consiglio di stato bis

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 6 aprile 2016, n. 1376

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6473 del 2014, proposto dalla società

Ap. III s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv.ti Ma. Pi. La., Ni. Mo., Ma. Ro. Or., e Ca. Ma. Del Co., con domicilio eletto presso Studio Pa. & An. in Roma, via (…);

contro

Regione Basilicata, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Ni. Pi., con domicilio eletto presso Regione Basilicata Ufficio Rappresentanza in Roma, via (…);

Dipartimento Attività Produttive, Politiche dell’Impresa e Innovazione Tecn. – Uff. Energia della Regione Basilicata;

nei confronti di

Pi. Eo. Srl, Vi. Ni., Dip.Nto Ambiente Territorio e Politiche della Sostenibilità – Uff. Compatibilità Ambientale Regione Basilicata;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la BASILICATA – Sede di POTENZA – SEZIONE I n. 00238/2013,e della sentenza del T.A.R. per la BASILICATA -Sede di POTENZA- SEZIONE I n. 00052/2014, rese tra le parti, concernenti risarcimento del danno per ritardato rilascio di autorizzazione per la realizzazione di un impianto fotovoltaico

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Basilicata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2016 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Mo. e Go. (per delega Pi.);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con le due sentenze in epigrafe impugnate, il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata ha scrutinato il ricorso proposto dalla parte odierna appellante teso ad ottenere l’accertamento del silenzio inadempimento della Regione Basilicata all’obbligo di provvedere sull’istanza presentata dalla società appellante e volta ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione ex art. 12 del d.Lg.vo n. 387/2003, per la costruzione di un impianto fotovoltaico con potenza di 1 MW e sulla connessa domanda risarcitoria.

In particolare:

a) mercé la sentenza non definitiva resa nel 2013, il primo giudice, ha accolto il ricorso ex artt. 31, commi 1, 2 e 3, e 117 cpa accertando che il termine dell’unico procedimento, finalizzato al giudizio di compatibilità ambientale ed al rilascio dell’autorizzazione ex art. 12 D.Lg.vo n. 387/2003 del 15.1.2011, sarebbe scaduto il 29.10.2011; ha pertanto ordinato alla Regione Basilicata di provvedere, all’emanazione del giudizio di compatibilità ambientale e dell’autorizzazione ex art. 12 D.Lg.vo n. 387/2003;

con la medesima sentenza parziale del 2013, il Tar ha respinto la domanda di risarcimento del danno emergente (pur facendo salva la facoltà della originaria ricorrente di provare nel prosieguo del giudizio altri danni a titolo di danno emergente) ed ha disposto incombenti istruttorii (riposanti in una relazione di chiarimenti richiesta al Dirigente della Divisione Fonti Rinnovabili del Dipartimento Energia del Ministero dello Sviluppo Economico) quanto alla domanda tesa ad ottenere la liquidazione dei danni da mancato guadagno e/o di lucro cessante rinviando ad una successiva udienza pubblica per la definizione del detto petitum.

b)la detta sentenza parziale è stata fatta oggetto di riserva di appello da parte della originaria ricorrente di primo grado.

c)nelle more della definitiva decisione della causa, la Regione Basilicata ha emanato il giudizio di compatibilità ambientale ed ha rilasciato alla odierna appellante l’autorizzazione ex art. 12 del d.Lg.vo n. 387/2003.

d)con la sentenza definitiva pubblicata nel 2014 in epigrafe indicata, il primo giudice, dato atto della sopravvenienza dei provvedimenti autorizzatori suindicati, (ed in considerazione della circostanza che la originaria ricorrente non aveva provato di aver subito altri danni a titolo di danno emergente) ha espresso il convincimento per cui il residuo petitum oggetto di scrutinio riposasse unicamente nella domanda di risarcimento danni, a titolo di mancato guadagno e/o di lucro cessante;

e) ivi il primo giudice ha in primo luogo perimetrato il materiale cognitivo esaminabile, ed a tale proposito, ha respinto l’istanza della difesa della Regione (avanzata ex art. 54, comma 1 cpa) di depositare ulteriore documentazione, atta a dimostrare l’assenza in capo alla odierna appellante del possesso dei requisiti, previsti dall’art. 10, comma 4, del del d.Lg.vo n. 28/2011 (ciò in quanto la Regione era già stata invano invitata a provare la dichiarata insussistenza in capo alla originaria ricorrente del possesso dei requisiti ex art. 10 del d.Lg.vo n. 28/2011, per cui appariva ingiustificabile l’omesso rispetto del termine prescritto ex art. 73 cpa);

f)ha quindi dichiarato la infondatezza, nella domanda di risarcimento danni, a titolo di mancato guadagno e/o di lucro cessante alla stregua del seguente iter motivo:

I)ha richiamato i contenuti essenziali della relazione del 4.10.2013 resa dal Dirigente della Divisione Fonti Rinnovabili del Ministero dello Sviluppo Economico ed ha fatto presente che ivi era stato accertato -in termini condivisibili ed immuni da censure- che la entrata in esercizio dell’impianto solare in questione avrebbe potuto avere luogo non prima del 2012;

II)ha osservato che da quanto sopra conseguiva l’impossibilità di poter conseguire le tariffe incentivanti del 2° bando del IV conto energia, (in quel procedimento erano stati ammessi agli incentivi solo gli impianti entrati in esercizio entro il 30.11.2011, mentre l’impianto di cui è causa sarebbe potuto entrare in funzione tutt’al più nel 2012).

III) ha quindi espresso il convincimento per cui, a tutto concedere; l’impianto avrebbe potuto ottenere le tariffe incentivanti, pari ad un “ammontare da erogare nei 20 anni di 3.510.000,00 €”, previste dal 1° bando del V conto energia, le cui domande andavano a scadere il 18.9.2012; e per far ciò,si sarebbero dovuti iniziare ed ultimare i lavori (entro la data stimata dalla relazione del Mise, nel 2012) prima della pubblicazione del predetto bando (avvenuta nella G.U. del 10.7.2012)

IV) la odierna appellante non aveva provato né dedotto che era nelle condizioni di poter finanziare interamente con risorse proprie l’ingente investimento iniziale e nello stato di incertezza determinato dalla circostanza per cui l’erogazione degli incentivi poteva essere terminata con il raggiungimento del tetto di spesa del IV conto energia, appariva difficile semplicemente ipotizzare che un istituto di credito avrebbe anticipato le somme necessarie per l’attivazione dell’investimento;

V)la domanda risarcitoria a titolo di mancato guadagno e/o di lucro cessante, è stata quindi integralmente respinta, perché l’altissima probabilità di non poter ottenere un finanziamento pari al costo iniziale dell’impianto da parte di un istituto di credito non consentiva neppure -ad avviso del Tar – la liquidazione di una qualsiasi percentuale delle tariffe incentivanti (pari ad un “ammontare da erogare nei 20 anni di 3.510.000,00 €”, previste dal 1° bando del V conto energia).

VI) preso atto, infine, della circostanza che la odierna appellante, in assenza delle predette tariffe incentivanti ed in ipotesi di reiezione della domanda risarcitoria a titolo di lucro cessante, aveva manifestato l’intenzione di non voler più realizzare l’impianto fotovoltaico in questione, il T.a.r. ha escluso che potesse esserle corrisposta alcuna somma, sempre a titolo di mancato guadagno e/o di lucro cessante, derivante dalla mancata vendita dell’energia, che l’impianto avrebbe potuto produrre, se l’autorizzazione ex art. 12 D.Lg.vo n. 387/2003 fosse stata rilasciata entro il termine procedimentale di 180 giorni, stabilito dal combinato disposto di cui agli artt. 6, comma 2, e 11 L.R. n. 47/1998 e 14 ter, comma 4, L. n. 241/1990.

2. La società originaria ricorrente rimasta soccombente ha impugnato le dette due decisioni criticandole sotto ogni angolo prospettico.

Ripercorso l’iter procedimentale -anche sotto il profilo cronologico – ha ha censurato i passaggi salienti delle decisioni di primo grado deducendo in particolare che:

a)nella sentenza non definitiva depositata nel 2013, il Tar aveva accertato la data entro cui la Regione avrebbe dovuto rilasciare l’autorizzazione unica (29.102011); tale statuizione era coperta da giudicato, in quanto non impugnata da alcuno (la Regione non aveva neppure fatto riserva di proporre appello avverso la detta decisione non definitiva);

b) il petitum disatteso dal Tar si strutturava nel seguente modo:

I)richiesta di risarcimento di lucro cessante da mancata percezione degli incentivi per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico;

II) richiesta di risarcimento di lucro cessante da mancata vendita dell’energia ricavabile dall’impianto;

III) richiesta di risarcimento di danno emergente riposante nei costi sostenuti per la realizzazione del progetto;

c) ci si trovava in presenza di una fattispecie di danno da ritardo, in quanto l’autorizzazione unica era stata rilasciata nel 2013, quando ormai non erano più percepibili gli incentivi (ed in carenza di questi ultimi la realizzazione dell’impianto non risultava essere conveniente economicamente); ciò in quanto, alla data del giugno 2012 (al momento,cioè, della proposizione del mezzo di primo grado) l’autorizzazione non era ancora stata rilasciata, ed il quadro normativo in punto di concedibilità degli indennizzi era stato modificato ex lege n. 27 del 24.3.2012

d)quanto al petitum indicato sub lett. I, essa aveva presentato tre domande gradate:

I)risarcibilità del danno, considerando provata la percepibilità degli incentivi di cui al c.d. Quarto conto energia;

II) risarcibilità del danno, considerando provata la percepibilità degli incentivi di cui al c.d. Quinto conto energia;

III)risarcibilità del danno, da perdita di chance;

e)il T.a.r. del tutto erroneamente aveva:

I)disatteso il primo petitum in quanto l’impianto non sarebbe stato ultimato e non sarebbe entrato in esercizio entro il 30.11.2011;

II) disatteso il secondo petitum sulla scorta di generiche, infondate, e probabilistiche considerazioni contenute nella relazione del Mise, recependole acriticamente;

III)disatteso la domanda (ulteriormente) subordinata di risarcimento della chance sulla scorta di non chiare ed apodittiche considerazioni probabilistiche sulla non finanziabilità dell’impianto.

f)quanto alla domanda di liquidazione del danno emergente, sia la sentenza parziale del 2013 che quella definitiva pubblicata nel 2014 erano incorse in errore e si fondavano su petizioni di principio; richiamando la tesi per cui ove fosse stata provata la non spettanza del bene della vita, i danni emergenti risarcibili erano soltanto quelli sostenuti dopo la scadenza del termine per provvedere, il T.a.r. aveva disatteso la domanda in quanto, asseritamente relativa a costi sostenuti antecedentemente alla scadenza del detto termine provvedi mentale;

ma il bene della vita (id est: autorizzazione unica) le spettava, tanto che era stata rilasciata; il perimetro temporale di riconoscimento dei danni (dal 29 ottobre 2011 al 27 giugno 2013) era errato e non teneva conto delle specifiche caratteristiche del progetto.

g)con l’ultima censura, ha riproposto la domanda di liquidazione, oltre che della sorte capitale, della rivalutazione e degli interessi.

3. L’appellata Regione Basilicata si è dapprima costituita con memoria di stile ed ha depositato documenti.

4. In data 21.1.2016 l’appellata Regione Basilicata ha poi depositato una memoria nell’ambito della quale, dopo avere ripercorso le principali tappe del contenzioso, ha sostenuto che:

a) dalla relazione del Mise, e dalla documentazione prodotta dalla stessa Regione, emergeva che l’impianto per cui è causa non poteva essere giammai realizzato per carenza dei requisiti legittimanti;

b)il ritardo della Regione non era legato da nesso di causalità con la mancata realizzazione dell’impianto, né (secondo motivo) sussisteva alcuna prova circa la riconducibilità del ritardo a dolo o colpa;

5. In data 25.1.2016 la società odierna parte appellante ha depositato una memoria mercè la quale:

a)ha chiesto la declaratoria di inammissibilità della documentazione prodotta dalla Regione a conforto delle considerazioni circa la infondatezza del proposto appello proposte nella propria memoria, in quanto “nuova”, e tardiva; il Tar, con la sentenza definitiva in epigrafe indicata aveva rigettato già in primo grado la detta richiesta di produzione: la Regione non aveva gravato detta sentenza, per cui la detta documentazione non era ammissibile;

b)ha sostenuto che comunque detta documentazione depositata era irrilevante, e che le considerazioni rese dalla Regione erano infondate e dovevano essere disattese;

6. In data 4.2.2016 la società odierna appellante ha depositato una memoria di replica nell’ambito della quale:

a) ha fatto presente che la Regione aveva contestato la richiesta risarcitoria di liquidazione del lucro cessante unicamente laddove quest’ultima era stata rapportata alla mancata percezione degli incentivi; nulla, invece, la appellata Regione Basilicata aveva dedotto quanto alla subordinata richiesta risarcitoria di liquidazione del lucro cessante rapportata alla possibile futura vendita dell’impianto fotovoltaico, ovvero di liquidazione della chance;

b)la contestazione della Regione era comunque inammissibile in quanto fondata su documenti che già invano essa aveva tentato di produrre, tardivamente, in primo grado; documenti nuovi, quindi, rispetto il giudizio di primo grado; già in possesso della parte intimata e non ostesi nel primo grado di giudizio;

c)tale tesi era tardiva: si sosteneva che l’appellante non avesse il possesso dei requisiti per erigere l’impianto, ma tale argomento era stato disatteso dal Tar, e la Regione non aveva appellato la sentenza di primo grado; .

d)essa era anche infondata, in quanto l’appellante era in possesso di tutti i requisiti previsti dal c.d. “decreto Romani” n. 28/2011, art. 10 comma 4.

e)la sentenza di primo grado (non appellata dalla Regione) aveva fatto proprie le considerazioni espresse nella relazione del Mise circa la possibile data di entrata in esercizio dell’impianto,, ed in carenza di impugnazione tale capo di sentenza integrava giudicato;

f)per il resto, la memoria depositata dalla Regione acriticamente faceva proprie le conclusioni della sentenza di primo grado in punto di non realizzabilità dell’impianto, ma tali apodittiche considerazioni erano smentite dalla circostanza che pochi mesi prima dell’avvio del procedimento di autorizzazione unica vi erano dei potenziali compratori interessati ad un impianto analogo a quello per cui è causa disposti a pagare la ragguardevole cifra di € 3.777.200.

g)quanto alla contestazione relativa alla liquidazione del danno emergente, la culpa della Regione emergeva per tabulas dall’omesso tempestivo rilascio della richiesta autorizzazione.

7. Alla odierna udienza pubblica del 25 febbraio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto.

1.1. Preliminarmente rileva il Collegio che:

a)è inammissibile la produzione documentale della Regione Basilicata in quanto:

I) “nuova” rispetto al giudizio di primo grado (art. 101 del cpa, 345 cpc);

II) già oggetto di richiesta di tardiva produzione in primo grado, disattesa dal T.a.r. con la sentenza definitiva avverso cui la Regione Basilicata non ha proposto appello;

b)parimenti inammissibili, per analoghe considerazioni, sono tutti gli argomenti difensivi e le eccezioni proposte dalla Regione Basilicata volte a sostenere la irrealizzabilità dell’impianto per problematiche urbanistiche ed assenza di requisiti, e/o a contestare le valutazioni del T.a.r. in punto di epoca di possibile realizzazione dell’impianto: la Regione Basilicata è rimasta soccombente in primo grado, e non ha impugnato né la sentenza parziale né la sentenza definitiva; su tali profili si è formato quindi il giudicato, che non può essere rimesso in discussione mediante considerazioni critiche esposte in una memoria difensiva.

1.2. L’unica problematica devoluta al giudizio del Collegio riposa quindi nella pretesa risarcitoria avanzata dalla società odierna appellante: ciò alla luce delle valutazioni già rese dal Tar ed integranti res iudicata in punto di realizzabilità dell’impianto e presumibile data di ultimazione del medesimo.

2. E proprio passando all’esame di dette tematiche, evidenzia immediatamente il Collegio che parte appellante muove da una premessa condivisibile (essa ha in effetti ottenuto l’autorizzazione unica cui aspirava) per giungere a conclusioni non in linea né con le condizioni di risarcibilità del c.d. “danno da ritardo” né con la stessa articolazione delle richieste risarcitorie dalla appellante medesima formulate.

2.1. Il punto dal quale è necessario muovere riposa nella costante affermazione della giurisprudenza secondo cui “il risarcimento del danno da ritardo relativo ad un interesse legittimo pretensivo non può essere avulso da qualsivoglia valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse; l’entrata in vigore dell’art. 2- bis, l. 7 agosto 1990, n. 241 non ha, infatti, elevato a bene della vita suscettibile di autonoma protezione, mediante il risarcimento del danno, l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; inoltre, il riconoscimento della responsabilità della Pubblica amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali sia imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato sia conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato.” (ex aliis T.A.R. Lecce, -Puglia-, sez. I, 16/12/2015, n. 3582).

Ciò, anche laddove venga prospettata la richiesta di liquidazione della chance (ex aliis T.A.R. Firenze,- Toscana, sez. II, 08/10/2013, n. 1345).

Il Collegio condivide detto approdo ermeneutico, dal quale non intende discostarsi, nella convinzione che allo stato attuale della legislazione esso costituisca l’unico punto di equilibrio per evitare il proliferare di richieste risarcitorie infondate, con le quali si stigmatizza un ritardo in relazione a pretese che non avrebbero avuto pratica possibilità di accoglimento.

In relazione a tali pretese, infatti, allo stato l’unica forma di protezione prevista dall’ordinamento sarebbe semmai, ricorrendone i presupposti, quella dell’indennizzo ex art. 2 bis comma 1 bis legge citata.

2.2. Nel caso di specie, l’appellante società cerca abilmente di ingenerare una commistione tra prova dell’avvenuto rilascio dell’autorizzazione, e prova del conseguimento del bene della vita.

Ma tale auspicata coincidenza, in realtà non sussiste.

2.3. Invero risulta provato (e non negato da parte appellante) che essa, sebbene latrice dell’autorizzazione unica (effettivamente rilasciatale seppur con ritardo) non procedette nella realizzazione dell’impianto eolico.

2.3.1. Ed a ciò non procedette sulla scorta di una (comunque insindacabile in questa sede) valutazione di convenienza economica, in quanto, per sua stessa ammissione, una volta che a cagione del ritardo nel rilascio del titolo abilitativo essa non avrebbe potuto accedere agli incentivi previsti per il detto impianto, non vi sarebbe stata convenienza economica nel realizzarlo.

2.3.2. Se così è, quindi, deve prendersi atto che il “bene della vita” auspicato dall’appellante non era il rilascio dell’autorizzazione in se è per se, quale unica condizione per la realizzazione dell’impianto, ma qualcosa di più complesso.

Id est: il rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione di un impianto che avesse potuto accedere ai finanziamenti (e, quindi: un impianto “finanziabile”, come peraltro a più riprese sostenuto nell’atto di appello).

2.3.3. Correttamente, quindi, il Tar ha rapportato a detto “valore” il giudizio sulla spettanza o meno del risarcimento richiesto da lucro cessante.

Ne consegue quindi -ed innanzitutto – che non è condivisibile la articolazione delle doglianze tese a distinguere il danno disceso dalla non conseguibilità dei finanziamenti, da quello relativo al lucro che si sarebbe potuto ritrarre dalla vendita dell’impianto.

La stessa appellante ammette che la appetibilità dell’acquisto dell’impianto in fieri, da parte di potenziali acquirenti, era riferibile non già all’impianto in se e per sé, ma alla condizione di un impianto realizzato in tempo utile per potere accedere ai finanziamenti.

Ed anche con riguardo alla richiesta subordinata, di liquidazione della chance, il riferimento è il medesimo: non trattasi di voci autonome, fondate su autonomi e distinti presupposti, ma di sfaccettature di una unica, possibile, “posta risarcitoria”.

2.4. L’unica tematica sulla quale è necessario interrogarsi, riposa quindi nella risposta al seguente quesito: laddove l’autorizzazione unica fosse stata tempestivamente rilasciata, sussistevano le condizioni affinchè l’appellante potesse acquisire il bene della vita, rappresentato, si ripete dalla realizzazione di un impianto fotovoltaico in grado di ottenere gli auspicati finanziamenti?

2.5.La risposta – negativa – del Tar, non appare criticabile.

2.6. In particolare, fondandosi sulla accurata relazione resa dal Mise in sede di verificazione, il Tar ha rilevato innanzitutto che l’appellante certamente non avrebbe potuto conseguire le tariffe incentivanti del 2° bando del IV conto energia, in quanto alla ultima data utile non sarebbe stato in possesso dei requisiti prescritti (in quel procedimento erano stati ammessi agli incentivi solo gli impianti entrati in esercizio entro il 30.11.2011, mentre l’impianto di cui è causa sarebbe potuto entrare in funzione tutt’al più nel 2012).

2.6.1. Tale profilo decisorio, appare al Collegio incontestabile.

Esso si fonda infatti su un dato cronologico: e la prognosi negativa, fondata su una analitica “simulazione” assume caratteristiche di certezza (si consideri peraltro che la relazione del Mise ha tenuto conto, quale parametro di riferimento, dei tempi minimi di realizzazione dell’impianto, pari a 40 giorni, piuttosto che fare la media con i tempi massimi, pari a 400 giorni).

In tale contesto, la critica dell’appellante poggia sulla circostanza che, in qualche caso, qualche impianto, simile a quello per cui è causa, sarebbe stato ammesso ad ottenere i finanziamenti, ma non scalfisce le considerazioni del Tar fondate su un criterio che va ben oltre la soglia del c.d. “più probabile che non”.

Tale articolazione della censura va pertanto decisamente disattesa, e la reiezione di questa si estende ai profili connessi e conseguenti (vendita dell’impianto autorizzato mercè l’accesso alle tariffe incentivanti del 2° bando del IV conto energia, e vendita dell’energia prodotta da un simile impianto).

Invero, accertato con certezza che l’impianto non sarebbe stato realizzato in tempo utile per accedere ai finanziamenti del predetto 2° bando del IV conto energia (e, si badi, seppure rifacendosi alla tempistica contenuta nella relazione del Mise, rapportata non ad una media ma ai tempi minimi di realizzazione) “cadono” le prospettazioni alternative relative alla vendita di energia o dell’impianto.

2.7. Il T.a.r. (seguendo lo stesso schema contenuto nella citata relazione del Mise) ha poi verificato se l’impianto avrebbe potuto ottenere le tariffe incentivanti previste dal 1° bando del V conto energia, le cui domande andavano a scadere il 18.9.2012.

2.7.1.La risposta del primo giudice (che si è largamente riportato alle conclusioni del Mise sul punto) appare anche in questo caso immune da mende.

2.7.2.Trattasi infatti di una valutazione che tiene conto non soltanto del dato “cronologico”,come pretenderebbe l’odierna parte appellante, ma che correttamente approfondisce il dato probabilistico.

2.7.3.Invero, in teoria, tenendo conto del dato meramente temporale si deve convenire che parte appellante avrebbe potuto terminare l’impianto nei tempi utili per potere in teoria ottenere le tariffe incentivanti previste dal 1° bando del V conto energia.

Sul punto può soltanto incidentalmente rilevarsi che la relazione del Mise tenuta presente dal Tar e non ritualmente criticata neppure in parte qua dalla Regione si è attenuta alla tempistica veramente “minimale”; basti pensare che, quanto al tempo di realizzazione dell’impianto, come si è detto, ha applicato il valore minimo assoluto (40 gg), pur dando atto di valori massimi pari a 400 giorni, e di un tempo medio pari a 225 giorni.

2.7.4. Senonchè tale dato teorico, si accompagna a valutazioni che ne escludono la pregnanza assoluta.

Invero è la stessa parte appellante che sottolinea che:

a)la costruzione dell’impianto sarebbe stata conveniente unicamente a condizione che si fosse certamente ottenuta l’auspicata erogazione degli incentivi (tanto che essa, abbandonò l’idea, una volta accertato che tale condizione non era possibile);

b)ciò è comprovato ab externo dalla circostanza (parimenti affermata dall’odierna appellante) che anche le manifestazioni di interesse di potenziali terzi acquirenti,riferibili ad impianti del genere analogo a quello per cui è causa, erano unicamente riferite ad impianti che avessero ottenuto i finanziamenti con certezza.

Al momento in cui l’appellante avrebbe dovuto intraprendere l’onerosa edificazione dell’impianto, la certezza di ottenere dette incentivazioni non sussisteva affatto (le considerazioni sul punto contenute nella relazione del Mise secondo cui l’erogazione degli incentivi poteva essere terminata con il raggiungimento del tetto di spesa del IV conto energia e correttamente recepite dal Tar non sono affatto scalfite dalle generiche ed indimostrate prospettazioni contenute nell’appello) e quindi per considerare lesa l’aspirazione dell’appellante di ottenere il bene della vita (unica condizione, si ripete, per ottenere il risarcimento del danno richiesto) dovrebbe essersi raggiunta la prova che la ferma volontà imprenditoriale di edificare l’impianto pur rischiando un investimento in perdita, laddove le incentivazioni non fossero state concesse, fosse supportata da una serie di dati (esemplificativamente: presenza di capitali propri sufficienti, accesso a linee di credito bancarie, ovvero presenza di un gruppo imprenditoriale che avesse accettatori finanziare la costruzione, etc etc) che rendessero perlomeno plausibile detta ipotesi.

2.7.5. Orbene,rileva il Collegio che di alcuno di tali elementi indiziarii v’è traccia agli atti del procedimento.

Si rammenta in proposito che secondo questo Consiglio di Stato (sez. V, 2 febbraio 2008 n. 490) “il danno, per essere risarcibile, deve essere certo e non meramente probabile, o comunque deve esservi una rilevante probabilità del risultato utile” e ciò è quello che “distingue la chance risarcibile dalla mera e astratta possibilità del risultato utile, che costituisce aspettativa di fatto, come tale irrisarcibile”.

Muovendo da tale condivisibile principio, rileva il Collegio che la posizione attiva dell’appellante non assume neanche la consistenza della chance (per una completa e condivisibile disamina della risarcibilità della chance incentrata sul criterio del “più probabile che non si veda Consiglio di Stato, sez. V, 28/04/2014, n. 2195) dal che consegue di necessità anche la reiezione di tale profilo di domanda (e di quelle connesse: vendita dell’impianto autorizzato mercè l’accesso alle tariffe incentivanti previste dal 1° bando del V conto energia, vendita dell’energia prodotta da un simile impianto), potendosi soltanto osservare, in più,che quanto alla vendita di energia, essa era ricompresa nel detto bando,per cui la domanda autonoma così formulata è,in realtà,una superfetazione del petitum principale.

3. Così integralmente disattesa la domanda risarcitoria del c.d.”lucro cessante”, in tutte le sue articolazioni, si osserva che analoga sorte va riservata alla domanda volta ad ottenere la corresponsione del “danno emergente”,siccome prospettato dall’odierna appellante.

3.1.Correttamente il T.a.r. (che pure nella sentenza non definitiva aveva “rimesso in termini” la società odierna appellante facultizzandola a provare tali circostanze anche nel prosieguo del procedimento) l’ha disattesa, per assoluto difetto di prova e di allegazione.

3.1.1. E’ sufficiente in proposito rilevare che non v’è in atti alcuna fattura,emessa dall’appellante società, che comprovi l’esborso di denaro da essa sostenuto in connessione con il progetto presentato,e per le “causali” dalla stessa ipotizzate (ad es. per la progettazione).

3.2.Invero, la uniforme giurisprudenza di primo grado (ex aliis, ancora di recente T.A.R. L’Aquila, -Abruzzo-, sez. I, 14/01/2015, n. 10; T.A.R. Bologna -Emilia-Romagna- sez. I 09 aprile 2015 n. 344) ha costantemente e condivisibilmente puntualizzato che nell’ipotesi in cui venga lamentato un danno procedimentale c.d. “da ritardo” mentre per il danno non patrimoniale (neppure richiesto, nell’odierno processo) è possibile procedere alla liquidazione secondo criterii equitativi, per le voci di danno patrimoniale occorre, rispettivamente “una concreta rendicontazione” per il danno emergente, ed anche con riferimento al lucro cessante,” non può comunque prescindersi da una indicazione, né generica né esplorativa, dei mancati guadagni, delle mancate occasioni e degli aggravi patrimoniali indiretti, scaturiti dal ritardo a provvedere.”.

3.3. Quanto al lucro cessante, si è già detto prima, e non occorre ripetersi.

Quanto al danno emergente, né in primo grado né nell’odierno grado di giudizio la società appellante ha allegato alcunché (nuovamente, si veda Consiglio di Stato, sez. V, 28/04/2014, n. 2195 sulla impossibilità della prova per presunzioni).

Premesso che non è criticabile l’orientamento del Tar secondo il quale, in caso di non spettanza del bene della vita, può essere risarcito soltanto il danno emergente, relativo alle spese necessarie, che devono essere sostenute nel periodo successivo al termine prestabilito di conclusione del procedimento fino alla data di emanazione del provvedimento (di diniego) conclusivo del procedimento, va puntualizzato che tutta la giurisprudenza di primo grado, sin da tempo risalente (ex aliis T.A.R. Latina, -Lazio-, sez. I, 29/10/2008, n. 1451) pur richiamando il principio di cui all’art. 2697 cc in punto di ripartizione dell’onere probatorio, ha sempre manifestato significative aperture in punto di prova del danno subito, facendo presente che esso poteva anche desumersi dalla produzione delle scritture contabili.

3.4. Come colto dal Tar, e come deve ribadirsi nell’odierno grado di giudizio, parte appellante non ha fornito alcuna prova in proposito, dal che discende la reieizione dell’appello anche con riferimento a tale ultimo profilo.

4.Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

4.1. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5. Sussistono tuttavia gli eccezionali motivi per compensare le spese di giudizio del grado, tenuto conto della specificità in fatto della vicenda processuale (comunque l’amministrazione regionale procedette con ritardo a rilasciare la prescritta autorizzazione) e tenuto conto della parziale novità delle questioni esaminate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese processuali del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere

Depositata in Segreteria il 06 aprile 2016.

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