Palazzo-SpadaConsiglio di Stato

sezione IV

sentenza 30 novembre 2015, n. 5408

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4084 del 2014, proposto da:

Fe. S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Ma.Ri., An. Sc., con domicilio eletto presso An.R. Sc. in Roma, Via (…);

contro

Gi.D’E., rappresentato e difeso dall’avv. Id.De., con domicilio eletto presso An.De. in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI: SEZIONE I n. 00137/2014, resa tra le parti, concernente ottemperanza della sentenza del Tar Puglia, Bari, n. 947/98 – corresponsione somme/indennità di buonuscita.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Gi.D’E.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2015 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati De.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il sig. Gi.D’E. è stato alle dipendenze delle Fe. (nel 1986 passate alla Gestione Commissariale Governativa delle Fe. e successivamente divenute Fe. S.r.l.) dal 26.7.1954 al 30.6.1991.

Con ricorso notificato in data 20.11.1993 ed iscritto al n. 2001/1993 R.G., il sig. D’E. ha chiesto al TAR Puglia l’accertamento dei criteri di liquidazione dell’indennità di buonuscita relativa all’intercorso rapporto di lavoro e la condanna della Gestione Commissariale Governativa delle Fe. al pagamento delle relative somme, nella misura dovuta.

In tale ricorso, l’istante ha dedotto, a sostegno della propria domanda, di aver percepito, a titolo di indennità di buonuscita, la complessiva somma di £ 59.913.951 lorde (con un netto di £ 52.019.249), a fronte di una spettanza pari a £ 153.194.826, da maggiorare con la rivalutazione della contingenza e, sull’importo così determinato, con l’ulteriore maggiorazione di interessi legali e rivalutazione monetaria dal giorno del collocamento a riposo sino all’effettivo soddisfo.

Con sentenza 19.12.1998 n. 947, passata in giudicato, il TAR Puglia, in parziale accoglimento del predetto ricorso, ha statuito che, ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, concorrono a costituire la base di computo della retribuzione i seguenti emolumenti: scatti di anzianità, indennità di contingenza, indennità sostitutiva di mensa, assegni personali, competenze accessorie corrisposte in modo saltuario o variabile (ex art. 6, lett. c, CCNL 23.7.1976 applicabile alla fattispecie). Nella sentenza de qua è stato anche precisato che “deve computarsi altresì l’indennità di contingenza sull’indennità di trasferta e diaria”. Sulla scorta di tali considerazioni, il TAR ha riconosciuto il diritto del sig. D’E. all’indennità di trattamento di fine servizio nella misura risultante dal computo (anche) dei richiamati emolumenti.

Nonostante i ripetuti solleciti, la Gestione commissariale è rimasta inadempiente rispetto alle obbligazioni riconosciute a suo carico dalla citata sentenza definitiva del TAR Puglia.

Pertanto, con ricorso iscritto al n. 1980/2000 R.G., il sig. D’E. ha nuovamente adito il TAR Puglia, sede di Bari, per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla citata sentenza n. 947/1998.

A seguito della proposizione del citato ricorso per ottemperanza, la Gestione commissariale ha riconosciuto al sig. D’E. la somma di £ 56.721.571, della quale ha versato al ricorrente £ 41.827.802, al netto delle detrazioni Irpef, somma ritenuta dal D’E. non satisfattiva dell’intera pretesa creditoria nascente dal giudicato da eseguire.

Il D’E., pertanto, ha comunicato alla Gestione commissariale di F. di accettare e riscuotere la predetta somma soltanto quale anticipazione sul maggior importo complessivamente dovuto.

Dopo aver disposto incombenti istruttori (sentenza interlocutoria 7.3.2001, n. 618), il Collegio, preso atto che nelle more era

intervenuta la successione ex lege delle Fe. S.r.l. alla predetta Gestione commissariale governativa delle Fe., ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto dì giurisdizione del Giudice amministrativo

in quanto il soggetto subentrato alla Gestione Commissariale Governativa “è un Ente di diritto comune” (cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. 1, sentenza 15.4.2003, n. 1683).

Conseguentemente, nel 2004 il sig. D’E. ha azionato le proprie ragioni di credito dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria, con procedura monitoria, all’esito della quale il Tribunale di Bari, Sez. Lavoro, con decreto ingiuntivo n. 2187/2004, ha intimato alla Fe. S.r.l. di pagare, in favore del ricorrente, la somma di Euro 58.125,00 (pari alla differenza tra l’intero TFR dovuto, all’epoca ammontante a complessive £ 172.459.863, e gli acconti effettivamente erogati dalla F.), oltre interessi legali e danno da svalutazione monetaria come per legge.

Tuttavia, all’esito del giudizio di cognizione (R.G. n. 19625/2004), instaurato, in data 8.9.2004 dalla Fe. S.r.l. con atto di opposizione al predetto decreto ingiuntivo, il Tribunale di Bari, Sez. Lavoro, con sentenza n. 15207 depositata in cancelleria in data 7.8.2008, ha dichiarato “la carenza di giurisdizione del Giudice Ordinario in favore del Giudice Amministrativo” e, per l’effetto, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto.

Con ricorso in appello depositato in data 15.5.2009, il sig. D’E. ha impugnato la predetta sentenza, chiedendo alla Corte d’Appello di Bari, Sez. Lavoro, di dichiarare la giurisdizione del Giudice ordinario ovvero, in subordine, di rimettere le parti davanti al Giudice ritenuto munito di giurisdizione, con salvezza degli effetti sostanziali e processarli della domanda.

La Corte d’Appello di Bari, Sez. Lavoro, con sentenza n. 5302 pubblicata in data 24.10.2012, condividendo le motivazioni della sentenza appellata, ha respinto l’impugnazione proposta dal sig. D’E. e ha confermato la carenza di giurisdizione dell’AGO in favore del Giudice amministrativo.

Non avendo la F. riscontrato l’atto stragiudiziale di diffida e messa in mora notificatole in data 11.4.2013, vertendosi in ipotesi di (parziale) inottemperanza al giudicato da parte della Fe. S.r.l., il sig. D’E. ha proposto, dinanzi al TAR Puglia, sede di Bari, un ricorso ex art. 112 e ss. c.p.a.

La F., costituitasi in giudizio, ha eccepito preliminarmente, per un verso, l’inammissibilità del ricorso per decadenza conseguente al superamento del termine del 15 settembre 2000 stabilito dall’art. 69, co. 7, del d.lgs. n. 165/2001 e, per altro verso, la tardiva riassunzione del giudizio, sopra richiamato, introdotto dinanzi alla Corte d’Appello di Bari, Sez. Lavoro, oltre il termine fissato dall’art. 50 c.p.c. Nel merito, ha eccepito l’infondatezza del ricorso, asserendo di aver pienamente ottemperato, con il pagamento già effettuato, al dictum contenuto nella sentenza di cui il sig. D’E. ha chiesto l’esecuzione; inoltre ha contestato il calcolo del quantumdebeatur prospettato nel ricorso e ha affermato l’estinzione di ogni obbligazione gravante in capo alla Società.

Con sentenza n. 137 del 30.1.2014, il TAR Puglia, Bari, Sez. I, respinte le eccezioni preliminari sollevate dalla F., ha accolto la domanda del sig. D’E., ordinando alla Società datrice di lavoro di eseguire la sentenza ottemperanda “senza escludere alcun emo1umento tra quelli espressamente indicati nella motivazione della stessa sentenza da porre a base del computo della retribuzione rilevante ai fini della liquidazione del trattamento di fine rapporto”. Con la stessa sentenza, il TAR Puglia ha altresì assegnato alla F. il termine di giorni 60 dalla notifica per il pagamento delle somme suindicate; ha accolto l’ulteriore domanda formulata del sig. D’E. ai sensi dell’art. 114, co. 4, lett. e), c.p.a., condannando la F. ai pagamento in suo favore, a titolo di penalità di mora, della somma di Euro 10,00 per ogni giorno successivo alla scadenza del predetto termine di gg. 60 in caso di ulteriore, perdurante inadempimento della debitrice e, infine, ha condannato la F. alla refusione delle competenze di lite.

Con il proposto gravame, la F. impugna, sotto diversi profili, la decisione del TAR Puglia, Bari, n. 137/2014 cit., chiedendone l’integrale riforma.

Il sig. Gi.D’E., costituitosi in giudizio con memoria, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità ovvero, comunque, la reiezione dell’avverso appello, con conseguente conferma della sentenza gravata.

Alla camera di consiglio del 26 maggio 2015 la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

In primo luogo l’appellante F. censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i presupposti per la rimessione in termini del sig. D’E., per errore scusabile, in applicazione dell’art. 37 c.p.a.

La censura appare priva di fondamento.

Come noto, infatti, è pienamente legittima la concessione da parte del giudice, anche d’ufficio, del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile allorché sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto, dovuta ad una situazione normativa obiettivamente ambigua o confusa, ad uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, alla particolare complessità della fattispecie concreta, a contrasti giurisprudenziali o al comportamento dell’amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11.9.2014, n. 4623).

Nel caso di specie, come si evince plasticamente dalla narrativa del fatto, non appare revocabile in dubbio la sussistenza dei presupposti per far luogo all’applicazione dell’art. 37 c.p.a., attesa l’oggettiva situazione di grave incertezza che si è venuta a creare a seguito del continuo e ripetuto spostamento di giurisdizione determinato dalle diverse pronunzie del TAR Puglia e del Giudice Ordinario (Tribunale e Corte d’Appello di Bari) che si sono succedute nella vicenda per cui è causa.

A ciò si aggiunga che tale situazione di grave incertezza è stata determinata, o quanto meno alimentata, proprio dalla condotta processuale di parte appellante, che, nell’originario giudizio di ottemperanza dinanzi al TAR ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo e successivamente, nei due gradi di giudizio dinanzi all’AGO, ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario.

E’ evidente, dunque, che le pronunzie susseguitesi nel corso degli anni (così come richiamate nella narrativa del fatto), tutte dichiarative (in accoglimento delle predette eccezioni della F.) del difetto di giurisdizione sia del GA sia dell’AGO, hanno ridotto l’odierno appellato in uno stato di totale confusione ed incertezza.

In ogni caso, rileva il Collegio che la domanda proposta dal sig. D’E. dinanzi al TAR Puglia (accolta. con la sentenza gravata in sede odierna) è stata introdotta, come detto, con ricorso per ottemperanza al giudicato, azione che, ai sensi dell’art. 114 c.p.a., è soggetta al termine decennale di prescrizione decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza ottemperanda.

Orbene, non appare revocabile in dubbio che il decorso della prescrizione è stato nella specie interrotto dalle svariate iniziative assunte dal sig. D’E. sia in sede giudiziale, sia in sede stragiudiziale tramite le numerose diffide e messe in mora (l’ultima delle quali risale all’11.4.2013), per cui è evidente che l’eccezione, introdotta in questa sede come motivo di appello, è destituita dì fondamento.

In secondo luogo, l’appellante F. contesta, nel merito, la pronunzia gravata nella parte in cui ha ricostruito, attraverso il puntuale richiamo dei più salienti passaggi motivazionali della sentenza ottemperanda, quali sono le voci retributive che costituiscono la base di calcolo dell’indennità di buonuscita richiesta dal sig. D’E..

Più precisamente, la censura proposta s’incentra, in estrema sintesi, sul seguente assunto: è vero che la sentenza ottemperanda (TAR Puglia, n. 947/1998) ha ricompreso nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita anche “le competenze accessorie corrisposte in modo saltuario o variabile”, così come dal sig. D’E. richiesto nel ricorso originario e ribadito nel ricorso per ottemperanza, ma – sostiene parte appellante – tale affermazione contenuta nella sentenza ottemperanda del 1998 sarebbe inficiata da un macroscopico errore materiale nella trascrizione del testo dell’art. 6 del CCNL di riferimento.

Così riassunta la censura di parte appellante, trattasi di censura infondata.

Com’è noto, infatti, l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell’esatto adempimento dell’obbligo dell’amministrazione di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione (cfr. Cons. St., sez. V, 30 agosto 2013, n. 4322; 23 novembre 2007, n. 6018; 3 ottobre 1997, n. 1108; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; 17 ottobre 2000, n. 5512).

Ne consegue, pertanto, che nel giudizio di ottemperanza non possono trovare ingresso questioni indipendenti dal giudicato, ossia tali da costituire oggetto di un’autonoma controversia, essendo il Giudice dell’ottemperanza tenuto ad attenersi alle risultante del giudicato, e, di conseguenza, ogni eventuale vizio o errore della sentenza (della cui esecuzione si tratta) deve essere fatto valere con i mezzi di impugnazione (di tale sentenza) previsti dall’ordinamento (Cons. Stato, Sez. VI, 15.9.2004, n. 5956).

Alla stregua di tali principi, dunque, come fondatamente eccepito dall’appellato, consegue che è evidente l’infondatezza del motivo con il quale F. pretende di rimettere in discussione le statuizioni contenute nella sentenza ottemperanda.

Come detto, infatti, il sindacato del giudice dell’ottemperanza deve necessariamente attenersi al dictum contenuto nella sentenza ottemperanda e non può in alcun modo metterne in discussione il contenuto.

Pertanto, la censura avrebbe potuto trovare ingresso in sede di impugnazione della sentenza n. 947/1998, ma non certo nel presente giudizio, che ha ad oggetto unicamente le statuizioni contenute nella sentenza n. 137/2014, con la quale il TAR. Puglia ha ordinato alla F. di dare integrale e corretta esecuzione alla citata pronunzia n. 947 del 1998, passata in giudicato, senza in alcun modo intaccarne il contenuto.

Infine, come pure eccepito dall’appellato, infondata è anche la censura rivolta da parte appellante avverso il capo della sentenza n. 947/ 1998 “inerente la necessità del computo dell’indennità di contingenza sull’indennità di diaria e trasferta” (pagg. 9-10 dell’appello). Anche sotto tale profilo, infatti, l’appellante pretende di censurare non già la sentenza appellata, n. 137/2014, di esecuzione del giudicato, bensì la sentenza n. 947/1998, di merito, ormai da tempo divenuta inoppugnabile e passata in cosa giudicata.

L’appello, pertanto, in quanto infondato nel merito deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese della presente fase seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla refusione delle spese della presente fase in favore dell’appellato, liquidandole complessivamente in euro 3.000,00 oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio – Presidente

Nicola Russo – Consigliere, Estensore

Sandro Aureli – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Depositata in Segreteria il 30 novembre 2015.

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