Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30 gennaio 2017, n. 364

Quando più persone concorrono nella medesima violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa prevista, non potendosi configurare una situazione di solidarietà salvo che una norma di legge non disponga diversamente; circostanza questa che non si verifica nella specie, nulla disponendo al riguardo nè l’art. 26 c.p.a. nè l’art. 96, co.3, c.p.c.

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 30 gennaio 2017, n. 364

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 74 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 8294 del 2013, proposto da Ra. Fr. e altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Ga. Le. e Ma. Cl. Le., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ga. Le. in Roma, via (…);

contro

Ministero della difesa e altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio – Sezione I bis – n. 3183 del 28 marzo 2013, resa tra le parti, concernente il pagamento di indennità’ integrativa e il risarcimento di danni;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della difesa, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero degli affari esteri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017 il consigliere Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Le. e l’avvocato dello Stato Va.;

Premesso che:

a) l’oggetto del presente giudizio è costituito dal decreto del Ministero della difesa, di concerto con i Ministri degli affari esteri e dell’economia, in data 29 marzo 2004, nella parte in cui ha riconosciuto agli odierni appellanti – ufficiali superiori dell’Esercito Italiano e della Marina Militare trasferiti in forma scaglionata dall’Italia presso la Divisione di Programma FSAF, appartenente all’Organismo internazionale OCCAR con sede in Parigi – l’indennità integrativa di cui all’art. 189 del d.p.r. n. 18 del 1967 ed agli art. 3 e 6 della l. n. 1114 del 1962, a decorrere dal 1 gennaio 2003 anziché dall’anno 2002;

b) la pronuncia gravata – T.a.r. per il Lazio, Sezione I bis, n. 3183 del 28 marzo 2013 – ha respinto il ricorso deducendo che:

I) l’indennità de qua, priva di natura stricto sensu retributiva, dipende da una valutazione discrezionale dell’Amministrazione;

II) non si apprezza la lamentata contraddittorietà del decreto impugnato con il previo parere reso dalla Commissione permanente di finanziamento in esito alle sedute del 29.10.2013 e 15.12.2013, “atteso che, a parte la considerazione che il parere della predetta Commissione non è previsto per l’attribuzione dell’assegno integrativo da nessuna disposizione della legge n. 1114/62, va precisato che la Commissione nell’esprimere il suo “nulla contro” alla corresponsione del suddetto assegno, aveva evidenziato la riserva espressa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in ordine alla decorrenza così come proposta”;

c) gli appellanti, previa istanza istruttoria di acquisizione della nota della Ragioneria generale dello Stato prot. 9068 del 23.01.2004 citata dalla Commissione nel proprio parere, ripropongono nel merito le censure già delineate in primo grado, ossia:

I) l’assunta superfluità del parere della Commissione permanente di finanziamento, che, comunque, avrebbe “deliberato la concessione dell’indennità… con decorrenza 01.01.2002 per quel personale che dal 16.11.2002 per il transito all’OCCAR aveva perso il trattamento previsto dalla legge 642/1962 e dal 05.03.2002 per quel personale che era stato incorporato direttamente nel predetto Organismo dopo il 16.11.2002”;

II) la Commissione non avrebbe “mai rilevato problemi di copertura della spesa per la concessione dell’indennità con decorrenza 01.01.2002”, ma, di contro, “il parere di concedere l’indennità con decorrenza 01.01.2002” significherebbe che la Commissione “aveva già verificato la congruità del previsto stanziamento di bilancio per l’esercizio finanziario 2004 necessario per la concessione dell’indennità con decorrenza 2002”;

III) la postergazione al 2003 della decorrenza dell’indennità sarebbe priva di ragionevolezza, giacché il relativo onere non avrebbe comunque gravato sul già chiuso esercizio finanziario 2002, ma sull’esercizio in corso al momento del riconoscimento della spettanza dell’emolumento;

IV) il TAR avrebbe omesso di pronunciarsi circa la subordinata domanda di risarcimento del danno per la mancata percezione dell’indennità nell’anno 2002;

d) gli appellanti hanno, quindi, formulato istanza di prelievo in cui, “attesa la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria”, hanno chiesto la fissazione di udienza camerale ai sensi dell’art. 71-bis c.p.a.: il Presidente della Sezione ha conseguentemente fissato per la delibazione del ricorso la Camera di consiglio del 26 gennaio 2017;

Considerato che l’appello non merita accoglimento per le seguenti considerazioni in fatto e diritto:

e) preliminarmente si rileva che l’istanza ex art. 71-bis c.p.a., nel cui corpo gli appellanti definiscono l’istruttoria “completa”, implica la rinuncia alla coltivazione della richiesta istruttoria formulata in atto di appello, in considerazione ed applicazione del dovere di chiarezza di cui all’art. 3 c.p.a., a sua volta precipitato applicativo del più generale dovere di lealtà e probità enucleato dall’art. 88 c.p.c., che impone alle parti di sopportare le conseguenze, dirette ed indirette, delle proprie scelte processuali; del resto, la disposizione in esame è palesemente volta a favorire la sollecita definizione delle cause già mature per la decisione e non può, viceversa, rappresentare un comodo escamotage per ottenere l’anticipazione della trattazione di controversie ancora da istruire; oltretutto, parte ricorrente ha espressamente chiesto, nel corso della Camera di consiglio del 26 gennaio 2017, la decisione della causa, in tal modo inequivocabilmente abbandonando l’iniziale istanza istruttoria;

f) la concessione della richiamata indennità consegue ad una valutazione eminentemente discrezionale dell’Amministrazione: tanto negli articoli 3 e 6 della legge n. 1114 del 1962, quanto nell’art. 189 del successivo d.p.r. n. 18 del 1967 (che ha sostituito l’art. 21 l. n. 13 del 1951 richiamato dal menzionato art. 3, co. 1, l. n. 1114 cit.), infatti, è utilizzato il verbo “può”, evidente emersione lessicale dello spessore discrezionale della sottesa valutazione amministrativa; inoltre, l’art. 189 cit. aggiunge anche la locuzione “qualora il trattamento economico inerente a tale posizione non sia ritenuto sufficiente”, idonea a sottolineare vieppiù il margine di apprezzamento di cui gode in materia l’Amministrazione, deputata a vagliare discrezionalmente l’intrinseca “sufficienza” del trattamento economico del personale in servizio all’estero per lo Stato o per Organismi internazionali, ovvero l’opportunità di un’integrazione;

g) tale margine di libero apprezzamento non è limitato all’an del riconoscimento, ma, con ogni ragionevolezza, è esteso anche al quomodo del propedeutico procedimento teso a vagliare l’effettiva opportunità di corrispondere l’emolumento suppletivo: nella specie, la gravosità per l’Erario del riconoscimento dell’indennità e l’oggettivo ampio margine di valutazione lasciato dalla legge all’Amministrazione ben giustificano, anche ai sensi dell’art. 1, comma 2, della l. n. 241/1990, la scelta ministeriale di compulsare la Commissione permanente di finanziamento di cui all’art. 172 del d.p.r. n. 18 del 1967, del resto “istituita presso il Ministero degli affari esteri per l’esame del trattamento economico del personale in servizio all’estero” al fine, tra l’altro, di esprimere “il proprio parere sulle questioni ad essa deferite dalla legge e su quelle su cui il Ministro per gli affari esteri ritiene di interpellarla”;

h) il parere della Commissione si configura quindi, nella specie, come atto endo-procedimentale, in assenza e prima del quale il procedimento di riconoscimento dell’indennità non era ancora concluso e, specularmente, la situazione giuridica in cui versavano gli interessati rimaneva di mero interesse legittimo pretensivo: in altre parole, da un punto di vista funzionale tale parere ha rivestito un’efficacia costitutiva (cfr. C.d.S., IV, 24 gennaio 2011, n. 490), posto che solo un parere positivo era idoneo a far evolvere, evidentemente ex nunc, in diritto soggettivo pieno l’antecedente mero anelito pretensivo degli istanti;

i) inoltre, come correttamente rilevato in prime cure, la Commissione “aveva evidenziato la riserva espressa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in ordine alla decorrenza così come proposta”, giacché l’esercizio finanziario 2002 era chiuso e, dunque, non potevano ex post assumersi, in relazione ad esso, oneri di spesa;

l) non convince la difesa degli appellanti circa l’imputazione dell’onere in parola all’esercizio finanziario nel corso del quale interviene il riconoscimento (costitutivo) del diritto: atteso che tale indennità non ha natura una tantum bensì periodica, in quanto volta a compensare i disagi ed i costi conseguenti alla prestazione di lavoro all’estero, il relativo onere non può che gravare partitamente sui singoli esercizi finanziari in cui tale attività si svolge, evidentemente nei limiti in cui le norme di bilancio ciò consentano;

m) parimenti inconferente è il richiamo all’art. 1808 cod. ord. mil. sotto il duplice profilo che:

I) trattasi di censura nuova mai articolata in primo grado e, come tale, inammissibile;

II) trattasi di norma entrata in vigore molti anni dopo l’emanazione del provvedimento impugnato e riferita ad un istituto giuridico diverso;

n) al rigetto della domanda principale consegue la reiezione anche della domanda subordinata di risarcimento del danno: non solo prima dell’impugnato decreto non vi era, in capo agli appellanti, un diritto soggettivo pieno, ma, comunque, l’Amministrazione non ha illecitamente vulnerato alcuna situazione giuridica qualificata di loro spettanza, in quanto l’aggravamento procedimentale è stato deliberato per oggettive e concrete ragioni, di talché l’allungamento dei tempi per la definizione dell’istanza ed il conseguente ritardo nella decorrenza dell’indennità non configurano colpa amministrativa;

o) il regolamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza;

p) il Collegio, ritenendo che i ricorrenti abbiano agito temerariamente in giudizio, li condanna al pagamento della sanzione prevista dall’art. 26, co. 2, c.p.a., nella misura di € 1.000,00 per ciascuno, pari a complessivi € 3.000,00 (cfr. sul punto, fra le tante, C.d.S., IV, n. 5497 del 2016; V, n. 930 del 2015, cui si rinvia a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.); siffatta condanna – che rileva pure agli effetti di cui all’art. 2, co. 2-quinquies, lett. a) e d) della l. 24 marzo 2001 n. 89, come da ultimo modificato dalla l. 28 dicembre 2015 n. 208 – è computata nel quantum separatamente per ogni ricorrente: in caso di ricorso collettivo, infatti, i rapporti processuali restano distinti e per così dire “paralleli”, di talché la misura della sanzione prevista dal più volte menzionato art. 26, co. 2, c.p.a. (“non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio”, nella specie pari ad € 487,50) non può che riferirsi a ciascuna “parte soccombente”. Del resto, trattandosi di una sanzione pecuniaria, trova applicazione il principio generale sancito dall’art. 5, l. n. 689 del 1981 secondo cui, quando più persone concorrono nella medesima violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa prevista, non potendosi configurare una situazione di solidarietà salvo che una norma di legge non disponga diversamente; circostanza questa che non si verifica nella specie, nulla disponendo al riguardo nè l’art. 26 c.p.a. nè l’art. 96, co.3, c.p.c. (sull’applicazione dei principi di cui alla l. n. 689 del 1981 alla sanzione pecuniaria sancita dall’art. 26 c.p.a., cfr. C.d.S., V, n. 1733 del 2012 e n. 3252 del 2011; sulla natura sanzionatoria di tale misura si argomenta anche da Corte cost., n. 152 del 2016 che ha esplicitamente ravvisato tale indole nella misura pecuniaria sancita dal menzionato art. 96, co.3, c.p.c.); dal punto di vista sistematico, infine, tale soluzione appare coerente con quanto stabilito dall’art. 97 c.p.c., nella parte in cui prevede la solidarietà passiva solo in relazione al pagamento delle spese di lite e del risarcimento dei danni cagionati dal processo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna i ricorrenti, in solido fra loro, alla refusione delle spese di lite, liquidate in complessivi € 6.000,00 oltre accessori di legge a favore delle Amministrazioni resistenti in solido fra loro;

Condanna i ricorrenti alla sanzione di cui all’art. 26, comma 2, c.p.a., liquidata in € 1.000,00 per ciascuno, pari a complessivi € 3.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere

Carlo Schilardi – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere, Estensore

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