Palazzo-Spada

CONSIGLIO DI STATO

SEZIONE IV

SENTENZA 9 febbraio 2015, n. 657

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5109 del 2014, proposto da:
Marco Carbonari, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Rampini, Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, Via Cicerone N.44;

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Banca D’Italia, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Napoletano, Olina Capolino, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Banca D’Italia in Roma, Via Nazionale, 91;

nei confronti di

Collegio Commissariale Straordinario della Banca Popolare di Spoleto Spa, Banca Monte dei Paschi di Siena Spa;

sul ricorso numero di registro generale 5111 del 2014, proposto da:
Michelangelo Zuccari, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Corbyons, Mario Rampini, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, Via Cicerone N.44;

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Collegio Commissariale Straordinario della Banca Popolare di Spoleto Spa, Banca Monte dei Paschi di Siena Spa, Banca Popolare di Spoleto;
Banca D’Italia, rappresentato e difeso dagli avv. Olina Capolino, Giuseppe Napoletano, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Banca D’Italia in Roma, Via Nazionale, 91;

sul ricorso numero di registro generale 5112 del 2014, proposto da:
Claudio Umbrico, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Corbyons, Mario Rampini, con domicilio eletto presso Giovanni Corbyons in Roma, Via Cicerone N.44;

contro

Ministero dell’Economia e Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Banca D’Italia, rappresentato e difeso dagli avv. Olina Capolino, Giuseppe Napoletano, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Banca D’Italia in Roma, Via Nazionale, 91;

nei confronti di

Collegio Commissariale Straordinario della Banca Popolare di Spoleto Spa, Banca Monte dei Paschi di Siena Spa, Banca Popolare di Spoleto Spa;

per la riforma

quanto al ricorso n. 5109 del 2014:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione III n. 02725/2014, resa tra le parti, concernente scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della banca popolare di Spoleto spa e sottoposizione alla procedura di amministrazione straordinaria;

quanto al ricorso n. 5111 del 2014:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione III n. 02727/2014, resa tra le parti, concernente scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della banca popolare di Spoleto spa e sottoposizione alla procedura di amministrazione straordinaria;

quanto al ricorso n. 5112 del 2014:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione III n. 02726/2014, resa tra le parti, concernente scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della banca popolare di Spoleto spa e sottoposizione alla procedura di amministrazione straordinaria

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Banca d’Italia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Mario Rampini, l’avvocato dello stato Fabio Tortora e Giuseppe Napoletano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con i gravami in epigrafe, i sigg. Marco Carbonari, Claudio Umbrico e Michelangelo Zuccari, i primi due nella qualità di consiglieri di amministrazione della Banca Popolare di Spoleto s.p.a. ed il terzo nella qualità di Vice Presidente del consiglio di amministrazione, fino alla data di scioglimento dell’organo, chiedono la riforma delle sentenze del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. III, n. 2725, 2726 e 2727 del 10 marzo 2014, di rigetto dei ricorsi, dai medesimi proposti avverso:

– il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze n. 16 dell’8 febbraio 2013, comunicato il 12 febbraio 2013, con il quale è stato disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Banca Popolare di Spoleto s.p.a. contestualmente sottoposta a procedura di amministrazione straordinaria ai sensi dell’art.70, comma 1, lett. a) e b) del TUB;

– la proposta formulata con nota della Banca d’Italia n. 0105750/13 del 30 gennaio 2013 ed il provvedimento di nomina del Collegio commissariale straordinario;

– il provvedimento della Banca d’Italia n. 0286464/13 del 21 marzo 2013, con il quale è stato espresso diniego di approvazione della decisione della Banca Popolare di Spoleto Spa di procedere all’aumento di capitale sociale, ivi compresi gli atti del procedimento fra cui la nota della Banca d’Italia prot. n. 0105799/13 del 31 gennaio 2013, la nota della Banca Popolare di Spoleto s.p.a. prot. n. 23/13 del 7 marzo 2013, nonché le note del 21 settembre 2012 e del 20 luglio 2012, nella citata nota del 31 gennaio 2013.

In seguito alla decisione del T.A.R., in data 13 maggio 2014, con provvedimento n. 0494609/14, la Banca d’Italia autorizzava la convocazione dell’assemblea straordinaria degli azionisti della Banca Popolare di Spoleto s.p.a. ai fini della deliberazione dell’aumento di capitale della banca per un controvalore totale di euro 155.277.778,00: in particolare veniva deliberato, per un verso, un aumento di capitale inscindibile in denaro di Banca Popolare di Spoleto s.p.a. con esclusione del diritto di opzione riservato a Banco Desio per un controvalore di euro 139.750.000,00 e, per altro verso, un aumento di capitale scindibile in denaro di Banca Popolare di Spoleto s.p.a. con esclusione del diritto di opzione riservato ai dipendenti di BPS per un controvalore massimo di euro 15.527.778,00.

In conseguenza di ciò, la Banca d’Italia accertava, tramite provvedimento n. 0494615/14 del 13 maggio 2014, la conformità delle modifiche all’art. 5 dello Statuto di Banca Popolare di Spoleto s.p.a. al principio di sana e prudente gestione.

L’amministrazione straordinaria terminava, in data 31 luglio 2014, con la nomina del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale e con la contestuale acquisizione, da parte dei nuovi organi ordinari, della situazione dei conti ai sensi degli artt. 73 co. 1 e 75 u.c. TUB.

Gli appellanti censurano la decisione del giudice di prime cure per non aver rilevato alcuni fra i motivi di ricorso già sollevati in primo grado avverso il decreto con il quale è stato disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Banca Popolare di Spoleto s.p.a. e gli atti presupposti. In particolare, viene risollevato il difetto di istruttoria, imputabile al Ministro dell’Economia e delle Finanze per non aver svolto un’autonoma attività di verifica e controllo rispetto ai presupposti di fatto che hanno determinato la Banca d’Italia a proporre lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo della Banca Popolare di Spoleto s.p.a., nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 70 co. 1 lett. a) e b) TUB, e l’eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta, travisamento dei fatti, sviamento, difetto, insufficienza ed erroneità dei motivi, in merito alle violazioni, riscontrate dalla Banca d’Italia, di rapida crescita degli impieghi, deterioramento della qualità del portafoglio, diffuse irregolarità e violazioni normative, inadeguatezza del processo di gestione del credito, inidoneità dell’assetto organizzativo dell’istituto di credito in ordine al presidio della gestione aziendale e inadeguatezza del sistema dei controlli.

Gli appellanti chiedono, altresì, la riforma della sentenza di primo grado in quanto il T.A.R. non ha ritenuto meritevoli di accoglimento i motivi di ricorso sollevati avverso il provvedimento della Banca d’Italia n. 0286464/13 del 21 marzo 2013. Dette censure afferivano, in particolare:

  1. a) alla violazione dell’art. 56 TUB, al vizio di eccesso di potere per illogicità manifesta, parziale contraddittorietà e sviamento con particolare riferimento all’impianto motivazionale del provvedimento;
  2. b) alla violazione dell’art. 8 del Regolamento della Banca d’Italia in relazione al mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento di accertamento.

Si è costituita in giudizio la Banca d’Italia che, con memoria ed allegazioni documentali, ha chiesto il rigetto integrale degli appelli in quanto ritenuti inammissibili ed infondati.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Con la presentazione di ulteriori memorie, l’appellante e la Banca d’Italia hanno chiesto l’accoglimento delle rispettive domande, eccezioni e conclusioni.

Chiamate congiuntamente per la trattazione alla pubblica udienza del 18 dicembre 2014, uditi i patrocinatori delle parti, le cause sono state ritenute in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente occorre disporre la riunione degli appelli in epigrafe, per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, attenendo alla medesima vicenda contenziosa.

Con il primo motivo gli appellanti censurano in modo analitico la decisione del T.A.R. nella parte in cui ritiene conforme ai principi generali dell’ordinamento la motivazione ob relationem del decreto n. 16 dell’8 febbraio 2013 del Ministro dell’Economia e delle Finanze: tale provvedimento è stato adottato richiamando e facendo integralmente proprie le motivazioni contenute nella proposta n. 0105750/13 del 30 gennaio 2013, formulata dalla Banca d’Italia.

Gli appellanti sostengono che, in seguito alla proposta della Banca d’Italia con cui si accertava un deficit patrimoniale di 19,4 milioni di euro, sarebbe stata necessaria una nuova istruttoria da parte del Ministro dell’Economia e delle Finanze al fine di prendere atto del mutamento della situazione patrimoniale della Banca Popolare di Spoleto s.p.a.: alla data di emanazione del decreto Ministeriale – 8 febbraio 2013 -, il deficit patrimoniale accertato ammontava a 9,6 milioni di euro e cioè a circa 10 milioni di euro in meno rispetto a quanto riscontrato dalla Banca d’Italia all’esito della sua istruttoria, risalente al giugno del 2012.

A sostegno di tale motivo, le parti appellanti evidenziano altresì che il diniego di approvazione dell’aumento di capitale, deliberato dal voto unanime del Consiglio di Amministrazione, avrebbe consentito alla Banca Popolare di Spoleto s.p.a. di far fronte al deficit patrimoniale riscontrato. L’aumento di capitale sarebbe stato garantito, a differenza di quanto affermato dalla Banca d’Italia, dalla rigorosa sorveglianza dalla Consob, trattandosi di società di capitali quotata in borsa, nonché dalla scarsa onerosità dell’operazione.

Tutto ciò avrebbe dovuto determinare il Ministro dell’Economia e delle Finanze a richiedere alla Banca d’Italia dei chiarimenti ulteriori rispetto a quanto riportato nella proposta n. 0105750/13 del 30 gennaio 2013 o, comunque, ad eseguire un’autonoma istruttoria. Invece, le risultanze degli accertamenti dell’autorità di vigilanza sarebbero state recepite acriticamente senza considerare che il mutamento della situazione di fatto, relativa al deficit patrimoniale, avrebbe potuto anche condurre il procedimento ad una differente soluzione.

Il motivo è fondato.

Nel complesso, la censura in esame concerne le relazioni istituzionali fra le amministrazioni coinvolte nella procedura di commissariamento disposta dagli artt. 70 e ss. TUB ed i limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle scelte discrezionali adottate dall’amministrazione.

Giova preliminarmente evidenziare che l’art. 70 TUB, nell’individuare i presupposti soggettivi ed oggettivi necessari ai fini dell’avvio della procedura di amministrazione straordinaria, disciplina anche le competenze istituzionali nella fase iniziale della stessa. Ruolo primario viene conferito alla Banca d’Italia, la quale propone al Ministro dell’Economia e delle Finanze lo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo di una banca al ricorrere di tassative condizioni. Ricevuta la proposta, il Ministro dell’Economia e delle Finanze “può disporre” con decreto detto scioglimento: questa facoltà di scelta implica una valutazione discrezionale – o, meglio, di opportunità – che il Ministro è tenuto ad effettuare sulla base della proposta avanzata dall’autorità di vigilanza.

A ben vedere, infatti, l’atto di impulso della Banca d’Italia costituisce una proposta obbligatoria, senza la quale, cioè, non potrebbe iniziarsi il procedimento che conduce all’eventuale scioglimento degli organi di amministrazione e controllo dell’istituto di credito.

Tuttavia, ciò non impone al Ministro dell’Economia e delle Finanze di accettarne in modo acritico e dogmatico il contenuto, in quanto l’ordinamento gli attribuisce la facoltà di discostarsi dalla proposta qualora non ritenga sussistenti i presupposti per disporre l’amministrazione straordinaria. La possibilità di giungere ad una conclusione differente rispetto a quella configurata dall’autorità di vigilanza implica il preventivo esperimento, da parte del Ministro, di un’istruttoria autonoma o quantomeno di una valutazione critica della proposta avanzata dalla Banca d’Italia.

Pertanto, a prescindere dalla decisione – conforme o meno alla proposta dell’autorità di vigilanza – cui giungerà il Ministro dell’Economia e delle Finanze, è doverosa un’esplicita valutazione degli elementi posti a fondamento delle risultanze della Banca d’Italia.

Da ciò non deriva l’illegittimità della motivazione ob relationem del decreto che dispone l’amministrazione straordinaria, ma deve censurarsi l’omesso esame critico delle “gravi irregolarità nell’amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie” e delle previsione di “gravi perdite del patrimonio” evidenziate nella proposta dell’autorità di vigilanza. Deve, cioè, ritenersi contrario alle disposizioni legislative ivi richiamate il decreto che rinvii puramente e semplicemente agli atti ispettivi della Banca d’Italia senza averne preliminarmente esaminato in modo analitico il contenuto.

I rilievi sin qui esposti vanno necessariamente analizzati alla luce dei limiti del sindacato del giudice amministrativo rispetto agli atti della pubblica amministrazione.

Come è noto, la distinzione fra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica presuppone, per la prima, la coesistenza del momento del giudizio – acquisizione ed esame dei fatti – e del momento della scelta – determinazione della situazione maggiormente opportuna ai fini della miglior tutela dell’interesse sottostante -, mentre la discrezionalità tecnica si concreta nella mera analisi di fatti e, perciò, non concerne il merito.

In tema di sindacato del giudice amministrativo sull’esercizio della discrezionalità tecnica, una recente pronuncia di questo Consiglio ha specificato che “anche materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale, infatti, sono rette da regole e principi che, per quanto “elastiche” o “opinabili”, sono pur sempre improntate ad una intrinseca logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari e, anzi, più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per il vizio che ne consegue, nell’eccesso di potere”. Pertanto ed a prescindere dalla denominazione del sindacato intrinseco – debole o forte – che viene effettuato in tali materie, si ritiene che il giudice possa “solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione” (cfr. Cons. St., sez. III, 2 aprile 2013 n. 1856, in tal senso, più di recente, anche Cons. St., sez. IV, 22 dicembre 2014 n. 6313).

Per quanto attiene al merito amministrativo, invece, il sindacato del giudice deve arrestarsi dopo aver verificato la legittimità delle regole tecniche sottostanti alla scelta dell’amministrazione, poiché “diversamente vi sarebbe un’indebita sostituzione del giudice all’amministrazione, titolare del potere esercitato” (cfr. Cons. St., sez. VI, 13 settembre 2012 n. 4873).

Delineato l’ambito di estensione della giurisdizione amministrativa in subiecta materia, occorre individuare, nel caso in esame, le attività che possono essere ricondotte all’esercizio della discrezionalità tecnica e quelle che al contrario afferiscono al merito amministrativo, non sindacabile dall’autorità giurisdizionale.

Alla luce di quanto sin qui esposto, deriva che nella fase di impulso del procedimento descritto dagli artt. 70 e ss. del TUB, una valutazione di merito, insindacabile dal giudice amministrativo, sussista in relazione alla scelta di disporre o meno l’amministrazione straordinaria ad un istituto di credito. Esula da questa tipologia di valutazione, rientrando nell’alveo della discrezionalità tecnica, l’individuazione delle modalità di esercizio del potere istruttorio sui fatti che costituiscono il presupposto della scelta effettuata dal Ministro dell’Economia e delle Finanze.

In definitiva, il Collegio ritiene erronea la decisione impugnata nella parte in cui non ha rilevato l’eccesso di potere per difetto di istruttoria con riferimento al decreto n. 16 dell’8 febbraio 2013: il Ministro dell’Economia e delle Finanze, nel condividere gli esiti e le soluzioni contenuti nella proposta avanzata dall’autorità di vigilanza, avrebbe dovuto eseguire un’attività istruttoria, anche al fine di dare contezza della permanenza dei requisiti oggettivi e soggettivi necessari ad attivare la procedura di amministrazione straordinaria, nonostante l’intervenuto mutamento della situazione patrimoniale della Banca Popolare di Spoleto s.p.a..

La censura ha carattere assorbente rispetto agli ulteriori profili.

Tuttavia, riguardo all’ultimo profilo dedotto dalle parti appellanti, con cui si censura l’irragionevolezza della decisione del giudice di prime cure per aver ritenuto inammissibili i rilievi avverso i riscontrati rischi di credito, di liquidità e perdita di patrimonio, occorre precisare quanto segue.

Secondo gli appellanti, il T.A.R. non avrebbe rilevato la connessione fra l’aumento del credito, la riduzione del Total Capital Ratio al di sotto dell’8% e la mancata autorizzazione all’aumento di capitale. La Banca d’Italia avrebbe valorizzato, nel corso della sua istruttoria, il solo dato inerente alla reale situazione dei crediti pregressi e le connesse difficoltà, procedendo ad una revisione del credito con le conseguenti rettifiche che, nel corso del 2012, hanno raggiunto i 120 milioni di euro e determinato, di conseguenza, un abbassamento del Total Capital Ratio al 7,63%.

Ciò che non sarebbe stato rilevato, ai fini dell’incidenza sulla dotazione patrimoniale, è stato il miglioramento del rating relativo ai nuovi crediti: pur incidendo negativamente, nel periodo iniziale, l’affidabilità dei nuovi crediti avrebbe instaurato nel breve periodo un processo virtuoso con effetti positivi sulla stabilità della dotazione patrimoniale. Per questo motivo, infatti, al 31 dicembre 2012, epoca successiva al termine dell’attività ispettiva della Banca d’Italia, si è registrato un sensibile incremento dell’attività commerciale.

Per far fronte alla revisione dei crediti, in ogni caso, era stato deliberato dal Consiglio di Amministrazione un aumento di capitale per complessivi 100 milioni di euro. Tale operazione, con il provvedimento del 21 marzo 2013, è stata negata dalla Banca d’Italia: se, al contrario, fosse stata autorizzata, sarebbero ragionevolmente venute meno le gravi perdite del patrimonio poste a base del provvedimento di amministrazione straordinaria.

Per quanto concerne i dati relativi al periodo successivo all’attività ispettiva della Banca d’Italia, già essi, ad avviso del Collegio, avrebbero dovuto formare l’oggetto di un’autonoma istruttoria da parte del Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Come già rilevato, l’autorità preposta alla decisione definitiva (Ministro dell’Economia e delle Finanze), avrebbe dovuto compiere un attento esame degli stessi, anche eventualmente al fine di richiedere ulteriori accertamenti su alcuni singoli elementi, onde valutarne l’andamento nel tempo.

Per le sopra esposte assorbenti considerazioni, gli appelli in epigrafe, previamente riuniti, vanno accolti e per l’effetto, in riforma delle impugnate sentenze, devono essere annullati gli atti impugnati in primo grado, nei sensi e nei limiti di cui sopra.

La particolarità della vicenda e la complessità delle questioni esaminate inducono il Collegio a compensare integralmente fra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, e previamente riuniti, li accoglie e, per l’effetto, riforma le sentenze impugnate nei sensi di cui in motivazione.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa

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