Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 11 settembre 2017, n. 4269. Presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001

Dalla presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 non possono trarsi le medesime conseguenze della domanda di condono poiché i presupposti dei due procedimenti di sanatoria, quello di condono edilizio e quello di accertamento di conformità urbanistica, sono non solo diversi ma anche antitetici, atteso che l’uno (condono edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale) l’altro (sanatoria ex art. 13 legge 47/85 oggi art. 36 DPR n. 380/2001) l’accertamento ex post della conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale).

Sentenza 11 settembre 2017, n. 4269
Data udienza 8 giugno 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale n. 2291 del 2007, proposto dal signor De. Ra. Ni., rappresentato e difeso dall’avvocato Ca. Sa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Al. St., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Cl. De Cu. in Roma, viale (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la CAMPANIA – NAPOLI – SEZIONE VI n. 01885/2007, resa tra le parti, concernente diniego di condono e ordine di demolizione di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2017 il consigliere Daniela Di Carlo;

Nessuno è comparso per le parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La controversia riguarda l’impugnazione, da parte del signor Ni. De. Ra., dell’ordinanza dirigenziale n. 47388 del 21 dicembre 2006 con cui il comune di (omissis) ha espresso il diniego di sanatoria ai sensi della legge n. 326/2003 e ha ordinato la demolizione delle opere realizzate in assenza di titolo abilitativo nell’ambito del medesimo comune, alla via (omissis) n. (omissis) (ex (omissis)); di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguenziale, ivi compresa la disposizione sindacale prot. 29004/1993.

2. Il Tar per la Campania, Napoli, Sezione VI, con la sentenza n. 1885 del 13 marzo 2007 ha:

a) respinto il ricorso;

b) condannato il ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in favore dell’amministrazione comunale in euro 2.000,00 oltre accessori di legge.

3. Il signor Ni. De. Ra. ha interposto gravame riproponendo i motivi di impugnazione già dedotti nel primo grado e censurando la sentenza per le seguenti motivazioni:

3.1. Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, l. n. 47/1985 – Violazione della l. n. 241/1990 – Eccesso di potere – Violazione del giusto procedimento – Carenza di istruttoria – Difetto di motivazione.

A dire l’appellante il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere l’inedificabilità assoluta dell’intera area, con conseguente insanabilità delle opere realizzate sine titulo, in base alla mera esistenza di un vincolo ambientale e paesistico imposto con D.M. 12 settembre 1957, dovendosi – invece – procedere di volta in volta alla verifica in concreto della compatibilità edilizio-urbanistica delle opere con i valori specifici tutelati dal vincolo.

3.2. Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001.

L’appellante sostiene che l’atto impugnato, contenente sia il diniego di condono che l’ordine di demolizione, avrebbe perso ogni efficacia, con conseguente obbligo per il primo giudicante di rilevare l’improcedibilità del giudizio, a motivo del fatto che, nelle more del giudizio di primo grado, egli ha presentato istanza per accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 con riferimento alle medesime opere edilizie, sicché il comune avrebbe dovuto adottare una nuova ordinanza demolitoria, perdendo – quella per l’innanzi impugnata – ogni efficacia.

3.3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241/1990 – Violazione del giusto procedimento – Eccesso di potere.

L’appellante asserisce la violazione dell’obbligo di puntuale motivazione del provvedimento impugnato e ravvisa la necessità di applicare anche alla fattispecie per cui è causa le garanzie partecipative di cui alla legge n. 241/1990, e in particolare l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento e di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

4. Si è costituito il comune di (omissis) chiedendo il rigetto dell’avverso appello, vinte le spese di lite.

5. All’udienza pubblica dell’8 giugno 2017 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio per la decisione.

6. L’appello è infondato e non merita accoglimento per i seguenti motivi.

6.1. Quanto al primo motivo di impugnazione, va condiviso il ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice di prime cure nell’escludere la condonabilità, ai sensi della legge n. 326/2003, delle opere realizzate in assenza del permesso di costruire e del nulla osta ambientale, in zona sottoposta a vincolo generale in virtù del D.M. 12.9.1957. L’area, inoltre, ricade in zona P.I.R. – Protezione Integrale con Restauro Paesistico Ambientale, sicché le opere risultano in contrasto, altresì, con la vigente disciplina urbanistica.

Nemmeno, peraltro, sarebbe ipotizzabile nel caso di specie il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma, previo accertamento della compatibilità delle opere medesime rispetto ai valori tutelati, non ricorrendo le condizioni di cui all’art. 167, comma 4, D.lvo n. 42/2004.

6.2. Del pari infondato è il secondo motivo di gravame.

Il Collegio intende aderire all’orientamento, anche di recente riaffermato da questo Consiglio di Stato, secondo cui “L’istanza di accertamento di conformità (c.d. sanatoria) non incide sulla legittimità della previa ordinanza di demolizione pregiudicandone definitivamente l’efficacia ma soltanto sospendendone gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell’istanza, con il risultato che essa potrà essere portata ad esecuzione se l’istanza è rigettata decorrendo il relativo termine di adempimento dalla conoscenza del diniego” (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 febbraio 2015, n. 466).

Va premessa, a tal riguardo, la differente natura dell’istanza di sanatoria (anche detta richiesta di accertamento della cd. doppia conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001) rispetto alla domanda di condono edilizio di cui alle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e n. 326 del 2003 (quest’ultima è quella ratione temporis applicabile al caso che ci occupa) e che, nella prospettazione del ricorrente, appaiono assimilate a sostegno dell’asserzione della conseguente inefficacia del procedimento in atto per la sanzione dell’opera abusiva.

Al riguardo la giurisprudenza, con valutazione che il Collegio condivide e da cui non vi è qui motivo per discostarsi, ha chiarito che “dalla presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non possono trarsi le medesime conseguenze della domanda di condono poiché “…i presupposti dei due procedimenti di sanatoria – quello di condono edilizio e quello di accertamento di conformità urbanistica – sono non solo diversi ma anche antitetici, atteso che l’uno (condono edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale) l’altro (sanatoria ex art. 13 legge 47/85 oggi art. 36 DPR n. 380/2001) l’accertamento ex post della conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale).” (TAR Lazio, sezione I quater, 11 gennaio 2011, n. 124 e 22 dicembre 2010, n. 38207 e la sentenza del TAR Campania Napoli, sezione VI, 3 settembre 2010, n. 17282 in quest’ultima citata). Per tali osservazioni alla fattispecie dell’accertamento di conformità non può applicarsi la sospensione dei procedimenti sanzionatori prevista per i condoni a partire dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985, come richiamato dalle successive disposizioni di cui all’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dell’art. 32 della legge n. 326 del 2003.” (Tar Lazio, sezione prima quater, 2 marzo 2012, n. 2165), poiché, come anche precisato, “A seguito della presentazione della domanda di sanatoria ex art. 13 l. 28 febbraio 1985 n. 47 ” (attuale art. 36 del d.P. R. n. 380 del 2001) “…non perde efficacia l’ingiunzione di demolizione precedentemente emanata, poiché a tal fine occorrerebbe una specifica previsione normativa, come quella contenuta negli art. 38 e 44 l. n. 47 del 1985 con riferimento alle domande di condono edilizio; …” (Tar Lazio, sezione prima quater, 24 gennaio 2011, n. 693).

Si correla a questo quadro quanto affermato dalla Sezione, con la sentenza del 6 maggio 2014, n. 2307, sull’erroneità della ricostruzione per cui la presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001successivamente alla ordinanza di demolizione, comporterebbe la necessaria formazione, anche sub specie di silenzio rigetto, di un nuovo provvedimento idoneo a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa, cosicché l’Amministrazione sarebbe tenuta, in ogni caso, ad adottare un nuovo provvedimento sanzionatorio, assegnando un nuovo termine per adempiere, poiché questa giurisprudenza “si è formata in tema di condono edilizio (Cons. Stato VI, 26 marzo 2010, n. 1750), ossia di richiesta che trova il suo fondamento in una norma di carattere legislativo, che, innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo, la sanatoria degli abusi commessi.”, non potendo trovare applicazione tali principi “al caso di specie, in cui il ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che, prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di una disciplina preesistente.”, per cui “Sostenere…che, nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza di accertamento di conformità, l’amministrazione debba riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento”.

Da tutto ciò consegue la correttezza della sentenza di primo grado nella parte in cui si richiama la giurisprudenza per cui l’istanza di accertamento di conformità non incide sulla legittimità della previa ordinanza di demolizione pregiudicandone definitivamente l’efficacia ma soltanto sospendendone gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell’istanza, con il risultato che essa potrà essere portata ad esecuzione se l’istanza è rigettata decorrendo il relativo termine di adempimento dalla conoscenza del diniego” (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 febbraio 2015, n. 466).

Ciò premesso, nella vicenda in esame si rileva che: l’ordinanza di demolizione è stata impugnata anteriormente alla presentazione dell’istanza di accertamento di conformità; nel corso del giudizio si è formato il silenzio-rigetto sull’istanza di sanatoria, di cui non risulta – o almeno di ciò l’appellante non ha fornito la prova – esservi stata impugnazione; all’esito di tutto ciò l’ordinanza di demolizione ha riacquistato piena efficacia.

6.3. Del tutto infondato si rivela, altresì, l’ultimo motivo di impugnazione teso a censurare il vizio di motivazione, di istruttoria, nonché la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Dai documenti versati agli atti – contrariamente a quanto prospettato dall’appellante – si evince che l’amministrazione ha puntualmente ottemperato all’obbligo di motivazione del provvedimento, dando conto delle ragioni che hanno condotto al diniego dell’istanza di condono e all’ordine di demolizione: l’essere, le opere (di rilevanti dimensioni e con forte impatto sul paesaggio), state realizzate in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica, in assoluto contrasto con lo strumento urbanistico vigente e con i vincoli paesaggistici imposti dal piano e con decreto ministeriale.

È poi pacifico, nella giurisprudenza amministrativa, che i provvedimenti di diniego del condono edilizio non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, perché i procedimenti finalizzati alla sanatoria degli abusi edilizi sono avviati su istanza di parte (ci si limita a riportare l’ultimo precedente specifico in argomento: Consiglio di Stato, sez. IV, 5 maggio 2017, n. 2065).

Del pari, altrettanto indiscusso, è che la natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, di un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della relativa domanda. Ad ogni modo in applicazione del successivo art. 21 octies, comma 2, primo periodo, della l. n. 241 del 1990, il mancato preavviso di diniego non produrrebbe, comunque, effetti vizianti ove il comune, come nel caso di specie, per le considerazioni suesposte, non avrebbe potuto emanare provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati, attesa l’assoluta insanabilità delle opere sotto il profilo urbanistico e paesaggistico.

7. L’appello, pertanto, per le suesposte considerazioni, non merita accoglimento.

8. La regolazione delle spese di lite del presente grado, liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri di cui al regolamento n. n. 55 del 2014, segue il principio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado.

Condanna Ni. De. Ra. alla refusione delle spese di lite liquidate in favore del comune di (omissis) in complessivi euro 3.000,00 oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere

Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore

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