Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30 maggio 2017, n. 2567

L’art. 17, co. 3, lett. d) DPR n. 380/2001 prevede la esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”. Il presupposto della “pubblica calamità” deve essere inteso come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 30 maggio 2017, n. 2567

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5086 del 2016, proposto da:

Nu.Gu. e Ra. Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Ti.Ug., St.Io., con domicilio eletto presso lo studio St.Io. in Roma, via (…);

contro

Comune di Monza, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa.Mi., Pa.Gi.Br., con domicilio eletto presso lo studio Pa.Mi. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE II n. 01079/2016, resa tra le parti, concernente quantificazione contributo di costruzione a fronte del rilascio del permesso di costruire

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Monza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati S. Ionata e P. Migliaccio, anche su delega di P.G. Brambilla;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’appello in esame, la società Nu.Gu. e Ra.s.r.l. impugna la sentenza 25 maggio 2016 n. 1079, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. II, ha respinto il suo ricorso avverso il provvedimento del Responsabile del Settore governo del territorio del Comune di Monza 11 aprile 2015, nella parte in cui con tale provvedimento, oltre a rilasciare il richiesto permesso di costruire, è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione per un importo di Euro 257.377,54.

La società espone di essere proprietaria di un immobile a destinazione produttiva, realizzato sulla base di concessione edilizia del 1985 e di aver dovuto richiedere nuovo titolo edilizio, al fine di ricostruire una porzione del fabbricato, crollata a seguito di un incendio; tanto anche per ottemperare ad una ordinanza emessa in data 24 settembre 2012 dal Comune di Monza, di ripristino delle condizioni minime di sicurezza delle unità interessate dall’incendio.

La presente controversia concerne, in sostanza, la sussistenza dell’obbligo di corrispondere il richiesto contributo di costruzione, in occasione di interventi edilizi effettuati nelle circostanze come innanzi descritte.

La sentenza impugnata afferma, in particolare:

– non ricorre il motivo di esenzione dal pagamento del contributo di costruzione, di cui all’art. 17, co. 3, lett. d) DPR n. 380/2001, poiché il caso verificatosi non può essere annoverato tra le “pubbliche calamità”, poiché si “è trattato di un episodio grave e dannoso per l’impresa, ma non certo catastrofico, le cui conseguenze nocive sono risultate arginabili mediante l’attuazione di normali operazioni di messa in sicurezza, né tantomeno risultano essere stati adottati piani di emergenza o di evacuazione dei residenti, a conferma del fatto che non è stata messa ad immediato repentaglio… la pubblica incolumità”;

– nel caso di specie, ricorre un’ipotesi di ristrutturazione edilizia, intervento per il quale la delibera 3 novembre 2008 n. 43 della Giunta Comunale di Monza ha previsto che “per gli interventi di ristrutturazione comportanti demolizione e ricostruzione si applichino gli oneri di urbanizzazione relativi alle nuove costruzioni”.

Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando in relazione alla dedotta violazione ed omessa applicazione degli artt. 16, co. 1 e 17, co. 3, DPR n. 380/2001; travisamento dei fatti; ciò in quanto l’adozione da parte del Comune di Monza dell’ordinanza di messa in sicurezza dell’immobile “dimostra come l’evento accidentale non abbia inciso solo ed esclusivamente sulla ricorrente società, ma abbia avuto delle conseguenze tali da mettere in pericolo (anche solo potenziale) la collettività”; d’altra parte, la norma invocata “non specifica che gli interventi esonerati dal pagamento degli oneri di urbanizzazione debbono essere conseguenza di catastrofi tali da richiedere l’adozione di piani di emergenza o di evacuazione o l’attuazione di straordinarie operazioni di messa in sicurezza”;

b) error in iudicando in relazione alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 44 l. reg. Lombardia n. 12/2005 e degli artt. 16, 17, co. 3 e 22, co. 7, DPR n. 380/2001; erronea interpretazione art. 27 l. reg. n. 12/2005 e art. 3 DPR n. 380/2001; ciò in quanto: b1) “il permesso di costruire è stato richiesto per ripristinare quella parte di fabbricato distrutto dall’incendio accidentalmente occorso; le opere da realizzare non hanno alcuna incidenza sul territorio, sia sotto il profilo della trasformazione dell’area oggetto di intervento sia in termini di aggravio del carico urbanistico della zona” ed inoltre a suo tempo la società ha già corrisposto gli oneri dovuti per realizzare quella parte del fabbricato ora da ricostruire a seguito di incendio; b2) nel caso di specie non ricorre l’ipotesi di ristrutturazione edilizia, quanto un intervento di manutenzione straordinaria, come definito dall’art. 27, co. 1, lett. b) l. reg. n. 12/2005;

c) error in iudicando in relazione alla dedotta violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990; difetto assoluto di motivazione; violazione artt. 41 e 43 Cost. e dei principi generali di buona amministrazione, correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa; irragionevolezza, poiché “proprio in considerazione della peculiarità della fattispecie, la P.A. aveva il dovere di enunciare, in virtù del generale obbligo di motivazione gravante sulla stessa, le ragioni di fatto e di diritto che giustificano il contenuto dell’atto” ed inoltre avrebbe dovuto esplicitare le operazioni di calcolo che hanno portato alla definizione della somma richiesta.

Nel corso del giudizio, con decreto cautelare monocratico 24 giugno 2016 n. 2478, il Presidente della IV Sezione ha concesso la richiesta misura cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata “limitatamente al pagamento della somma pari al 50%” di quanto richiesto”.

Ciò nonostante l’appellante società ha deciso di rinunciare all’istanza di sospensione, onde evitare di incorrere “in eventuali ed ulteriori maggiorazioni dell’importo e in decadenza del titolo abilitativo”, ribadendo al contempo, con contestuale istanza di prelievo, l’esigenza della decisione della controversia nel merito.

Si è costituito in giudizio il Comune di Monza, che ha preliminarmente eccepito l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuto difetto di interesse, poiché la società appellante, pur a fronte di un provvedimento cautelare che, come si è detto, le consentiva di versare solo il 50% della somma richiestale, ha provveduto al versamento dell’intero ammontare, tenendo dunque un comportamento “in aperto contrasto con la volontà di impugnare la sentenza” e tale da integrare “una sostanziale accettazione degli effetti della stessa”.

Il Comune di Monza ha comunque concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.

3. Il Collegio deve innanzi tutto rigettare l’eccezione di improcedibilità dell’appello per sopravvenuto difetto di interesse proposta dal Comune di Monza.

Ed infatti, la circostanza che la ricorrente abbia deciso di rinunciare all’istanza cautelare, procedendo al pagamento di quanto richiestole dal provvedimento impugnato (ed in ottemperanza ad una sentenza di I grado provvisoriamente esecutiva), non comporta ex se acquiescenza alla sentenza medesima, e dunque la sopravvenuta improcedibilità dell’appello.

In linea generale, occorre affermare che la richiesta di misura cautelare (in questo caso, di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata) costituisce una scelta processuale autonoma della parte appellante, che ben potrebbe da un lato procedere ad impugnazione della sentenza, dall’altro a darle esecuzione.

Ne consegue che, in difetto di elementi ulteriori ed univoci che depongono in senso opposto, cioè tali da rendere palese una chiara acquiescenza alla decisione pronunciata in I grado, l’ottemperanza alla sentenza provvisoriamente esecutiva, intervenuta successivamente alla proposizione dell’appello ed in pendenza di questo (ovvero in momento anche antecedente, ma con chiara riserva di impugnazione e/o di esclusione di ogni volontà acquiescente), non può determinare alcuna inammissibilità e/o improcedibilità dell’appello per difetto di interesse (originario o sopravvenuto).

Tali considerazioni non mutano laddove sia stato già concesso un provvedimento cautelare favorevole (ai cui effetti si rinuncia), poiché – in disparte ogni considerazione sull’efficacia del decreto cautelare monocratico, temporalmente limitata fino all’udienza in camera di consiglio volta ad esaminare la domanda cautelare – anche questa rinuncia costituisce facoltà della parte processuale e non può di per sé comportare acquiescenza e dunque improcedibilità dell’appello.

4. Nel merito, il Collegio ritiene opportuno rilevare – anche al fine di meglio circoscrivere le ragioni per le quali l’appello deve essere accolto – che sia il motivo con il quale si censura la sentenza impugnata per non aver considerato applicabili, nel caso di specie, gli artt. 16, co. 1 e 17, co. 3, DPR n. 380/2001, recante quest’ultimo (lett. d) l’esenzione per la ricostruzione a seguito di “pubbliche calamità” (motivo sub lett. a) dell’esposizione in fatto), sia il motivo con il quale si censura la sentenza per non aver ricondotto le opere alla manutenzione straordinaria, anziché alla ristrutturazione edilizia (sub lett. b1) dell’esposizione in fatto), sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.

4.1. Quanto al primo, occorre premettere che il permesso di costruire è provvedimento naturalmente oneroso (da ultimo, Corte Cost., 3 novembre 2016 n. 231), di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio (Corte Cost., n. 231/2016 cit.).

L’art. 17, co. 3, lett. d) DPR n. 380/2001 prevede la esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”.

Si tratta di due distinte ipotesi, ambedue sorrette dal presupposto della “pubblica calamità”. Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.

Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità e la differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi, l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento.

Se, dunque – come sostenuto dall’appellante – l’evento deve caratterizzarsi per straordinarietà, imprevedibilità e una portata tale da essere “anche solo potenzialmente pericoloso per la collettività”, ciò non è, tuttavia, sufficiente a qualificarlo quale “calamità pubblica”, posto che deve comunque trattarsi di un evento non afferente a beni determinati e non affrontabile e risolvibile con ordinari strumenti di intervento, sia sul piano concreto che su quello degli atti amministrativi.

In senso riconducibile al concetto ora espresso, gli artt. 2, co. 1, lett.c) e 5 l. 24 febbraio 1992 n. 225, prevedono il conferimento di poteri straordinari di ordinanza per il caso di “calamità naturali” (e, come tali, “pubbliche”), e l’art. 54 DPR 8 agosto 2000 n. 267, conferisce al Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere (delegabile nei limiti previsti dal medesimo articolo) di emanare ordinanze contingibili ed urgenti “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; potere di ordinanza che va tenuto distinto da quello, di carattere “ordinario” e riferito al Sindaco quale rappresentante della comunità locale, previsto dall’art. 50 del medesimo Testo Unico degli Enti locali.

In conclusione, perché possa ricorrere l’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17 cit., occorre che gli interventi da realizzare costituiscano attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li prevedono (e non siano invece effetto di una scelta volontaria del soggetto, sia pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che siano stati adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.

Nel caso di specie, l’incendio che ha colpito l’immobile della società ricorrente, se pur grave e tale da poter divenire fonte di pericolo per la collettività, ove non tempestivamente circoscritto, tuttavia si caratterizza quale evento che ha colpito beni specifici e che, per dimensioni, caratteristiche ed intensità, è stato tale da non richiedere particolari interventi di contrasto o esercizio di poteri straordinari.

Ne consegue, quindi, la inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 17, co. 3, lett. d) DPR n. 380/2001.

4.2. Quanto al secondo profilo del secondo motivo innanzi indicato, occorre osservare che la natura dell’intervento da realizzare fuoriesce dall’ambito della “manutenzione straordinaria”, come definita sia dall’art. 3, co. 1, lett. b) DPR n. 380/2001, sia dall’art. 27, co. 1, lett. b) l. reg. Lombardia n. 12/2005 (norma, in particolare, evocata dalla ricorrente).

La disposizione legislativa statale qualifica gli interventi di manutenzione straordinaria, tra l’altro, come “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici”, mentre la disposizione regionale qualifica tali, in particolare, “le opere e le modifiche riguardanti il consolidamento, il rinnovamento e la sostituzione di parti anche strutturali degli edifici”.

Per quel che interessa ai fini della presente decisione, ciò che caratterizza gli interventi di manutenzione straordinaria è la preesistenza (e presenza in atto) di un edificio sul quale si interviene al fine di rinnovarlo o parzialmente sostituirlo, onde renderlo più idoneo all’uso cui lo stesso è finalizzato.

Laddove, invece, si interviene mediante demolizione (anche parziale) di un edificio e sua ricostruzione, può ricorrere sia l’ipotesi di ristrutturazione edilizia (laddove si rispettino le condizioni di cui all’art. 3, co. 1, lett. d) DPR n. 380/2001: v. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017 n. 443), sia, in difetto di queste ultime, un’ipotesi di nuova costruzione.

Nel caso di specie, l’intervento oggetto del richiesto permesso di costruire concerneva la “ricostruzione del fabbricato totalmente crollato in quanto investito dall’incendio del 20 settembre 2012” (v. pagg. 3 – 4 app.), di modo che, alla luce delle considerazioni esposte, non può ricorrere una ipotesi di manutenzione straordinaria.

5. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con riferimento al primo profilo del secondo motivo ed al terzo motivo di ricorso (rispettivamente sub lett. b1) e c) dell’esposizione in fatto), per le ragioni e nei limiti di seguito esposti.

Con il primo motivo ora indicato, la società appellante lamenta che “il permesso di costruire è stato richiesto per ripristinare quella parte di fabbricato distrutto dall’incendio accidentalmente occorso; le opere da realizzare non hanno alcuna incidenza sul territorio, sia sotto il profilo della trasformazione dell’area oggetto di intervento sia in termini di aggravio del carico urbanistico della zona” ed inoltre a suo tempo la società ha già corrisposto gli oneri dovuti per realizzare quella parte del fabbricato ora da ricostruire a seguito di incendio.

Con il terzo motivo di appello, la società appellante lamenta, in sostanza, il difetto di motivazione in ordine alle ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto l’amministrazione a determinare il contenuto dell’atto oggetto di censura, non considerando la “peculiarità della fattispecie”.

Giova osservare, in punto di fatto, che è pacifico tra le parti che l’intervento per il quale la società ricorrente ha richiesto il permesso di costruire non comporta modifica della sagoma, della superficie esistente ed autorizzata, dei volumi e della destinazione d’uso (v. pagg. 11-12 app.; pag. 13 memoria Comune di Monza del 11 gennaio 2017).

Inoltre, il permesso di costruire n. 91 del Comune di Monza, oggetto di (parziale) impugnazione, è stato emesso il 13 gennaio 2015, ed è, dunque, a tale data che occorre fare riferimento onde individuare la normativa urbanistico – edilizia concretamente applicabile.

5.1. Tanto precisato, occorre osservare che l’art. 16 DPR n. 380/2001 prevede che, salvi i casi di esenzione di cui all’art. 17, co. 3, “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.

Come appare evidente, la norma collega il pagamento del contributo di costruzione al rilascio del permesso di costruire; in altre parole, è per quelle opere per la cui realizzazione la legge prevede tale titolo autorizzatorio che il contributo di costruzione è dovuto.

Il precedente art. 10 prevede che il permesso di costruire è necessario per gli “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, espressamente indicando, tra questi, (comma 1) gli interventi di nuova costruzione (lett. a), gli interventi di ristrutturazione urbanistica (lett. b), e gli interventi di ristrutturazione edilizia (lett. c).

Il comma 2 prevede, inoltre, che le Regioni possono stabilire con legge “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività”.

In sostanza, il legislatore statale collega la necessità di permesso di costruire a fenomeni di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio” e, in primo luogo, qualifica tali la nuova costruzione, la ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia; in secondo luogo, demanda alle Regioni di individuare quali interventi (diversi da quelli precedentemente indicati) comportanti trasformazione urbanistica (ma non necessariamente edilizia), richiedano il permesso di costruire in ragione della loro natura ed incidenza, in particolare, sul carico urbanistico.

In ambedue le ipotesi innanzi considerate, appare evidente come il permesso di costruire si colleghi sempre ad interventi che incidono sul territorio, trasformandolo sul piano urbanistico – edilizio, o anche su uno solo dei due.

5.2. Più in particolare, per il caso di ristrutturazione edilizia, l’art. 10, co. 1, lett. c) – nel testo vigente al momento del rilascio del titolo edilizio – prevede la necessità del permesso di costruire non già per tutti i casi di ristrutturazione edilizia, bensì, più precisamente, per quelli che “portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 e successive modificazioni”.

Al contempo, l’art. 3, co. 1, lett. d) del DPR n. 380/2001

“gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”.

Questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire, con considerazioni che qui si intendono completamente riportate (v. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017 n. 443, e giurisprudenza ivi richiamata), come, pur nella successione di modifiche interessanti le norme in tema di ristrutturazione edilizia, quest’ultima tipologia di intervento edilizio ricomprenda, nel proprio ambito generale, tipologie differenti, solo per alcune delle quali il legislatore prevede la necessità del permesso di costruire; da un lato, dunque, vi è la generale definizione di ristrutturazione edilizia (art. 3, co. 1, lett. d); dall’altro, le specifiche “species” del genus ristrutturazione edilizia per le quali occorre il permesso di costruire (art. 10, co. 1, lett. c).

Si è, in particolare, affermato:

“Per effetto della modifica introdotta dall’art. 30, comma 1, lett. a), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 98,…. vi sono ora tre distinte ipotesi di intervento rientranti nella definizione di “ristrutturazione edilizia”, che possono portare “ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”:

– la prima, non comportante demolizione del preesistente fabbricato e comprendente (dunque, in via non esaustiva) “il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”;

– la seconda, caratterizzata da demolizione e ricostruzione, per la quale è richiesta “la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica” (ed in questo caso, rispetto al testo previgente, non è più richiesta l’identità di sagoma);

– la terza, rappresentata dagli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

Inoltre, qualora la seconda e la terza delle ipotesi innanzi indicate riguardino immobili sottoposti a vincoli di cui al d.lgs. n. 42/2004, potrà parlarsi di ristrutturazione edilizia solo in presenza, nell’immobile ricostruito, della identità di sagoma dell’edificio preesistente.

Per effetto della lett. c) del medesimo articolo, anche l’art. 10, co. 1, lett. c) del DPR n. 380/2001 è stato modificato, di modo che è necessario il permesso di costruire per “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.

Infine, con modifica introdotta dall’art. 17, co. 1, lett. d) d.l. 12 settembre 2014 n. 133, conv. in l. 11 novembre 2014 n. 164, alla necessità di permesso di costruire per i casi in cui il nuovo fabbricato comporti anche “aumento di unità immobiliari” e “modifica del volume”, si è sostituita la più limitata ipotesi di “modifiche della volumetria complessiva degli edifici” (eliminando, dunque, il caso dell’aumento delle unità immobiliari).

E’ appena il caso di osservare che il legislatore, in sede di elencazione delle ipotesi di ristrutturazione edilizia con necessità di permesso di costruire, ha ricompreso anche quella comportante modifiche di sagoma di edifici vincolati ex d.lgs. n. 42/2004, ipotesi da riferirsi ai soli casi in cui la ristrutturazione riguardi edifici vincolati, ma senza abbattimento, poiché, in tale ultima ipotesi, ai sensi del precedente art. 3, co. 1, lett. d), si fuoriesce dalla definizione di “ristrutturazione edilizia”.

In definitiva, non tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia necessitano del rilascio del permesso di costruire, ma solo quelli specificamente indicati dall’art. 10, co. 1, lett. c). e, per quel che interessa nella presente sede, quelli che “portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti”, posto che le ulteriori due ipotesi contemplate dalla norma (mutamenti di destinazione d’uso di immobili in zona A, interventi che modificano la sagoma di immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d. Lgs. n. 42/2004), non interessano il caso di specie.

Occorre, dunque, perchè sia necessario il rilascio del permesso di costruire una modifica (parziale o totale) dell’organismo edilizio preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d’altra parte, l’intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”.

Nelle ipotesi, invece, di “ristrutturazione ricostruttiva” (come definita dalla giurisprudenza: Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015 n. 1763; 9 maggio 2014 n. 2384; 6 luglio 2012 n. 3970), a maggior ragione se con invarianza, oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, non vi è necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001, manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di costruzione.

Infine, giova osservare che, del tutto coerentemente, il legislatore, all’art. 22, co. 1, lett. c) DPR n. 380/2001, prevede, tra gli interventi sottoposti a segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), anche i casi di ristrutturazione edilizia per i quali non è necessario il permesso di costruire, fermo restando la possibilità per l’interessato (co. 7) di richiedere comunque il permesso di costruire “senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all’art. 16” (con esclusione dei casi in cui, ai sensi dell’art. 23, la SCIA è sostitutiva del permesso di costruire).

5.3. Le conclusioni alle quali si è innanzi pervenuti non contrastano con quanto previsto, per la Regione Lombardia, dall’art. 44 l. reg. 11 marzo 2005 n. 12, posto che, nel definire le modalità di determinazione degli oneri di urbanizzazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia, tale disposizione non impone una generalizzata onerosità dell’intervento, come si evince dall’inciso “se dovuti”, riferito agli oneri e più volte ripetuto (v. co. 8, 10, 10-bis).

Inoltre – diversamente considerando rispetto alla sentenza impugnata (pag. 10) – è solo nei sensi e limiti innanzi esposti, che può trovare applicazione quanto previsto dalla delibera della Giunta comunale di Monza 3 novembre 2008 n. 43, laddove la stessa prevede il pagamento di oneri di urbanizzazione per gli interventi di ristrutturazione comportanti demolizione e ricostruzione, in misura pari a quelli previsti per le nuove costruzioni

6. Alla luce delle considerazioni esposte, l’appello è fondato:

– sia in relazione al primo profilo del secondo motivo (sub lett. b1), poiché, in presenza di interventi che non comportano “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, nei sensi e limiti normativamente considerati ed innanzi esposti, non è dovuto il contributo di cui all’art. 16, co. 1, DPR n. 380/2001;

– sia in relazione al terzo motivo di appello (sub lett. c), posto che l’amministrazione, lungi dal procedere ad una “automatica” applicazione dell’art. 16, co. 1, cit. ai casi di ristrutturazione edilizia, avrebbe dovuto congruamente motivare le ragioni per le quali, in presenza della (affatto particolare) tipologia di intervento oggetto di istanza di permesso di costruire, riteneva di procedere all’adozione del permesso di costruire con corrispondente onerosità dell’intervento e, dunque, imposizione degli oneri a carico del richiedente.

Da quanto esposto consegue, in riforma della sentenza di I grado, ed in corrispondenza della domanda formulata con il ricorso instaurativo del giudizio, l’annullamento del permesso di costruire 13 gennaio 2015 n. 91, nella parte in cui con il medesimo è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione per un importo di Euro 257.377,54.

Resta fermo il potere del Comune di Monza di verificare che il progetto presentato ed oggetto di istanza, presenti tutte le caratteristiche innanzi indicate che, ove esistenti, comportano la non corresponsione di oneri ai sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001.

Stante la natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla società Nu.Gu. e Ra. s.r.l. (n. 5086/2016 r.g.), lo accoglie, nei sensi e limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla parzialmente il provvedimento impugnato.

Compensa tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere

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