Poiché il potere degli avvocati di autenticare le firme non è generale, ma si limita alle procure alle liti rilasciate a favore dello stesso avvocato che autentica in calce o a margine degli atti introduttivi del giudizio a norma dell’art. 83 c.p.c., la validità dell’autenticazione va di pari passo con l’abilitazione a difendere in giudizio. Pertanto, non può nemmeno ritenersi valida l’autenticazione del mandato effettuata a margine dell’atto di costituzione da un avvocato non abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, ancorché il mandato sia rilasciato a favore di avvocato abilitato
Sentenza 28 settembre 2017, n. 4530
Data udienza 6 luglio 2017
Integrale
Processo amministrativo – Avvocati – Autentica delle firme – Mandato rilasciato a favore di avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori – Autentica effettuata da avvocato non abilitato – Invalidità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale n. 2024 del 2011, proposto dal signor Pi. Sc., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Sc. ed altri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Sc. in Roma, viale (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati An. Pi. ed altri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ca. De. Si. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la BASILICATA – POTENZA – SEZIONE I n. 00531/2010, resa tra le parti, concernente la decadenza di due concessioni cimiteriali;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 luglio 2017 il consigliere Daniela Di Carlo e udito per la parte appellante l’avvocato Scioscia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.La controversia riguarda l’impugnazione, da parte del signor Pi. Sc., della delibera della giunta comunale del comune di (omissis) n. 33 del 18 aprile 2007 avente ad oggetto la decadenza dalla titolarità di due concessioni sepolcrali sulle “aiuole” cimiteriali contrassegnate dai numeri 6 e 7, ubicate nel cimitero locale e rilasciate nel lontano anno 1907 ai danti causa dell’odierno appellante, signori Sc. Gi. e Sc. No. Pi..
La decadenza è stata motivata, nell’atto impugnato, sull’assorbente rilievo dell’intervenuta scadenza del termine e dell’inopportunità di procedersi al rinnovo al fine di consentire un più facile accesso al nuovo cimitero.
2. Il Tar per la Basilicata, Potenza, Sezione I, con la sentenza n. 531 del 26 luglio 2010 ha:
a) respinto il ricorso;
b) compensato le spese di lite.
3. Il signor Pi. Sc. ha impugnato la sentenza deducendo l’erroneità del percorso logico-giuridico seguito dal giudice di prime cure nella parte in cui ha applicato alla fattispecie all’esame la disciplina del mancato rinnovo delle concessioni sottoposte a termine, anziché quella, pertinente, della revoca delle concessioni rilasciate in perpetuo, con la conseguenza di ritenere sufficientemente e adeguatamente motivato il diniego di rinnovo sulla scorta dell’utilità di consentire al pubblico, sulle aiuole n. 6 e 7, un più facile passaggio per accedere al nuovo cimitero.
4. Si è costituito il comune di (omissis) chiedendo il rigetto dell’avverso appello perché infondato in fatto e in diritto, con il favore delle spese di lite.
5. Il solo appellante ha provveduto a depositare documenti (il 25 maggio 2017) e la memoria difensiva (il 1 giugno 2017).
6. All’udienza pubblica del 6 luglio 2017 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.
7. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio in rappresentanza del comune di (omissis), giacché non sottoscritta da procuratore ammesso al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori secondo quanto previsto, obbligatoriamente, dall’art. 22, comma 2, c.p.a..
Peraltro, questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire in precedenti arresti che, poiché il potere degli avvocati di autenticare le firme non è generale, ma si limita alle procure alle liti rilasciate a favore dello stesso avvocato che autentica in calce o a margine degli atti introduttivi del giudizio a norma dell’art. 83 c.p.c., la validità dell’autenticazione va di pari passo con l’abilitazione a difendere in giudizio. Pertanto, non può nemmeno ritenersi valida l’autenticazione del mandato effettuata a margine dell’atto di costituzione da un avvocato non abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, ancorché il mandato sia rilasciato a favore di avvocato abilitato (Consiglio di Stato, Sezione IV, 17 marzo 2005, n. 1109; Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 10 febbraio 2010, n. 707; id., 12 maggio 2003, n. 2515).
Anche secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, del resto, è inammissibile il ricorso non sottoscritto da un avvocato iscritto nell’albo speciale per il patrocinio davanti alle Corti superiori, ma unicamente da uno o più avvocati non abilitati a tale patrocinio, senza che rilevi in senso contrario che il mandato, in margine o in calce allo stesso ricorso, sia stato rilasciato anche in favore di avvocato iscritto in detto albo e indicato come domiciliatario, qualora la sottoscrizione di detto mandato sia stata autenticata da avvocato non abilitato al patrocinio speciale suddetto (Cassazione civile, sezione III, sentenza n. 3459, del 6 marzo 2012).
Nel caso di specie è risultato in via documentale che la costituzione del comune appellato è stata firmata solamente dall’avvocato Rosanna Faraone (diventata cassazionista soltanto il 21.11.2014) e dall’avvocato Maurizia Zazzerini (ancora non cassazionista), mentre non risulta firmata dall’avvocato An. Pi., unico avvocato del collegio difensivo abilitato a patrocinare davanti alle giurisdizioni superiori. Inoltre, benché il mandato alle liti apposto a margine dell’atto di costituzione sia stato rilasciato in favore di tutti e tre gli anzidetti procuratori, l’autenticazione dello stesso, nelle firme, è stata curata soltanto dai procuratori non abilitati.
8. Nel merito, l’appello è fondato e va accolto per le seguenti ragioni.
8.1. Dai documenti versati agli atti del giudizio si evince che in data 4 agosto 1907 l’allora sindaco del comune di (omissis) ebbe a “vendere” a Sc. Gi. e a Scioscia Pietro per il corrispettivo di lire sessanta le aiuole cimiteriali contrassegnate rispettivamente con i numeri 6 e 7.
È indubbio che le anzidette concessioni furono rilasciate sotto il vigore del Regio Decreto 25 luglio 1892 (recante approvazione del nuovo regolamento di polizia mortuaria), il cui art. 100 espressamente prevedeva che “Il posto per sepolture private potrà essere concesso per tempo determinato o a perpetuità”.
La fattispecie all’esame è, pertanto, ratione temporis, disciplinata da tale norma.
L’espressione “vendere” utilizzata negli anzidetti atti, benché tecnicamente impropria non potendo darsi, giuridicamente, la possibilità di vendita di beni demaniali, ma soltanto la costituzione di diritti di godimento con titolo concessorio, è tuttavia indicativa della natura giuridica dell’atto voluto dalle parti e, soprattutto, della sua durata, intesa all’evidenza nel senso della perpetuità.
La circostanza che successivi regolamenti di polizia mortuaria (art. 93 del d.p.r. 21 ottobre 1975, n. 803) abbiano escluso la natura perpetua delle concessioni non toglie valore, ma anzi rafforza la considerazione che fino al un certo momento storico (in tal senso anche il R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880, art. 70, successivo a quello ratione temporis applicabile al nostro caso ma allo stesso modo confermativo della natura perpetua del titolo concessorio) le concessioni potevano essere rilasciate sine die, salvo ovviamente l’esercizio da parte della stessa amministrazione di rivedere le proprie decisioni in via di autotutela.
Nel caso di specie è, invece, accaduto che l’amministrazione comunale ha ritenuto le concessioni scadute nella loro vigenza e non sottoponibili al rinnovo per un ulteriore periodo di tempo a motivo dell’opportunità di ampliare l’accesso al nuovo cimitero, per rendere più comodo il passaggio.
Al di là della condivisibilità o meno delle scelte amministrative nella gestione dei mancati rinnovi, che non compete a questo giudice sindacare se non nei limiti in cui ciò trasmodi nel vizio dell’eccesso di potere per la manifesta e macroscopica illogicità o irragionevolezza dell’agire, è da osservare che nella fattispecie all’esame tale aspetto della questione nemmeno si pone, restando del tutto irrilevante e inconferente sia l’osservazione (aggiunta ad colorandum) dalla parte appellante circa l’illogicità della scelta comunale di dichiarare la decadenza delle due concessioni a fronte della menzionata motivazione se poi il nuovo cimitero è stato realizzato in altra e diversa zona, sia la (ritenuta) dal giudice di prime cure sufficienza e adeguatezza della motivazione a sorreggere l’atto impugnato.
Qui, in altri termini, venendo in rilievo un rapporto giuridico di durata caratterizzato dalla natura perpetua della concessione, non potrebbe proprio sul piano logico-giuridico darsi luogo alla possibilità, come ritenuto dal primo giudice, di una venuta a scadenza del termine e di un conseguente potere, da parte dell’amministrazione comunale, di disporre proroghe del termine medesimo o rinnovi del rapporto in sé complessivamente considerato.
Di fronte ad una concessione perpetua l’amministrazione potrebbe, semmai, nell’esercizio del proprio potere di autotutela revocare l’atto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico o per mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, anche, semplicemente, per una nuova valutazione degli elementi e dei presupposti di fatto preesistenti, ma ciò con il rispetto delle garanzie e delle modalità (soprattutto quanto alla previsione dell’indennizzo economico) previste dall’art. 21-quinquies della legge generale n. 241/1990 a tutela delle posizioni giuridiche maturate dal privato a seguito dell’atto ampliativo.
Pertanto, non essendo stato esercitato, nel caso che ci occupa, il potere di revoca in via di autotutela con tutte le garanzie ad esso sottese ed essendo stata fatta applicazione di un regime (quello del rinnovo) predicabile per i soli rapporti di durata sottoposti a termine, evenienza – questa – che non ricorre per tutto quanto sopra detto, attesa la natura perpetua delle concessioni, non può che concludersi nel senso dell’illegittimità dell’atto impugnato.
La regolazione delle spese di lite, liquidate per il doppio grado di giudizio come in dispositivo avuto riguardo ai parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014, segue il principio della soccombenza.
Del pari, secondo il principio della soccombenza, va regolata la condanna alla restituzione del contributo unificato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma delle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio e annulla l’atto impugnato.
Condanna il comune di (omissis) alla refusione in favore del signor Pi. Sc. delle spese di lite del doppio grado liquidate in complessivi euro 5.000,00 oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Pone definitivamente a carico del comune di (omissis) il pagamento del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Carlo Schilardi – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore
Giuseppa Carluccio – Consigliere
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