Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 7 luglio 2015, n. 3366

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 c.p.a., sul ricorso n. 4136/2015 RG, proposto dalla TR. s.r.l., corrente in Pescara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr.Sc. ed altri, con domicilio eletto in Roma, via (…),

contro

il Comune di Montesilvano (PE), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito nel presente giudizio e

nei confronti di

– Al.Te., controinteressato, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa.Ri. e Ro.Se., con domicilio eletto in Roma, v.le (…) e di

– AL. s.r.l. (già AL. s.a.s. di El.), non costituita nel presente giudizio,

per la revocazione

della sentenza di questa Sezione n. 1298/2015, resa tra le parti e relativa alla demolizione di opere edilizie abusive.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio solo del sig. Te. e della AL. s.r.l.;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 9 giugno 2015 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Sc. ed altri;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;

Ritenuto in fatto che la TR. s.r.l., corrente in Pescara, il 16 febbraio 2007 propose al Comune di Montesilvano (PE) una DIA per la realizzazione, in zona B5 del vigente PRG quasi del tutto antropizzata e dotata di adeguate opere d’urbanizzazione, d’un edificio dell’altezza di m 9,75 su un terreno di sua proprietà, a compensazione di altre aree site in zona f4 secondo l’art. 63 delle NTA del PRG stesso;

Rilevato che, definitasi la DIA ed ottenuto dal Comune di Montesilvano il nulla-osta paesaggistico prot. n. 4259 del 15 gennaio 2008, nei confronti di detta Società la sig. El.Ar., nella qualità di proprietaria d’un lotto contiguo a quello dell’intervento attoreo e di legale rappresentante della AL. s.a.s. (ora, AL. s.r.l.), diffidò tal Comune a provvedere in autotutela, lamentando la sussistenza di svariati vizi nella procedura così attivata;

Rilevato altresì che, avendo il Comune risposto alla sig. Di. riconfermando la legittimità di tal intervento, allora ella insorse innanzi al TAR Pescara, con il ricorso n. 61/2009 RG, impugnando la DIA ed i suoi allegati, il nulla-osta, l’art. 63 delle NTA del PRG e l’art. 3 del Regolamento edil. comunale;

Rilevato inoltre che, nelle more di quel giudizio, il Comune di Montesilvano annullò in autotutela la DIA de qua, giusta la determinazione n. 1 del 7 agosto 2009, avverso cui detta Società propose il ricorso n. 538/2009 RG innanzi al TAR Pescara, integrato poi dai motivi aggiunti presentati contro l’ordinanza comunale di demolizione n. 561 del 18 novembre 2009;

Rilevato pure che, riuniti i citati gravami e con sentenza n. 613 del 9 giugno 2010, l’adito TAR ha respinto il ricorso n. 61/2009 RG e ha accolto il ricorso n. 538/2009 RG;

Rilevato ancora che, avverso la sentenza n. 613/2010, la sig. Di. ha interposto appello, col ricorso n. 9174/2010 RG, nei cui confronti la TR. s.r.l. ha proposto un gravame incidentale tardivo, riproponendo, tra l’altro, anche i motivi aggiunti rivolti contro l’ordinanza di demolizione n. 561/2009;

Rilevato dunque che, con sentenza n. 1298 del 12 marzo 2015, la Sezione ha accolto l’appello principale e ha dichiarato in parte inammissibile quello incidentale, rigettandolo per la restante parte ma senza, però, espressamente prender partito sulla questione dei vizi propri della citata ordinanza di demolizione;

Rilevato che allora la TR. s.r.l. propone sul punto, con il ricorso in epigrafe, la revocazione della sentenza n. 1298/2015 ai sensi dell’art. 395, I c., n. 4), c.p.c. (con riguardo all’art. 106 c.p.a.), per la fase rescissoria ribadendo le censure contro i vizi propri di tal ordinanza;

Considerato in diritto che dalla serena lettura della sentenza n. 1298/2015 non pare evincersi una diretta delibazione sulle censure mosse dall’attuale ricorrente sulle modalità repressive ex art. 38, c. 1 del DPR 380/2001, in caso d’annullamento del titolo edilizio, foss’anche a seguito di DIA, grazie al quale è stato costruito il fabbricato demolendo;

Considerato infatti che, sul punto, la Sezione s’è soffermata amplius sull’impossibilità d’estendere ai casi d’attuazione con DIA la regola dell’intervento “… con permesso di costruire diretto, a fronte di una previsione del P.R.G. che invece richieda il previo piano attuativo…”, qualora il relativo obbligo “… sia imposto da una norma primaria, quale è il citato art. 22, comma 3, lettera c), del d.P.R. nr. 380/2001…”;

Considerato ancora che la Sezione esclude tal soluzione, propugnata in sede d’appello dalla Società odierna ricorrente, in quanto “… così ragionando, si finisce per affidare a un accertamento tecnico fattuale di parte la sostanziale “disapplicazione” di una norma prescrittiva, la cui ratio è… quella di limitare al massimo le ipotesi di nuovi interventi di edificazione eseguiti con d.i.a., piuttosto che con permesso di costruire…”;

Considerato di conseguenza che è illegittimo, con assorbimento di ogni altra questione, l'”… art. 3 del Regolamento comunale, laddove estende a fattispecie non previste dalla legge il regime semplificato della d.i.a., …” mentre è legittimo l'”… intervento in autotutela del Comune col quale, proprio sulla scorta di tale rilievo, è stato annullato il titolo edilizio scaturito dalla d.i.a. presentata da Tr. S.r.l….”, donde è venuta “… meno l’illegittimità derivata dell’ordine di demolizione emesso dal Comune a seguito del proprio intervento in autotutela…”;

Considerato sul punto che è perfettamente intuitiva la ragione, come meglio si vedrà appresso, per cui la Sezione ha ritenuto implicito l’assorbimento, tra le altre questioni, anche di quelle sui motivi d’illegittimità propria del predetto ordine di demolizione, in realtà, però, basate su censure proprie ed autonome e, quindi, tali da necessitare una risposta ad hoc da parte di questo Giudice;

Considerato allora che va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in epigrafe, sollevata dal controinteressato sig. Te., giacché l’ordine di demolizione ha costituito un fatto controverso soltanto ai vizi d’illegittimità derivata, mentre per quelli autonomi una pronunzia, seppur chiesta in virtù dell’atto di costituzione e di gravame incidentale nel giudizio d’appello, non v’è stata a causa dell’ assorbimento complessivo statuito in sentenza, ancorché i relativi vizi autonomi si pongano in linea di principio su (o, meglio, siano stati prospettate come appartenenti ad) un piano logico diverso da quello dell’indebita estensione del regime di DIA a vicende non regolabili in tal modo;

Considerato che neppure convince l’altra eccezione, secondo cui l’odierna ricorrente sarebbe stata onerata a proporre con appello incidentale i vizi propri dell’ordinanza di demolizione -la sentenza del TAR avendoli respinti, come s’evincerebbe dal dispositivo e da un passaggio della motivazione, dal che l’impossibilità di riproporli nei modi ex art. 101, c. 1, c.p.a.-, in quanto il riferimento del dispositivo alla parte motiva della sentenza de qua è un usus scribendi generico e non connotante, mentre il passaggio della motivazione s’è limitato ad affermare che l’ordine di riduzione in pristino è stata una mera conseguenza dell’annullamento comunale in autotutela, donde anche in tal caso l’assenza di pronuncia sui predetti vizi;

Considerato pertanto che, in entrambi i gradi di giudizio, è mancata una statuizione per una svista in fatto, ma, per la sentenza n. 1298/2015, anche per un’evidente ragione, seppur inespressa e data per scontata perché intuitiva e che inficia la pretesa rescissoria, cioè l’impossibilità d’applicare l’art. 38, c. 1 del DPR 380/2001 alla peculiare vicenda in esame;

Considerato al riguardo che, quantunque il medesimo art. 38 (c. 2-bis) riguardi anche agli interventi edilizi di cui al precedente art. 22, c. 3 (quelli, cioè, con DIA) -pure nel caso d’accertamento sulla inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo-, nella specie anzitutto non è possibile la riedizione del titolo stesso emendato dai suoi vizi, trattandosi d’una DIA non utilizzabile per il tipo e la qualità dell’intervento edilizio, peraltro denunciato in violazione delle altezze massime del realizzando edificio e degli standard di zona, per cui ne sarebbe occorso un altro del tutto diverso, di talché è inapplicabile il principio sul punto enunciato dalla Sezione (cfr. Cons. St., IV, 12 maggio 2012 n. 2852; id., 12 maggio 2014 n. 2398) e va respinto il motivo sub III), riedito alle pagg. 13/14 del ricorso in epigrafe;

Considerato in secondo luogo che, e la ricorrente ben ne è consapevole, che l’annullamento in sede giurisdizionale del titolo ad aedificandum (seppur a seguito di DIA) implica sia l’illiceità delle opere edilizie realizzate in base ad esso, sia l’obbligo del Comune di dare esecuzione al giudicato, adottando (o, come nel caso in esame, riprendendo) i provvedimenti consequenziali e, sebbene non si debba necessariamente procedere alla demolizione delle opere realizzate (come prescrive l’art. 31 del DPR 380/2001) e vi sia una gamma articolata di possibili soluzioni, l’extrema ratio dell’ordine di demolizione e di remissione in pristino NON è sinonimo di illegittimità di procedervi ogni qual volta non sia possibile né sanare i vizi, né conservare il manufatto a cagione dell’insormontabile distonia, degli uni e dell’altro, con lo stato dei luoghi e con le prescrizioni di zona;

Considerato per vero che l’applicabilità delle misure alternative, invocate dalla ricorrente per parare la demolizione, in tanto si sarebbero potute render applicabili (con le differenti modulazioni lasciate al prudente apprezzamento del Comune in relazione allo stato di fatto), in quanto l’edificio di detta Società fosse risultato in parte o per taluni aspetti abusivamente realizzato e risultasse al contempo accertato che tal demolizione potesse creare un serio rischio statico alla residua parte legittima di tal edificio e non qualora, come nella specie, l’intero fabbricato sia stato assentito con un titolo edilizio interamente annullato;

Considerato, quindi, che l’impossibilità nella specie di procedere ai sensi del ripetuto art. 38, mercé l’uso di rimedi alternativi alla demolizione ed al ripristino, implica necessariamente che, a fronte di un giudicato che salva l’ordine di demolizione a causa delle predette distonie, tal provvedimento si pone come soluzione necessitata per assicurare l’effetto ripristinatorio del giudicato stesso, al fine di liberare lo stato dei luoghi da un edificio che, in quel modo e con quella consistenza, non si sarebbe mai potuto realizzare nel contesto di zona dato;

Considerato perciò che, interpretando il provvedimento in questione secondo buona fede ed in base a ragionevolezza, tale ordine non potrà che esser portato ad esecuzione con l’acquisizione, oltre alla demolizione ed al ripristino dello statu quo ante, del sedime del fabbricato e di tutte le aree che, in forza del progetto, gli sarebbero state asservite per esigenze di carattere urbanistico, senza toccare altri terreni che non rispondano a tal scopo;

Considerato quindi che, al di là dell’effetto rescindente del gravame revocatorio, la pretesa attorea rescissoria non ha pregio alcuno e va così respinta, la complessità della vicenda fin ab initio e giusti motivi suggerendo al Collegio l’opportunità di compensare l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 4136/2015 RG in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 9 giugno 2015, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Paolo Numerico – Presidente

Nicola Russo – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore

Giuseppe Castiglia – Consigliere

Depositata in Segreteria il 7 luglio 2015.

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