mentre resta attivabile nel solo interesse pubblico – come valutato dal legislatore nell’elencazione, al quinto comma, delle opere ammissibili ai fini della riduzione – la procedura di riduzione della fascia inedificabile (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 2014, n. 3410; sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667; ivi riferimenti ulteriori).
12.2. In definitiva, l’art. 338, quinto comma, norma eccezionale e di stretta interpretazione, consente di costruire in zona di rispetto cimiteriale unicamente con riguardo a specifiche domande edificatorie e non può essere base legale di un’autorizzazione a costruire de futuro.
13. La delibera comunale impugnata era dunque del tutto legittima nella parte in cui ha ridotto la zona di rispetto cimiteriale con solo riguardo alle opere da realizzare secondo il progetto presentato dalla Pa. di Sa. Pi. a Gr., restando del tutto irrilevanti i pareri espressi dall’Azienda U.S.L., che attengono evidentemente a profili del tutto diversi.
14. Dalle considerazioni che precedono discende che, come detto, l’appello è manifestamente infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.
15. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.
16. Il Collegio rileva, inoltre, che la pronuncia di reiezione dell’appello si basa, come sopra illustrato, su ragioni manifeste che integrano i presupposti applicativi dell’art. 26, co. 1, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sostanzialmente recepita, sul punto in esame, dalla novella recata dal decreto-legge n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. [cfr. sez. V, 21 novembre 2014, n. 5757; sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210; sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252; sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3462, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria conformemente, per altro, ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. VI, n. 11939 del 2017 e n. 22150 del 2016)].
17. La condanna degli appellanti ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, lett. a) e d), della legge 24 marzo 2001, n. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna gli appellanti soccombenti, in solido, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida nell’importo di euro 8.000,00 (ottomila/00), comprensivo della misura indennitaria prevista dall’art. 26, co. 1, c.p.a., oltre agli accessori di legge (15% a titolo di rimborso delle spese generali, I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere
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