Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30 giugno 2017, n. 3234

L’illecito permanente, costituito dall’occupazione di un suolo da parte della P.A., cessa con la rinunzia abdicativa da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo.

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 30 giugno 2017, n. 3234

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 825 del 2017, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Pa. Ga., con domicilio eletto presso l’avvocato Ci. Am. in Roma, via (…);

contro

Gi. Ar., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Po. e Cl. Pa., con domicilio eletto presso l’avvocato Er. Ia.in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Calabria, sezione II, 12 gennaio 2017, n. 54, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Gi. Ar.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;

Uditi per le parti gli avvocati To., su delega dell’avvocato Ga., Li., su delega dell’avvocato Po., e Pa.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. In data 23 giugno 2016, il signor Gi. Ar. – proprietario di un’area abusivamente occupata dal Comune di (omissis) e irreversibilmente trasformata per la realizzazione di un’opera pubblica (come attestato in doppio grado dal g.o. con sentenza passata in giudicato che ha nella sostanza riconosciuto la proprietà comunale di dette aree) – ha chiesto al Comune di avviare il procedimento per l’acquisizione coattiva del fondo a suo tempo occupato (e di altro relitto ormai inutilizzabile e dunque di fatto da ritenersi asservito all’opera pubblica sebbene mai utilizzato dalla P.A.), a norma dell’art. 42 bis del t.u. espr. (d. P.R. 8 giugno 2001, n. 327).

2. Stante la mancata risposta dell’Amministrazione, il signor Ar. ne ha impugnato il silenzio ex art. 117 c.p.a.

3. Il Comune si è difeso in giudizio asserendo che il g.o. avrebbe già dichiarato l’avvenuto acquisto della proprietà del bene.

4. Con sentenza 12 gennaio 2017, n. 54, il T.A.R. per la Calabria, sez. II, ha accolto il ricorso, condannando il Comune a provvedere nel termine di trenta giorni e nominando commissario ad acta il Prefetto di Cosenza o un suo delegato.

5. Con ricorso spedito per la notifica il 7 febbraio 2017 e depositato il successivo giorno 10, il Comune ha interposto appello avverso la sentenza n. 54/2017 (di cui ha chiesto la sospensione in sede cautelare), esponendo che:

a) sia in primo che in secondo grado, con sentenza passata in giudicato, il g.o. avrebbe accertato l’irreversibile trasformazione del fondo e l’acquisto della proprietà in applicazione del principio giurisprudenziale, allora vigente, dell’occupazione invertita; in ogni caso il privato, chiedendo il risarcimento, avrebbe rinunciato al diritto di proprietà;

b) il Comune stesso avrebbe già corrisposto somme maggiori di quelle dovute per l’acquisizione del terreno, non ancora restituite dall’appellato (per cui sarebbe pendente ricorso ex art. 702 bis c.p.c.), e non intenderebbe essere esposto al rischio di pagamenti ulteriori. In primo grado, il Tribunale civile avrebbe riconosciuto all’attore, a titolo di risarcimento per il valore del bene perduto, un importo di oltre 72.000 euro (divenuti 127.000 con interessi e rivalutazione), che la Corte d’appello avrebbe ridotto a 11.000 euro (all’incirca 19.000 euro con interessi e rivalutazione). Il Comune avrebbe pagato sulla base di un’esecuzione avviata dopo la sentenza di primo grado e, avendo in seguito ottenuto solo un acconto di 30.000 euro, pretende la restituzione della differenza, pari a oltre 77.000 euro;

c) in definitiva, le pretese dell’originario ricorrente (l’acquisizione di un’area in realtà già appartenente al Comune, per la ragioni sopra dette, e di un’altra porzione di fondo, ritenuta di fatto asservita all’opera pubblica) sarebbero manifestamente infondate e come tali non suscettibili di far sorgere in capo all’Amministrazione un obbligo di rispondere.

6. Il signor Ar. si è costituito in giudizio per resistere all’appello deducendo:

a) la nullità del ricorso perché redatto in formato cartaceo, privo della firma digitale e munito della sola sottoscrizione autografa senza neppure un’attestazione di conformità a un originale digitale;

b) per la stessa ragione la nullità del deposito del ricorso;

c) l’inammissibilità dell’appello per la mancanza di specifiche censure contro la sentenza gravata;

d) l’infondatezza nel merito (vi sarebbe l’obbligo di adeguare la situazione formale a quella sostanziale anche per evitare il pagamento di oneri fiscali e tributari; la domanda di risarcimento del danno non varrebbe rinunzia alla proprietà in difetto di una volontà inequivoca di rinunziare al diritto dominicale e della forma scritta ad substantiam; in ogni caso il Comune avrebbe l’obbligo di rispondere all’istanza di acquisizione della parte di fondo residua, ormai priva di possibilità edificatorie e praticamente inutilizzabile).

7. Con sentenza non definitiva in forma semplificata 4 aprile 2017, n. 1541, la Sezione:

a) sul presupposto che, pur dopo l’entrata in vigore del P.A.T., il ricorso (e in genere l’atto processuale) non redatto o comunque non sottoscritto in forma digitale, benché certamente non conforme alle prescrizioni di legge, non sia inesistente, abnorme o nullo, ma viziato da irregolarità (seppure diversa da quella per dir così “ordinaria”, perché non suscettibile di sanatoria ex art. 44, comma 3, c.p.a.) che ne impone la regolarizzazione, ha respinto le eccezioni di nullità dell’appello formulate dalla parte appellata;

b) ha egualmente respinto l’eccezione di inammissibilità del gravame per genericità dei motivi;

c) ha assegnato al Comune appellante il termine perentorio di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione della sentenza, per provvedere agli adempimenti richiesti, secondo quanto meglio esposto in motivazione;

d) ha fissato per il prosieguo del giudizio l’udienza pubblica (recte: la camera di consiglio) del 22 giugno 2017;

e) ha rinviato alla definizione della causa ogni ulteriore determinazione su rito, merito e spese.

8. Con memoria depositata il 7 giugno 2017, il Comune appellante ha comunicato di avere provveduto (in data 19 aprile 2017, dunque entro il termine fissato) alla regolarizzazione degli atti processuali contenuti nel fascicolo processuale, trasmettendo mediante P.E.C. il ricorso in appello in formato nativo digitale con firma digitale e copia informatica degli altri atti con asseverazioni munite di firme digitali, e rinnovato le proprie argomentazioni di merito.

9. Con memoria depositata in pari data, il signor Ar. ha contestato l’idoneità dell’asserita regolarizzazione, perché limitata alla rinnovazione del deposito e non anche della notifica, e ha anch’egli nuovamente esposto le proprie difese.

10. Alla camera di consiglio del 22 giugno 2017, l’appello è stato nuovamente chiamato e trattenuto in decisione.

11. In via preliminare, il Collegio respinge l’assunto della difesa appellata secondo cui non sarebbero state effettuati gli adempimenti richiesti dalla menzionata sentenza non definitiva, in quanto:

a) la possibilità di procedere alla notifica con modalità cartacea pur in vigenza di P.A.T., è prevista dall’art. 14 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 2016, n. 40, recante il regolamento sulle regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico;

b) la precedente sentenza parziale n. 1504/2017 ha espressamente preso in considerazione il ricorso e il deposito irregolari perché non assistiti, il primo, dalla forma e dalla sottoscrizione digitale, il secondo, dalla modalità telematica, per questi soli imponendo l’onere di tempestiva regolarizzazione (§ 19.4);

c) l’eccezione di vizio della notificazione non è mai stata opposta dalla parte appellata;

d) non avrebbe senso e sarebbe anzi contrario al principio di economia degli atti prescrivere un incombente che è già stato adempiuto secondo la legge e ha raggiunto il fine che gli è proprio.

12. E’ così possibile passare all’esame del merito della controversia, nella quale viene in questione il silenzio serbato dal Comune di Mormano a fronte dell’istanza del privato.

13. Per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, l’obbligo giuridico di provvedere – ai sensi dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69 – sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273; sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487).

14. Nei giudizi di tale natura, il giudice amministrativo di regola non può andare oltre la declaratoria di illegittimità dell’inerzia e l’ordine di provvedere; gli resta precluso il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richiedente, sostituendosi all’Amministrazione stessa. Le disposizioni relative, ove interpretate diversamente, attribuirebbero illegittimamente, in modo indiscriminato, una giurisdizione di merito (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273; sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3270).

15. Tuttavia, nell’ambito del giudizio sul silenzio, il giudice potrà conoscere dell’accoglibilità dell’istanza:

a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c’è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni e fermo restando il limite della impossibilità di sostituirsi all’Amministrazione;

b) nell’ipotesi in cui l’istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove l’atto espresso non potrebbe che essere di rigetto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273; sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1468).

16. Diversamente da quanto sostiene la parte appellata, quest’ultimo è precisamente il caso di specie giacché:

a) l’acquisto della proprietà dell’area controversa da parte del Comune è stato sancito con efficacia di giudicato dalle sentenze del Tribunale di Castrovillari (che ha fatto applicazione della teorica, allora vigente, dell’accessione invertita) e della Corte d’appello (che ha richiamato e fatto proprio l’orientamento delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione sull’effetto abdicativo al diritto di proprietà prodotto dalla richiesta di risarcimento del danno da parte del privato);

b) è irrilevante che tali statuizioni siano contenute non nel dispositivo, ma nella parte motiva delle pronunzie, perché, secondo giurisprudenza costante, il giudicato – come suol dirsi – copre il dedotto e il deducibile e fa stato rispetto a tutte le questioni che costituiscano un presupposto logico ed indefettibile della decisione stessa, persino se non dedotte in giudizio (fra le tante, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1405; Id., sez. IV, 11 marzo 2913, n. 1473; Id., sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 722; Id., sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2674; Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 2015, n. 25214; Id., sez. lav., 23 febbraio 2016, n. 3488; Id., sez. lav., 12 aprile 2017, n. 9398);

c) se anche per avventura non si ritenesse formato il giudicato, varrebbe comunque il principio secondo cui l’illecito permanente, costituito dall’occupazione di un suolo da parte della P.A., cessa con la rinunzia abdicativa da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo (così da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2016, n. 4636, sulla scorta di Corte costituzionale, 30 aprile 2015 n. 71; Sezioni unite civili della Corte di cassazione 19 gennaio 2015, n. 735, 29 ottobre 2015, n. 22096 e 25 luglio 2016, n. 15283; Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 9 febbraio 2016 n. 2); tale indirizzo è ormai consolidato e non può essere messo in discussione – come invece vorrebbe il privato – sulla base dell’isolata, difforme decisione di un giudice di primo grado (T.A.R. per la Calabria – sede staccata di Reggio Calabria, 12 maggio 2017, n. 438);

d) non sussiste la situazione di incertezza giuridica che richiederebbe un formale provvedimento di acquisizione del fondo, come sostiene il privato, posto che, “stante la natura abdicativa e non traslativa dell’atto di rinuncia, il provvedimento con il quale l’amministrazione procede alla effettiva liquidazione del danno – rappresentando il mancato inveramento della condizione risolutiva implicitamente apposta dal proprietario al proprio atto abdicativo che di esso rappresenta il presupposto – costituisce atto da trascriversi ai sensi degli artt. 2643, primo comma, n. 5 e 2645 cod. civ., anche al fine di conseguire gli effetti della acquisizione del diritto di proprietà in capo all’amministrazione, a far data dal negozio unilaterale di rinuncia ” (cfr. Cons. Stato, n. 4636/2016, cit.);

e) il lotto reliquato non ha alcun rapporto con l’occupazione usurpativa (non essendo mai stato utilizzato da alcuna amministrazione), e rimane pertanto estraneo, già sul piano astratto, alla richiesta di attivazione dell’eccezionale procedimento di acquisizione coattiva disciplinato dall’art. 42 bis t.u. espr. (che invece presuppone tassativamente, inter alios, l’attualità dell’uso del fondo), sicché il privato non può vantare al riguardo alcuna pretesa, nemmeno quella di ottenere una risposta dal Comune.

17. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è fondato e va pertanto accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

18. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, cfr. Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).

19. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

20. Considerata la complessità delle questioni trattate, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

21. Resta a carico della parte soccombente il contributo unificato di ambedue i gradi di giudizio, con obbligo di rimborso alla controparte vittoriosa di quello relativo al presente appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Dispone che il contributo unificato relativo a entrambi i gradi di giudizio sia a carico della parte privata, con rimborso di quanto corrisposto dal Comune appellante.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Carlo Schilardi – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore

Daniela Di Carlo – Consigliere

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