Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 27 gennaio 2015, n. 347

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2782 del 2012, proposto da:

Vi.Co. , Gi.Me., Lo.Co., rappresentati e difesi dall’avv. Da.Gr., con domicilio eletto presso Fe.Te. in Roma, (…);

contro

Società Au. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Gi.Pe., con domicilio eletto presso Gi.Na. in Roma, via (…);

nei confronti di

Comune di Chiavari, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Liguria – Genova: sezione I n. 00281/2012, resa tra le parti, concernente richiesta di deroga alle distanze per lavori di ristrutturazione di fabbricato

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società Au. per l’Italia s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2014 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli Avvocati Gi.Na. (su delega di Pe.) e Gr.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I signori Vi.Co. ed altri sono proprietari di un immobile nel territorio di Chiavari, sul quale intendono eseguire un intervento di ristrutturazione, comportante l’aumento di alcune volumetrie, come hanno comunicato con D.I.A. all’Amministrazione comunale.

Per dare corso alla pratica, il Comune ha richiesto il progetto degli impianti e – poiché l’immobile è nei pressi del tratto Livorno – Genova dell’autostrada A12 – l’autorizzazione rilasciata dalla società Au. (d’ora in poi: Au.).

Con determinazione del 3 agosto 2010, la società ha negato l’autorizzazione, sul rilievo che la distanza dell’immobile dall’area di sua proprietà sarebbe di 40 metri, inferiore a quello di 60 metri prescritta dalla legge n. 765 del 1967.

I signori Co. e Me. hanno impugnato il provvedimento con un ricorso che il T.A.R. per la Liguria, sez. I, ha respinto, ritenendolo infondato, con sentenza 13 febbraio 2012, n. 281.

I ricorrenti hanno interposto appello contro la sentenza e ne hanno chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva, formulando una domanda cautelare.

Alla camera di consiglio del 4 maggio 2012, sull’accordo delle parti, la causa è stata rinviata al merito.

L’appello deduce sotto diversi profili la violazione di legge e l’eccesso di potere.

1. Il provvedimento impugnato non sarebbe funzionale a nessun interesse pubblico, così sacrificando senza ragione la proprietà privata: la conformazione dei luoghi (l’immobile sarebbe collocato su una collina notevolmente sopraelevata rispetto all’asse viario, sviluppato secondo un percorso – data la morfologia del territorio – obbligato e immodificabile) non consentirebbe ad Au. di utilizzare in alcun modo la fascia di rispetto.

2. La normativa di settore – e, in specie, l’art. 26, comma 2, del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, nonché le N.T.A. al P.R.G. di Chiavari – detterebbe la disciplina delle distanze con riguardo agli ampliamenti fronteggianti le strade, mentre l’intervento in questione dovrebbe essere attuato nella parte retrostante dell’immobile.

3. L’intervento sarebbe ammissibile secondo la disciplina urbanistica comunale che, come espressione di autonomia normativa, integrerebbe, se del caso derogandovi, la disciplina statale.

4. Limitandosi a richiamare apoditticamente e genericamente un asserito contrasto con la legge n. 765 del 1967, il diniego di autorizzazione sarebbe carente di motivazione.

5. In violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, il provvedimento non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

La società Au. si è costituita in giudizio per resistere all’appello.

1. Le fasce di rispetto autostradale sarebbero assoggettate a un vincolo di inedificabilità assoluta, indipendentemente dallo stato dei luoghi e dalla conformazione delle aree. L’imposizione del vincolo sarebbe funzionale non solo a evitare rischi connessi alla circolazione stradale, ma anche a realizzare opere destinate alla migliore fruizione della tratta o alla tutela dei diritti fondamentali delle persone, con la predisposizione, ad esempio, di barriere antirumore o di strumenti di protezione e mitigazione visiva e ambientale.

2. La mancata contestazione del capo della sentenza, che ha ritenuto irrilevante il carattere frontistante alla strada dell’ampliamento, renderebbe il motivo inammissibile. A ogni buon conto, la disciplina delle distanze discenderebbe, in primo luogo, dall’art. 4 del decreto ministeriale 1° aprile 1968, n. 1404, che si limiterebbe a imporre il divieto di edificazione senza alcuna altra specifica. L’ulteriore normativa richiamata nell’appello, là dove fa riferimento al carattere frontistante dell’ampliamento, non potrebbe comunque interpretarsi nel senso di assoggettare il bene a un regime diverso in funzione delle singole parti del luogo ove aggettino le singole parti della costruzione.

3. Lo strumento urbanistico generale non potrebbe derogare alla disciplina posta dalle fonti statali, pena la vanificazione del vincolo (neppure questo punto della sentenza sarebbe stato contestato nell’appello, perciò inammissibile anche in parte qua). Il Comune stesso, nel richiedere il parere di Au. con atto mai impugnato, non avrebbe attribuito rilievo decisivo al proprio P.R.G. La ricostruzione della normativa di settore, fatta dal T.A.R., sarebbe del tutto corretta.

4. Date le premesse, il parere negativo – peraltro, in concreto, dettagliatamente motivato – non avrebbe potuto avere contenuto diverso e non richiederebbe alcuna motivazione ulteriore.

5. Per le medesime ragioni, l’apporto procedimentale degli odierni appellanti sarebbe stato inutile. Semmai la censura avrebbe dovuto essere rivolta al Comune che, ove avesse ritenuto fondata la prospettazione dei privati, si sarebbe dovuto astenere dal chiedere il parere ad Au.. Infine, l’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 sarebbe inapplicabile, venendo in questione un semplice atto endoprocedimentale.

Le parti hanno in seguito depositato memorie.

All’udienza pubblica del 2 dicembre 2014, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

Benché variamente argomentata nei diversi suoi profili, la controversia riguarda in definitiva l’esistenza di un vincolo di rispetto autostradale e le conseguenze che ne discenderebbero circa le valutazioni, da parte dell’ente proprietario, in merito a un intervento edilizio progettato su di un immobile che si situa all’interno della fascia protetta.

All’appello dei privati, Au. oppone alcune eccezioni di inammissibilità. Così non è però del primo motivo, sulla scorta del quale la controversia può essere decisa senza che occorra prendere in esame le eccezioni rammentate.

Secondo gli indirizzi sia del Consiglio di Stato (cfr. per tutte sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2076; sez. IV, 15 aprile 2013, n. 2062) che della Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. III, 21 febbraio 2013, n. 4346), il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale avrebbe carattere assoluto e prescinderebbe dalle caratteristiche dell’opera realizzata. Infatti, il divieto di costruzione successivamente sancito dall’art. 9 della legge 24 luglio 1961, n. 729, dall’art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (che ha aggiunto un art. 41 septies alla legge 17 agosto 1942, n. 1150) e dall’art. 4 del decreto ministeriale n. 1404 del 1968 non potrebbe essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di impedire future modifiche o di diverso utilizzo del tracciato o di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma apparirebbe correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile dal concessionario, all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.

Traducendosi in un divieto assoluto di costruire, il vincolo in questione renderebbe pertanto legalmente inedificabili le aree site nella fascia di rispetto autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e da qualunque necessità di accertamento in concreto.

In linea di principio, questa giurisprudenza è certo da condividere.

Peraltro, il Collegio non può trascurare la particolarità, anzi, senz’altro l’eccezionalità della situazione sottoposta al suo esame.

Non contestata in punto di fatto e comunque confermata dalla documentazione fotografica è la posizione dell’immobile in questione, che sorge su una collina sovrastante il piano viario. L’incremento edilizio è destinato a realizzarsi sul retro e non sul fronte che si affaccia verso la sede autostradale; le opere sul lato frontistante – secondo l’affermazione degli appellanti, ripetuta in udienza e non contraddetta – hanno carattere di manutenzione.

Il dislivello è stato variamente valutato: negli atti degli appellanti si parla di centinaia di metri; più realisticamente, in udienza, la difesa della parte privata – non contraddetta – si è riferita a uno scarto di 70 metri.

Misurata in altezza, la distanza del fabbricato dal viadotto autostradale sembra davvero al limite di quel valore di 60 metri, cui è collegato il vincolo di inedificabilità. Già, se così fosse, il vincolo in concreto non esisterebbe, a meno di non voler affermare incongruamente che, una volta accertata in piano una distanza inferiore, il vincolo conseguente si estenderebbe poi in altezza usque ad sidera.

Tuttavia, anche in disparte tale rilievo, l’effettivo stato dei luoghi è comunque tale da rendere necessarie un’interpretazione e un’applicazione ragionevoli delle norme richiamate, dunque con i temperamenti idonei anche a porle a riparo da qualunque possibile censura. In altri termini, in situazioni-limite come quella in esame, se non si vuole imporre alla proprietà privata una limitazione del tutto scissa da qualunque interesse pubblico, deve ritenersi che il soggetto competente possa rifiutare il proprio assenso solo indicando quelle ulteriori diverse “finalità perseguite con la normativa di cui si tratta e capaci di giustificarla” (cfr. Corte cost., 22 giugno 1971, n. 133) che – non essendo praticamente possibile una previsione di ampliamento o di diversa sistemazione del tracciato – verrebbero di fatto sacrificate dall’edificazione.

Nei termini sopra esposti, l’appello è fondato e va pertanto accolto, con annullamento – in riforma della sentenza impugnata – della determinazione negativa di Au., fatto salvo il potere di quest’ultima di rinnovare la valutazione richiesta corredandola di un’adeguata motivazione.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Considerata la particolarità della vicenda, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla – nei termini esposti in motivazione – il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi – Presidente

Sandro Aureli – Consigliere

Diego Sabatino – Consigliere

Oberdan Forlenza – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 27 gennaio 2015

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