Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 12 ottobre 2017, n. 4731. Nel processo amministrativo, una questione proposta per la prima volta in grado di appello è inammissibile

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4.1 Il primo motivo di impugnativa è inammissibile in quanto la censura non è stata proposta in primo grado.

In appello, vige il c.d. divieto di jus novorum, in base al quale non è possibile in secondo grado procedere ad alcun ampliamento della domanda.

La ratio di tale divieto affonda le proprie radici nell’essenziale esigenza di rispettare il doppio grado di giurisdizione e, pertanto, postula l’immutabilità della causa petendi introdotta in primo grado.

L’effetto devolutivo dell’appello è oggi consacrato nell’art. 104 c.p.a., secondo cui nel giudizio d’appello non possono essere proposte nuove domande (fermo quanto previsto nell’art. 34, comma 3) né nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio, il quale assicura che l’oggetto del giudizio di secondo grado non risulti più ampio di quello su cui si è pronunciato il primo giudice con la sentenza impugnata.

In definitiva, nel processo amministrativo, una questione proposta per la prima volta in grado di appello è inammissibile, quale conseguenza logica che discende dall’onere di specificità delle censure dedotte in primo grado nei confronti degli atti in tale giudizio gravati e, quindi, in applicazione del principio del divieto di jus novorum (cfr., ex multis: Cons. Stato, IV, 26 novembre 2015, n. 5373, che richiama Cons. Stato, VI, 19 luglio 1999 n. 973; id., IV, 24 maggio 2007 n. 2636; id., VI, 22 maggio 2008 n. 2432; id., IV, 27 luglio 2010 n. 4915).

4.2 Il successivo motivo – con cui l’appellante ha rappresentato che la sentenza di primo grado non avrebbe statuito nulla sulla censura secondo cui la Corte dei conti, essendo stato l’interessato ammesso con riserva alla prova scritta per il profilo di collaboratore amministrativo ed al successivo corso di qualificazione, avrebbe dovuto inserire lo stesso nella graduatoria finale – è infondato.

4.2.1 La norma di cui all’art. 4, comma 2 bis, del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, secondo cui “conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela” ha esteso agli esami di abilitazione professionale il principio c.d. di assorbimento, elaborato con riferimento agli esami scolastici di maturità, secondo cui il superamento degli esami di maturità, che lo studente abbia sostenuto a seguito di ammissione con riserva da parte del giudice amministrativo, assorbe il giudizio negativo di ammissione espresso dal Consiglio di classe, per cui la disposizione deve intendersi riferita alle sole ipotesi in cui è contestata una manifestazione di giudizio e non di volontà e, quindi, alle ipotesi in cui l’ordinanza cautelare ordina la rinnovazione delle prove o della loro valutazione oppure lo stesso disponga l’amministrazione in autotutela e, a seguito di tale rinnovazione o rivalutazione, il candidato superi le prove di cui al bando con conseguente cessazione della materia del contendere.

Infatti, sebbene nella norma si parli di concorso, è evidente che la stessa debba essere applicata alle sole prove idoneative, dove non ci sono controinteressati ed il “bene della vita” può essere in teoria attribuito ad ogni aspirante, ma non alle procedure concorsuali, atteso che l’applicazione della previsione a queste ultime priverebbe inopinatamente ed in violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito i terzi controinteressati dello svolgimento del giudizio nel merito.

La Corte costituzionale, d’altra parte, con sentenza n. 108 del 2009, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma premettendo, tra l’altro, che, come confermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, la disposizione censurata non si applica ai concorsi pubblici, ma solo agli esami di abilitazione (sul punto è sufficiente rinviare a quanto statuito dalla Adunanza plenaria nella sentenza n. 1 del 2015 cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co.2, lett. d), c.p.a.).

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