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Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 24 dicembre 2015, n. 5830

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5404 del 2015, proposto da:

Comune di Mozzagrogna;

contro

Gi.Bu. ed altri (…);

per la riforma;

della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – SEZ. STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n. 00501/2014, resa tra le parti, concernente annullamento d’ufficio del permesso di costruire

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gi.Bu. e di Ma.Sa.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2015 il Cons. Aureli e uditi per le parti gli avvocati Cr. ed altri (…);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con permessi di costruire 10 febbraio 2006, n. 10, e 16 aprile 2012, n. 23, gli appellati sono stati autorizzati dal Comune di Mozzagrogna ad eseguire lavori di ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato residenziale (in località Castelli), sito nella zona B1 di completamento, disciplinata dall’art. 14 delle N.T.A. del P.R.E. vigente nel Comune.

Il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune odierno appellante, con l’ordinanza 9 agosto 2013, n. 11, ha tuttavia annullato d’ufficio tali permessi di costruire, limitatamente alla parte relativa alla costruzione di una piscina, poichè posta a distanza inferiore a 5 metri da una strada di piano, in verità, non indicata negli atti progettuali, né veniva indicata, ovviamente, la quota finita della piscina rispetto a tale strada.

L’annullamento d’ufficio veniva contestato con ricorso proposto dinanzi al giudice di primo grado deducendo le seguenti censure:

1) che l’atto impugnato era privo di istruttoria e di motivazione adeguati, né si era considerato l’affidamento ingenerato nei privato;

2) che non si era tutelato un interesse pubblico, ma l’interesse dei privati a costruire nella zona di espansione;

3) che non era rilevante la distanza di m. 2,65 della piscina dalla strada, dato che questa ha un’altezza inferiore a due metri dal piano di campagna, per cui non andava computata (art. 14 N.T.A.);

4) che la strada di piano è graficizzata nella tavola 7b a servizio della zona di espansione e non può qualificarsi quale strada comunale; peraltro, la sua costruzione è a carico dei proprietari ed il suo tracciato avrebbe potuto essere modificato;

5) che il vincolo aveva durata quinquennale ed era scaduto, né era rilevante la deliberazione del Consiglio Comunale 2 marzo 2010, n. 4, dato che con questa deliberazione erano stati reiterati i vincoli preordinati all’esproprio (cioè le sole strade di piano);

6) che l’Amministrazione non aveva considerato che con atto per notaio D.Ma. del 27 marzo 2008 erano stati rettificati i confini, per cui la piscina è in realtà posta a più di cinque metri dai confini; mentre la strada progettata viene a ricadere sulla proprietà dei ricorrenti. La graficizzazione del P.R.E. del 2003 ricalca, invero, i confini delle particelle catastali, per cui la strada in questione dovrebbe, in realtà, essere traslata sulle aree di proprietà dei confinanti.

Il primo giudice sul presupposto che il vincolo della distanza dalla strada di piano fosse scaduto per decorso del quinquennio, ha ritenuto illegittimo l’impugnato atto di autotutela affidandosi al rilievo dell’erroneo presupposto che la piscina era stata localizzata ed edificata ad una distanza inferiore a 5 metri da tale strada.

Con l’appello in esame il Comune chiede l’annullamento della decisione impugnata deducendo:

il PRE nel cui ambito è stata realizzata la piscina è un piano attuativo di dettaglio prevedente una zona C3; vale a dire un comparto edificatorio da realizzare con interventi di trasformazione urbana anche mediante convenzione edilizia, ove la costruzione della strada in questione è oggetto di previsione vincolante, anche se con possibilità di apporvi “lievi modifiche”, e comunque di carattere non espropriativo;

L’Amministrazione comunale, che di nulla al tal riguardo era stata informata da parte appellata, non era tenuta a conoscere che quest’ultima aveva acquistato, con l’atto notarile sopra indicato, una superficie situata nella zona di espansione C3, così ampliando e modificando i confini del proprio lotto originario, situato per gran parte in zona di completamento.

L’atto di acquisto predetto non era in alcun modo idoneo a determinare la natura urbanistica dell’area che ne è stata oggetto , e che parte appellata ha utilizzato per ampliare i confini dell’originario lotto realizzando all’interno degli stessi la contestata piscina.

L’atto di autotutela del Comune è stato quindi legittimamente adottato.

Parte appellata si è costituita in giudizio per chiedere il rigetto del gravame, opponendo l’omessa verifica dello stato effettivo dei luoghi descritti dal Piano Regolatore Edilizio che pone in rilievo, per quanto attiene alla situazione rilevante in questo giudizio, una strada di lottizzazione non ancora realizzata e comunque non più inserita nei preesistenti confini delle aree inserite nella zona di espansione.

All’udienza del 3 dicembre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Ritiene la Sezione che il gravame debba essere respinto e che quindi il dispositivo della sentenza impugnata debba essere confermato, non senza precisare a tale esito deve pervenirsi, ancorchè in accoglimento di censura dedotta in promo grado da parte appellata, sulla base di una motivazione diversa da quella esposta nella sentenza gravata.

In tale otttica va anzitutto ritenuto che non appare condivisibile l’affermazione del primo giudice secondo cui alla fattispecie attiene un vincolo espropriativo preordinato alla realizzazione della strada graficizzata nella tavola n. 7b del Piano Regolatore Esecutivo.

In quest’ultimo è invero contenuta la disciplina di interventi edilizi di tipo residenziale per la quale, anche con riguardo alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria , è ammessa la possibilità della loro realizzazione non soltanto da parte del Comune, previo esproprio delle aree occorrenti, ma anche da parte dei privati proprietari delle aree ricomprese nel Piano, mediante lo strumento della convenzione di lottizzazione.

In presenza di siffatta alternativa, è noto e pacifico, che il vincolo attinente alle opere di urbanizzazione non è un vincolo di natura espropriativa. di durata quinquennale, bensì, contenendo detto piano già la dichiarazione di p.u. delle dette opere, un vincolo che ha validità decennale ex art. 16-17 della L.U.

E’ altresi condivisibile l’affermazione della difesa del Comune appellante secondo cui in nessun caso un atto privato di compravendita qual è quello stipulato tra la parte appellata e la sig.ra Gabriella Schips può mutare la destinazione di zona nella quale un’area originariamente è collocata. come del resto è previsto dallo stesso P.R.E. in esame, nè potendo un contratto tra privati avere l’effetto di una variante.

Va aggiunto che la validità del vincolo decennale della distanza delle costruzione dalla strada è stato ritualmente rinnovato dal Comune con la deliberazione consiliare n.4 del marzo 2010, non potendosi opporre al riguardo l’omessa comunicazione preventiva a parte appellata di tale rinnovo non essendo essa proprietaria di una volumetria residenziale all’interno della zona d’espansione.

Alla stregua delle considerazione che precedono ne deriva che gran parte dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata non può essere confermato in questa sede.

Non può non essere rilevato, tuttavia, che il provvedimento impugnato è stato adottato al solo scopo di affermare il ripristino della legalità violata avendo natura di annullamento d’ufficio volta ad invalidare precedenti tutoli edilizi rilasciati a parte appellata nonostante sin dall’origine non ne esistessero le condizioni.

In tale ambito è d’uopo richiamare il costante orientamento di questo giudice in tema di annullamento d’ufficio.

In tale ottica va ricordato che “in materia edilizia, i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio della concessione di costruzione con effetti ex tunc sono l’illegittimità originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità (i.e. tutela del territorio), l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari e/o l’eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione o ha approfittato di un errore della medesima, tenendo presente che all’uopo quest’ultima deve dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza di tali presupposti con l’avvertenza che pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere de quo, la caducazione che intervenga a una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono state completate esige una più puntuale e convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento (Cons. Stato Sez. IV 27 novembre 2010 – n. 8291).

Rileva di conseguenza nella fattispecie che l’autotutela è stata esercita nel 2013 in relazione a permessi di costruire volti ad eseguire lavori di ristrutturazione ed ampliamento del 2006 e del 2012

Né può essere omesso di osservare che il Comune, affatto ingannato da parte appellata, confrontando la documentazione progettuale allegata ai detti permessi di costruire con quella già in suo possesso descrittiva dei confini preesistenti, ben avrebbe potuto accorgersi del mutamento dei confini sulla base del quale quest’ultima intendeva eseguire gli interventi.

Tanto meno il Comune appellante ha posto a confronto, sul piano motivazionale, la realizzazione della piscina con la possibilità che la stessa non fosse incompatibile con il vincolo della distanza dalla strada, avuto riguardo alla prevista possibilità di apportare “lievi modifiche” al P.R.E. che ben potrebbero riguardare anche una strada di piano ad oggi soltanto graficizzata.

L’appello va in conclusione respinto.

Le ragioni esposte a sostegno dell’esito del gravame consentono la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta –

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi – Presidente

Sandro Aureli – Consigliere, Estensore

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Alessandro Maggio – Consigliere

Francesco Mele – Consigliere

Depositata in Segreteria il 24 dicembre 2015.

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