Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 7 aprile 2015, n. 1769

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10720 del 2014, proposto da:

Pl. Srl, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. An.St., Ma.Sa., con domicilio eletto presso Ma.Sa. in Roma, viale (…);

contro

Co. Spa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. An.Gu., Ce.Ma., con domicilio eletto presso An.Gu. in Roma, (…);

nei confronti di

It. Srl, in persona del legale rappresentante in carica, in proprio e quale Mandataria Rti, con Co. Spa, Rti-Co. Spa, rappresentate e difese dagli avv. Ma.Al., An.Di., con domicilio eletto presso An.Di. in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. del LAZIO –Sede di ROMA- SEZIONE III n. 11935/2014, resa tra le parti, concernente esclusione dalla procedura di gara per la fornitura di 22.000 pc portatili e servizi connessi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Co. Spa e di It. Srl in proprio e quale Mandataria Rti con Co. Spa e di Rti-Co. Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 marzo 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati An.St. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

 

Con la sentenza in epigrafe impugnata, assunta alla camera di consiglio del giorno 26 novembre 2014 fissata per la delibazione dell’incidente cautelare, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma – ha respinto il ricorso proposto dalla odierna parte appellante Soc Pl. Srl, volto ad ottenere l’annullamento della esclusione dalla procedura di gara aperta per la fornitura di 22.000 pc portatili e servizi connessi (id 1348 – lotto 2) indetta da Co. s.p.a. con bando pubblicato sulla G.U.C.E. del 24 ottobre 2013, recante un importo a base d’asta pari ad euro 7.870.000,00 IVA esclusa, nel corso della quale essa si era classificata al primo posto in graduatoria, conseguendo la aggiudicazione provvisoria.

Il ricorso, formalmente proposto anche contro la segnalazione dell’esclusione all’Autorità nazionale anticorruzione operata da Co., recava altresì correlativa richiesta di risarcimento dei danni.

Il Tar ha rammentato che l’esclusione patita dalla originaria ricorrente discendeva dalla acquisizione, nelle date 30 maggio 2014 e 13 giugno 2014, dei necessari DURC da parte di Co. e dal riscontro di irregolarità contributive a carico della medesima Pl. s.r.l. (debito di euro 64.640,00 verso l’INPS alla data del 17 dicembre 2013, regolarizzato il 17 febbraio 2014) e della sua ausiliaria S. s.p.a. (euro 207.602,96 verso l’INPS alla data del 6 dicembre 2013).

In contrario senso rispetto alla disposta esclusione, l’odierna appellante aveva fatto presente che dai DURC autonomamente acquisiti in data 21 marzo 2013 (dalla stessa Pl. s.r.l. r) e in data 10 luglio 2014 (dalla sua ausiliaria) entrambe le società figuravano in regola rispetto ai versamenti contributivi dovuti all’INPS, e che, inoltre, con riferimento alla posizione di S., l’Ente previdenziale aveva emesso una certificazione di regolarità alla data del 6 dicembre 2013.

Nell’unico motivo di ricorso Pl. s.r.l. aveva sostenuto l’illegittimità dell’esclusione in ragione della mancanza del carattere di gravità e definitività dell’accertamento delle violazioni contributive riscontrate dalla stazione appaltante.

Il primo giudice ha richiamato la propria pregressa giurisprudenza, ed ha fatto presente il convincimento per cui la – non contestata, ed anzi ammessa – sussistenza in capo a Pl. s.r.l. di un debito di natura previdenziale non onorato alla data di scadenza impediva in radice di dare ingresso alle censure di mancanza di definitività e di certezza delle violazioni commesse.

Ha in proposito ribadito la tesi per cui il concetto di definitività di cui all’art. 38, comma 1, lett. i) del D.lgs n. 163 del 2006 non può essere inteso in astratto, nel senso che, a fronte di un obbligo contributivo (o anche fiscale) non contestato, fosse necessario comunque – prima che la violazione potesse essere considerata “definitiva” – che l’ente preposto (INPS) avesse posto in essere tutti gli adempimenti successivi (finalizzati all’avvio della procedura di riscossione, anche coattiva) attraverso l’adozione degli avvisi di accertamento e/o di addebito e che, a sua volta, il contribuente avesse avuto la possibilità di esperire, nei termini di legge, i rimedi amministrativi (compresi eventuali istanze di rateizzazione) e giurisdizionali previsti dalla normativa vigente.

La tesi contraria collideva con il dettato della legge ed incentivava il ricorso a pratiche dilatorie.

La pacifica situazione debitoria della Pl. s.r.l. – ad avviso del Tar – era sufficiente, anche in presenza di un provvedimento di rettifica dell’INPS riguardo alla posizione della S., al rigetto delle censure che si appuntavano sulla esclusione dalla gara, sia sotto il profilo direttamente legato alla definitività dell’accertamento, che sotto quello legato (in via derivata dal primo) alla falsità della dichiarazione rilasciata in gara circa la regolarità contributiva, smentita dal fatto stesso dell’intervenuta regolarizzazione: ciò implicava la reiezione del petitum risarcitorio.

Quanto invece alla “porzione” delle dette censure, in quanto dirette anche contro la segnalazione all’ANAC operata da Co., esse dovevano essere dichiarate inammissibili, non avendo tale segnalazione contenuto immediatamente lesivo, tenendo presente che la lesione si determina solo con l’iscrizione della notizia nel casellario informatico o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria da parte dell’Autorità.

Il Tar ha quindi respinto integralmente il mezzo.

La originaria parte ricorrente, rimasta soccombente, ha impugnato la detta decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico.

Ha in proposito sostenuto la tesi che la statuizione era errata e frutto di una non corretta applicazione della vigente legislazione.

Il Tar infatti, pur avendo nella sostanza dato atto che la posizione della ausiliaria era regolare, e la contestazione era frutto di fraintendimento in quanto la posizione di S. s.p.a. era immune da mende, posto che si era al cospetto di un provvedimento di rettifica dell’INPS, ha incentrato il proprio esame sula posizione della Pl..

Ed ha tal proposito, ha sostanzialmente espresso il convincimento per cui:

a) un debito previdenziale v’era, alla data di partecipazione alla gara (precisamente alla data del 17 dicembre 2013);

b) non rilevava l’avvenuta regolarizzazione di tale debito alla data del 17 febbraio 2014.

Tale formalistica tesi, obliava il disposto degli artt. 5 e 7 del d.m. lavoro e previdenza sociale 24 ottobre 2007 (relativo appunto al documento unico di regolarità contributiva). La prima delle citate disposizioni regolamentari enumerava i casi di regolarità contributiva al ricorrere dei quali è consentito il rilascio del documento, mentre la seconda, al comma 3, obbliga l’ente previdenziale ad invitare l’impresa a regolarizzare la propria posizione in caso di <<mancanza dei requisiti di cui all’art. 5>>.

L’invito alla regolarizzazione, poi, era stato quindi recepito a livello di legislazione primaria, con l’art. 31, comma 8 d.l. n. 69 del 2013.

La più recente giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sezione V n. 05064/2014), aveva recepito dette innovazioni legislative, e pertanto di “irregolarità definitivamente accertata” poteva discorrersi soltanto laddove l’impresa a seguito di invito dell’ Amministrazione non avesse regolarizzato la propria posizione.

Tale fase procedimentale era stata infatti elevata a momento indispensabile dell’accertamento della situazione di irregolarità.

Nulla di tutto ciò era avvenuto nel caso di specie: l’impresa riteneva di vantare dei crediti, che aveva dedotto in compensazione ed effettivamente non aveva adempiuto agli oneri previdenziali; accertato che la procedura di compensazione era complessa, e necessitava dell’espletamento di adempimenti, aveva provveduto rapidamente ad onorare il proprio debito.

Essa non versava in condizione di irregolarità.

L’appellata ha depositato una memoria chiedendo che il ricorso in appello venga dichiarato inammissibile e comunque respinto ed ha sostenuto che l’appellante tentava surrettiziamente di modificare il thema decidendi: essa non aveva mai neppure attivato il procedimento di compensazione, per cui versava in stato di irregolarità insanabile.

Parte appellante, con memoria di replica, ha confutato la memoria dell’Amministrazione chiedendo l’accoglimento dell’appello.

Alla camera di consiglio del 27 gennaio 2015 fissata per la delibazione dell’incidente cautelare la Sezione, con la ordinanza n. 474/2015 ha respinto la richiesta di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza gravata alla stregua della considerazione per cui “Rilevato che – sia pure nella endemica provvisorietà della delibazione cautelare – l’appello non pare provvisto di decisivo fumus, in relazione alla circostanza che, comunque, ed a tutto concedere, anche a volere aderire al nucleo centrale della critica appellatoria (peraltro di recente disatteso dalla Sezione con la sentenza n. 06296/2014), l’appellante non ha dato dimostrazione di avere avvisto la procedura certificativa prodromica alla compensazione ex art. 13-bis del D.L. 7-5-2012 n. 52;

rilevato che comunque la controversia verrà sollecitamente fissata dalla Sezione per la delibazione di merito;”.

Tutte le parti processuali, in vista della pubblica udienza di trattazione del merito, hanno depositato memorie tese a ribadire e puntualizzare le rispettive censure.

Co., in particolare, ha sostenuto che l’appello doveva essere considerato inammissibile, in quanto l’appellante non aveva censurato la statuizione espulsiva resa con riferimento alla posizione della impresa ausiliaria: tale caposaldo della statuizione espulsiva, quindi, in quanto intangibile, privava l’appellante dell’interesse a coltivare il mezzo, perché anche qualora quest’ultimo fosse stato accolto, ugualmente sarebbe rimasta ferma la esclusione dalla gara di Pl..

Ha poi depositato in data 3.2.2015 la nota con la quale la Stazione appaltante aveva proceduto ad aggiudicare definitivamente la gara, (nota trasmessa via fax e ricevuta in pari data dall’appellante).

Parte appellante ha svolto un completo excursus delle più recenti pronunce giurisprudenziali sulla questione di merito ed ha ribadito che – in virtù della sopravvenienza normativa di cui all’art. 31 comma 8 della legge n. 98/2013 – il rigido orientamento che pretendeva di trarre conseguenze espulsive dal rilascio di un Durc irregolare non poteva applicarsi, laddove l’impresa non fosse stata destinataria di un invito alla regolarizzazione.

La controinteressata appellata ha chiesto respingersi l’appello ed ha fatto presente che la memoria di parte appellante era tardiva.

Alla pubblica udienza del 31 marzo 2105 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

 

DIRITTO

 

1. La infondatezza dell’appello impone la conferma dell’appellata decisione.

1.1. Per il vero evidenzia il Collegio che l’appello sarebbe divenuto improcedibile: ciò a cagione delle conseguenze ( pacifiche, in punto di sopravvenuta improcedibilità) della omessa impugnazione dell’aggiudicazione definitiva da parte della odierna appellante (secondo un indirizzo giurisprudenziale condiviso dal Collegio, la mancata impugnazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva dopo l’iniziale impugnazione del bando di gara determina l’improcedibilità per difetto di interesse del ricorso contro l’atto presupposto: da ultimo, T.A.R. Sardegna, I, 27 giugno 2014, n. 510, T.A.R. sez. I Milano , Lombardia 05/11/2014 n.2643). Invero l’aggiudicazione alla contro interessata fu comunicata dalla Stazione appaltante il 3.2. 2015, e non risulta che l’appellante abbia impugnato tale atto (ed il difensore, nel corso della discussione all’odierna udienza pubblica, né ciò ha affermato, né ha chiesto termine per impugnare il nuovo atto in primo grado).

L’appello andrebbe quindi dichiarato improcedibile.

1.2. Ma anche volendo prescindere da tale sopravvenuta emergenza processuale, esso non sarebbe e non è fondato.

1.2.1. Esso sarebbe stato ammissibile e va quindi disattesa la eccezione prospettata in tal senso da Co.,.

Invero questo Collegio ben conosce, e condivide la consolidata giurisprudenza secondo cui

“Ove l’atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante a rigetto della sua istanza. (Consiglio Stato , sez. VI, 31 marzo 2011 , n. 1981). “.Laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento.” (Consiglio Stato , sez. VI, 29 marzo 2011 , n. 1897).

E ritiene il principio traslabile alla ipotesi della omessa impugnazione di un capo autonomo della sentenza idoneo, anche isolatamente considerato, a sorreggere la statuizione gravata: è inammissibile per carenza di interesse, infatti, un gravame che non attinga l’intero ventaglio dei capi di decisione lesivi in quanto, anche ove accolto, non potrebbe travolgere la statuizione che – in carenza di impugnazione – è divenuta regiudicata.

Senonché, nel caso di specie non ricorre tale evenienza,.

La decisione di primo grado, seppur sinteticamente, così si è espressa con riferimento alla contestata irregolarità attingente la posizione della ausiliaria della odierna appellante: “la pacifica situazione debitoria della ricorrente Pl. s.r.l. è sufficiente – anche in presenza di un provvedimento di rettifica dell’INPS riguardo alla posizione della S. – per quanto detto in precedenza, al rigetto delle censure che si appuntano sulla esclusione dalla gara, sia sotto il profilo direttamente legato alla definitività dell’accertamento che sotto quello legato (in via derivata dal primo) alla falsità della dichiarazione rilasciata in gara circa la regolarità contributiva, smentita dal fatto stesso dell’intervenuta regolarizzazione;”.

Dalla lettura della motivazione, quindi, parrebbe che il Tar abbia affermato che la seconda “irregolarità” sottesa al provvedimento espulsivo fosse venuta meno: non era onere dell’appellante quindi, impugnare la detta statuizione e, semmai, sarebbe stata Co. a doverla gravare con appello incidentale, eventualmente subordinato.

Ciò che rileva ai fini in esame, comunque, è che il mezzo è certamente ammissibile.

1.3. Passando all’esame dei profili di merito, rileva il Collegio che la ricostruzione ermeneutica resa dal Tribunale amministrativo regionale si fonda su un approdo giurisprudenziale consolidato (Consiglio di Stato, sez. V, 16 settembre 2011, n. 5194; Consiglio di Stato sez. V 26/06/2012, n.3738), seppur in passato a volte contrastato da qualificata giurisprudenza di primo grado (T.A.R. Bari –Puglia- sez. II 06/11/2013 n.1497).

La ratio del principio di diritto affermato dal Tar riposa nel convincimento per cui il concetto di definitività di cui all’art. 38, comma 1, lett. i) del d.lgs n. 163 del 2006, non può essere inteso in astratto, nel senso che, a fronte di un obbligo contributivo (o anche fiscale) non contestato, è necessario comunque – prima che la violazione possa essere considerata “definitiva” – che l’ente preposto (INPS, nel caso di specie) ponga in essere tutti gli adempimenti successivi (finalizzati all’avvio della procedura di riscossione, anche coattiva) attraverso l’adozione degli avvisi di accertamento e/o di addebito e che, a sua volta, il contribuente abbia la possibilità di esperire, nei termini di legge, i rimedi amministrativi (compresi eventuali istanze di rateizzazione) e giurisdizionali previsti dalla normativa vigente.

Ciò in quanto eventuali contrarie opzioni ermeneutiche incoraggerebbero pratiche dilatorie dei pagamenti violando anche la par condicio tra i partecipanti.

In sintesi, il concetto di “definitività” nell’ambito della gare pubbliche va fotografato al momento della scadenza del termine di presentazione dell’offerta, nel senso che dubbi sulla debenza devono sussistere a quel momento, oppure, a quella data, deve risultare accolta una istanza di rateizzazione (cfr Cons. Stato, Ad. Plenaria, 5 giugno 2013, n. 15 in punto di obbligo tributario) ovvero deve essere stato presentato – e risultare ancora pendente – un ricorso amministrativo (se previsto) e/o giurisdizionale.

La tesi affermata dal Tribunale amministrativo, poi, si fonda su un ulteriore corollario, affermato dalla giurisprudenza pregressa prima richiamata: quello secondo cui la procedura di regolarizzazione contributiva prevista dall’art. 7, comma 3, del d.m. 24 ottobre 2007 non trova applicazione nel caso di richiesta di certificazione preordinata ai fini della partecipazione a gare d’appalto, le quali sono invece interessate dalla differente disciplina contemplata dal successivo art. 8, comma 3. L’art. 6, comma 3, d.m. cit., infatti, nel prevedere la sospensione del termine per il rilascio del D.U.R.C. fino all’avvenuta regolarizzazione, fa appunto salva la diversa disciplina dettata dal successivo art. 8 comma 3 del decreto (si veda, in termini, la Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 30/01/2008 n. 5). Ciò in linea con le esigenze di celerità che permeano le procedure di affidamento degli appalti pubblici, alle quali non si addice quel dilatarsi dei tempi per il rilascio del D.U.R.C. che sarebbe implicato dall’esigenza di consentire una regolarizzazione postuma, la quale non potrebbe poi comunque incidere sulle situazioni di irregolarità contributiva esistenti ad una determinata data.

Il Collegio condivide e fa proprie integralmente dette affermazioni.

1.3.1 Osserva in proposito, però, l’appellante che, recentemente, mercè il D.L. 21-6-2013 n. 69,

convertito in legge, con modificazioni, dall’ art. 1, comma 1, L. 9 agosto 2013, n. 98, all’art. 31 comma 8 (recante, significativamente “semplificazioni in materia di DURC”) è stata dettata una disposizione che così prevede:

“ai fini della verifica per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), in caso di mancanza dei requisiti per il rilascio di tale documento gli Enti preposti al rilascio, prima dell’emissione del DURC o dell’annullamento del documento già rilasciato, invitano l’interessato, mediante posta elettronica certificata o con lo stesso mezzo per il tramite del consulente del lavoro ovvero degli altri soggetti di cui all’articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, a regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a quindici giorni, indicando analiticamente le cause della irregolarità.”

La detta disposizione è antecedente al bando di gara, alla presentazione dell’offerta, ed al durc irregolare prodotto dalla Pl., e risalente al 17 dicembre 2013.

1.3.2 Una sentenza della Quinta Sezione di questo Consiglio di Stato (sentenza n. 05064/2014) ha di recente affermato che l’invito alla regolarizzazione – in passato contenuto negli artt. 5 e 7 del d.m. lavoro e previdenza sociale 24 ottobre 2007 – è stato recepito a livello di legislazione primaria, con il richiamato art. 31, comma 8 d.l. n. 69 del 2013; ed ha attribuito alla medesima una ampiezza tale da non trovare limitazione nel regime delle gare.

In altre parole – secondo la tesi contenuta nella decisione della Quinta Sezione in ultimo citata – la norma primaria costituisce la conferma di un preciso indirizzo di politica legislativa volto a favorire la massima partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici.

1.4. Pur senza contestare tale approdo, ritiene, però, il Collegio che la invocata disposizione di legge non possa condurre alle favorevoli conseguenze auspicate da parte appellante.

La circostanza che la stessa, al momento della presentazione della domanda partecipativa, versava in stato di irregolarità (“fotografato” dal Durc – documento questo che, come è noto, non è “disapplicabile” dalla stazione appaltante, neppure in sede giudiziale- ) non è neppure contestata da parte appellante.

Quest’ultima sostiene che tale stato di irregolarità sarebbe stato ascrivibile alla propria esigenza di compensare un credito vantato verso l’Amministrazione; soltanto successivamente essa si sarebbe “accorta della complessità di tale iniziativa”, ed avrebbe quindi deciso di pagare gli oneri previdenziali prima omessi. Senonché, come già colto in sede cautelare, tale asserita “esimente” non può essere invocata nel presente procedimento.

Per più ragioni: giuridiche, ma anche fattuali.

Stabilisce, infatti, il comma 5 dell’art. 13 bis del. d.L. 7-5-2012 n. 52 (nel testo modificato dall’ art. 31, comma 1, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98) che “Il documento unico di regolarità contributiva è rilasciato anche in presenza di una certificazione, rilasciata ai sensi dell’articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, come da ultimo modificato dal presente articolo, che attesti la sussistenza e l’importo di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da parte di un medesimo soggetto. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma, assicurando l’assenza di riflessi negativi sui saldi di finanza pubblica.”.

Il d .M. 13 marzo 2013 (recante: “Rilascio del documento unico di regolarità contributiva anche in presenza di una certificazione che attesti la sussistenza e l’importo di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da parte di un medesimo soggetto.”) all’art. 2 aveva doppiato la suindicata prescrizione primaria, prevedendo che “gli enti tenuti al rilascio del DURC, su richiesta del soggetto titolare dei crediti certificati di cui al comma 1 dell’art. 1 che non abbia provveduto al versamento dei contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi nei termini previsti, emettono il predetto documento con l’indicazione che il rilascio è avvenuto ai sensi del comma 5 dell’art. 13-bis del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94, precisando l’importo del relativo debito contributivo e gli estremi della certificazione esibita per il rilascio del DURC medesimo.”.

Il sistema normativo prevede, quindi, una certificazione attestante la sussistenza di un credito verso le amministrazioni, che legittima il rilascio del Durc “positivo” anche alla impresa che, sotto il profilo previdenziale, verserebbe in situazione debitoria e, quindi, irregolare: la condizione perché tutto ciò avvenga, riposa nell’iniziativa della parte imprenditrice, diretta ad ottenere la certificazione del credito.

Alcuna di tali iniziative fu intrapresa dall’appellante (quantomeno: essa non ha dimostrato di essersi attivata in tal senso, né che l’omesso rilascio della certificazione fu ascrivibile a ritardi/errori amministrativi), la quale oggi non può invocare tale circostanza, rimasta del tutto sfornita di prova.

Ne consegue che, non avendo essa ottenuto la certificazione dell’asserito credito vantato, non poteva che essere destinataria di un Durc irregolare; e che di esso l’Amministrazione non poteva non tenere conto.

1.5. In sintesi: ad avviso del Collegio, il dato rilevante da tenere in considerazione continua a riposare nella sussistenza di una regolare posizione contributiva al momento della presentazione della domanda; nella necessità che essa permanga durante tutta la durata della procedura evidenziale; nella necessità che l’Amministrazione esperisca la procedura ex art. 31 comma 8 succitato; nella necessità che, laddove per avventura.detta procedura non sia esperita, pertenga al destinatario del Durc irregolare attivarsi presso l’Amministrazione per far sì che essa esperisca la procedura ex art. 31 comma 8 citato.

L’omesso esperimento di tale procedura, tuttavia, non può viziare il rilascio del Durc (“negativo”) medesimo, sino a farlo considerare tamquam non esset: esso non può essere considerato, quindi, causa autonoma di invalidità del medesimo, ovvero condizione di valutabilità dello stesso da parte delle Stazioni appaltanti

Ciò, tanto più in una ipotesi quale quella verificatasi nel caso di specie, in cui il Durc – per espressa ammissione di parte appellante – non poteva non essere “irregolare”.

Invero, all’evidenza, la procedura di cui all’art. 31 comma 8 serve ad avvertire l’ignaro imprenditore della irregolarità della propria posizione contributiva, ed a consentirgli l’eventuale regolarizzazione.

Nel caso di specie, però:

a) l’appellante scientemente decise di non adempiere agli obblighi previdenziali;

b) sostiene di averlo fatto a cagione della sussistenza di un credito da dedurre in compensazione, ma non ha chiarito, né dimostrato quale fosse stato il credito da compensare e, soprattutto, risulta per tabulas che non aveva attivato la procedura compensativa.

1.6. Ciò che se ne ricava è quindi che:

a) il Durc rilasciato ben a ragione era “irregolare”;

b) se anche si fosse voluto (come auspicato da parte appellante) “disapplicare” il Durc negativo, e vagliare il merito della posizione previdenziale, essa era connotata da irregolarità: v’era un debito insoluto, e non era stata attivata la procedura di compensazione (né ad oggi è stato chiarito quale fosse il credito da compensare), per cui l’omessa attivazione da parte dell’Amministrazione della procedura ex art. 31 comma 8 citato risulta del tutto neutra.

1.7. Pertanto, sotto tali assorbenti profili l’appello si appalesa destituito di fondamento.

2. Conclusivamente, l’appello va respinto mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

3. Le spese processuali possono essere, però, integralmente compensate tra le parti, a cagione della novità e complessità delle questioni prospettate.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico – Presidente

Nicola Russo – Consigliere

Fabio Taormina – Consigliere, Estensore

Diego Sabatino – Consigliere

Alessandro Maggio – Consigliere

Depositata in Segreteria il 7 aprile 2015

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