Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 24 ottobre 2017, n. 4883. Nel procedimento inteso all’acquisizione gratuita di opere edilizie abusive al patrimonio indisponibile del comune

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Infatti, sarebbe in palese contrasto con la ratio della norma e determina un’inconcepibile disparità di trattamento tra i titolari delle opere acquisite ex art. 15 della legge n. 10/77.

In definitiva, l’appellante non riuscirebbe a dimostrare l’effettiva destinazione degli immobili in questione ad uso pubblico.

Da ultimo, gli originari ricorrenti propongono appello incidentale, dal momento che il TAR avrebbe dovuto rilevare che occorrerebbe una specifica delibera del Consiglio Comunale per la declaratoria dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici, che impongono la conservazione dell’immobile abusivo acquisito e, unitamente alla manifestazione di volontà di conservare l’immobile, che il Consiglio Comunale esprima o dichiari di voler destinare l’immobile acquisito ad uno specifico fine pubblico.

Ancora il primo giudice avrebbe errato nel non rilevare la contraddittorietà tra la nota del 3 marzo 2006 della Direzione Centrale VI, che avrebbe attestato la destinazione dell’immobile entro il 1 dicembre 1994, e la nota n. 4932 del 9 novembre 2004 con la quale il Servizio patrimonio assumeva che la destinazione dell’immobile sarebbe avvenuta prima del 31 dicembre 1993.

Inoltre, il Tar avrebbe dovuto rilevare la necessità di acquisire il parere della commissione edilizia.

5. Nelle successive difese entrambe le parti insistono nelle proprie argomentazioni.

6. L’appello principale è fondato e deve essere accolto.

Impregiudicata, infatti, la questione relativa all’omessa impugnazione del diniego di condono edilizio adottato all’indomani dell’entrata in vigore della l. 47/1985, deve rilevarsi che non può essere condivisa la lettura del primo giudice secondo la quale la pronuncia dello stesso TAR n. 307/1989 non aveva già all’epoca rilevato l’utilizzazione per fini pubblici del bene acquisito dall’amministrazione.

Al riguardo, deve rilevarsi che l’ordinanza sindacale risulta essere stata ritenuta, con pronuncia passata in giudicato, immune da censure e non può oggi a distanza di quasi trent’anni essere rimessa in discussione dagli originari ricorrenti.

Merita di essere rammentato come il testo del comma 3 dell’art. 15 della l. 10/1977, ratione temporis vigente, dispone che: “Le opere eseguite in totale difformità o in assenza della concessione debbono essere demolite, a cura e spese del proprietario, entro il termine fissato dal sindaco con ordinanza. In mancanza, le predette opere sono gratuitamente acquisite, con l’area su cui insistono, al patrimonio indisponibile del comune che le utilizza a fini pubblici, compresi quelli di edilizia residenziale pubblica”.

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