Palazzo-Spada

CONSIGLIO DI STATO

sezione IV

SENTENZA 29 aprile 2014, n.2232

SENTENZA
sul ricorso in appello n. 1430 del 2014, proposto da ANAS s.p.a. e Prefettura di Brindisi, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliate ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;
contro
Alessandro Pisanò, rappresentato e difeso dall’avv. Giulio Farachi, ed elettivamente domiciliato, unitamente al difensore, presso Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza n. 24, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
nei confronti di
Consorzio sardo fra cooperative di costruzione e lavoro soc. coop. a r.l., in proprio e nella qualità di mandataria del RTI costituito con Costruzioni strade moderne s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione prima, n. 2479 del 13 dicembre 2013, resa tra le parti e concernente l’ottemperanza alla sentenza n. 107/2012 dello stesso T.A.R. in tema di espropriazione di aree.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Alessandro Pisano’;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 aprile 2014 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Farachi e l’avvocato dello Stato Marrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 1430 del 2014, ANAS s.p.a. e Prefettura di Brindisi propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione prima, n. 2479 del 13 dicembre 2013 con la quale è stato accolto il ricorso proposto contro ANAS s.p.a. e Prefettura di Brindisi Alessandro Pisanò per l’ottemperanza della sentenza n. 107/2012 del T.A.R. Puglia – Prima Sezione di Lecce, pubblicata mediante deposito in Segreteria il 25 febbraio 2012.

Dinanzi al giudice di prime cure, il ricorrente aveva chiesto che fosse data esecuzione alla sentenza di quel T.A.R. del 25 gennaio 2012 n. 107, con cui era stato annullato il decreto di proroga del termine per l’espropriazione del bene di sua proprietà (terreno con annessa abitazione in Mesagne, foglio 30 p.lle 27 e 69), con condanna dell’ANAS a risarcire il danno e, in applicazione dell’art. 34, quarto comma, cod. proc. amm., a proporre il pagamento della somma relativa, ragguagliata ai criteri indicati (5% del valore venale del bene, per ogni anno di illegittima occupazione, dalla scadenza del termine finale previsto per l’occupazione (10/11/2003) e sino alla restituzione o all’acquisizione ex art. 42-bis del DPR n. 327/01; maggiorazione del 20% del valore della volumetria utilizzabile dell’immobile esistente sulla parte dell’area non espropriata, per la sostanziale impossibilità di ristrutturarlo o utilizzarlo a causa del protrarsi dei lavori; rivalutazione delle somme dovute alla data di deposito della sentenza, in base agli indici Istat; interessi da quest’ultima data sino all’effettivo soddisfo).

Con il ricorso veniva contestata la valutazione dell’indennità, stimata dall’ANAS in complessivi € 139.971,98, posta a base del procedimento volto all’emissione del suddetto provvedimento di c.d. “acquisizione sanante” (art. 42-bis cit.), chiedendo sotto tale profilo la declaratoria di nullità o di inefficacia, ovvero l’annullamento, delle note del 21/3/2013 e del 12/6/2013, con cui l’ANAS ha avviato il procedimento per acquisire l’area e confermato la stima dell’indennità, dopo avere ricevuto le osservazioni del ricorrente.

Costituitasi ANAS s.p.a., il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure proposte, evidenziando come l’emissione del provvedimento ex art. 42 bis del Testo unico dell’espropriazione dovesse considerarsi sostanzialmente elusivo del giudicato.

Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, insistendo nella valenza autonoma del procedimento di acquisizione sanante.

Nel giudizio di appello, si è costituito Alessandro Pisanò, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del 18 marzo 2014, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 1178/2014, che provvedeva altresì a fissare l’udienza per la trattazione del merito alla stessa data del giorno 1 aprile 2014, data nella quale sarà trattato anche l’appello n. 3262/2012 avente ad oggetto la sentenza del TAR Puglia n.107/2012.

All’udienza in camera di consiglio del giorno 1 aprile 2014, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

2. – La questione dedotta principalmente in giudizio, ossia il rapporto tra il giudicato amministrativo in tema di espropriazione e la successiva attività dell’amministrazione, anche attraverso il procedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità”, è stata già oggetto di valutazione, sotto diversi punti di vista, da parte della Sezione.

2.1. – Si è in primo luogo affermato che il procedimento sanante può avere applicazione solo dove vi sia ancora da acquisire alla proprietà pubblica il bene, acquisito solo in via di fatto, da cui deriva l’ovvia conseguenza dell’impossibilità di applicare il meccanismo di acquisizione sanante (valutato in relazione al previgente art. 43 del Testo unico), nei casi in cui la pubblica amministrazione già risulti titolare dell’area espropriata, in base ad una sentenza del giudice civile che abbia espressamente ravvisato tale titolarità, con una statuizione inequivocabile su cui si è formato il giudicato (Consiglio di Stato, sez. IV, 4 febbraio 2008 n. 303).

2.2. – Si è poi evidenziata l’autonomia tra il giudicato amministrativo e l’azione amministrativa tesa al recupero della legalità tramite il procedimento di cui all’art. 42 bis, evidenziando come i due modi di azione si pongano su piani differenti, tanto da impedire al giudice amministrativo di considerare lo strumento dell’acquisizione sanante come mezzo per l’ottemperanza della sentenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 marzo 2014 n. 1222, che ha ritenuto illegittima l’interruzione del procedimento di cui all’art. 42 bis del testo unico sull’espropriazione a seguito dell’insediamento del commissario ad acta, ben potendo l’ente espropriante continuare nel peculiare procedimento ivi disciplinato, trattandosi di vicenda non omologabile all’ottemperanza).

3. – Le osservazioni appena svolte consentono di evidenziare la natura del tutto autonoma del procedimento di acquisizione sanante, che non si lega alla precedente pronuncia ma ha un valore indipendente, tanto che il suo utilizzo è rimesso alla valutazione della sola amministrazione, non potendo essere coartato nemmeno in sede di ottemperanza.

Queste affermazioni, se da un lato consentono di superare le eccezioni di inammissibilità dedotte dalla parte resistente (atteso che qui non si tratta di questioni sul modus dell’ottemperanza, ma sulla possibilità stessa di una esecuzione di una sentenza su cui si è innestata una situazione di fatto diversa), dall’altro evidenziano come la scelta operata dall’ANAS nell’emanazione del decreto ex art. 42 bis sia del tutto svincolata dal giudicato. In altri termini, la dizione che si legge sull’atto, per cui il provvedimento è stato emesso “vista la sentenza del T.A.R.” non potrà essere interpretato come una conseguenza dovuta della pronuncia, come accade nei casi in cui l’amministrazione dà esecuzione al disposto cautelare in attesa della definizione del merito e senza prestare acquiescenza a questo, ma come espressione di una potestà diversa, svincolata dal giudicato e, quindi, non emendabile ad nutum, una volta eventualmente annullata la sentenza di prime cure.

4. – L’intero apparato argomentativo appena delineato, insistendo sulla diversità e autonomia del procedimento di acquisizione sanante rispetto al dictum della sentenza ottemperanda, porta necessariamente a considerare erronea l’affermazione del primo giudice sulla natura elusiva dell’azione dell’amministrazione che recupera la proprietà del bene a norma dell’art. 42 bis.

Giova, infatti, evidenziare come l’intervento del provvedimento di acquisizione sanante determina una trasformazione esiziale della situazione di fatto su cui incide la decisione amministrativa, in quanto trasferisce la proprietà del bene, che la sentenza ottemperanda aveva correttamente ritenuto ancora in capo al privato, giusta l’illegittimità della procedura espropriativa (atteso che è del tutto pacifico che il mero fatto della realizzazione di un’opera pubblica non è di per sé elemento idoneo a determinare il trasferimento della proprietà del suolo sul quale questa è realizzata, come evidenzia da ultimo, ma espressivo di un orientamento del tutto pacifico, Consiglio di Stato, sez. IV, 20 dicembre 2013 n. 6164 dove si riafferma il principio che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo dell’Amministrazione procedente di restituire al privato il bene da essa illegittimamente occupato, dovendosi ritenere del tutto superata — alla stregua di principi comunitari — l’interpretazione che faceva derivare dalla costruzione dell’opera pubblica e dall’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica, con la conseguenza che il privato può legittimamente chiedere sia il risarcimento che la restituzione del fondo con la sua riduzione in pristino).

Si tratta quindi di un fatto nuovo che modifica il substrato materiale su cui incide la sentenza e che impone al giudice in sede di ottemperanza di compiere non solo una puntuale verifica dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione, ma deve di stabilire se il ripristino della situazione soggettiva, sacrificata illegittimamente, come definitivamente accertato in sede di cognizione, sia compatibile con lo stato di fatto o di diritto prodottosi o realizzatosi medio tempore (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 2 maggio 2013 n. 2400).

Pertanto, essendo mutato il dato materiale di riferimento, ossia essendo intervenuto il (legittimo, salvo eventuale annullamento) trasferimento della proprietà dell’area in contestazione, giusta l’emanazione del provvedimento ex art. 42 bis, l’ottemperanza alla sentenza è divenuta giuridicamente impossibile, dato il nuovo regime dominicale dell’area.

Dal punto di vista processuale, la situazione incide sulla possibilità che la sentenza possa attribuire al privato un qualsiasi utile, imponendo quindi una pronuncia di merito di inammissibilità o improcedibilità, in relazione al momento processuale in cui interviene il provvedimento di acquisizione sanante.

Il ricorso in primo grado era quindi divenuto improcedibile dalla data del 22 novembre 2013, momento di emanazione del provvedimento di acquisizione sanante, peraltro successivamente impugnato con autonomo ricorso.

5. – L’appello va quindi accolto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie l’appello n. 1430 del 2014 e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione prima, n. 2479 del 13 dicembre 2013, dichiara improcedibile il ricorso di primo grado;

2. Condanna Alessandro Pisanò a rifondere a ANAS s.p.a. e Prefettura di Brindisi le spese del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi €. 2.000,00 (euro duemila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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