Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22 marzo 2017, n. 1302

La ratio legis sottesa alla disposizione di cui all’art. 1393, comma primo, d.lgs. 66/2010 mira a vincolare il procedimento disciplinare agli esiti del processo penale in punto, in particolare, di accertamento del fatto materiale di reato, la cui definitiva individuazione ad opera del giudice penale si riflette a valle anche nel procedimento disciplinare, costituendo la base oggettiva da cui si diramano le autonome delibazioni amministrative dell’autorità; un eventuale rinvio disposto al mero scopo per così dire tecnico e tutto penalistico di rideterminazione della pena non riveste, pertanto, alcuna rilevanza nell’ottica che anima la norma in commento, essendo comunque soddisfatto il criterio della subordinazione, funzionale e probatoria e non meramente temporale, del momento disciplinare a quello penale

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 22 marzo 2017, n. 1302

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6101 del 2014, proposto da Gi. Ga., rappresentato e difeso dagli avvocati Fe. Te. e Pa. Ac., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, largo (…);

contro

Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione I n. 485 del 14 febbraio 2014, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n. r.g. 3238/2012, proposto per l’annullamento della determinazione del Direttore generale per il personale militare del Ministero della difesa del 10 agosto 2012, recante l’applicazione della sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione, con cessazione dal servizio permanente e iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito, senza alcun grado, e del pregresso verbale della commissione di disciplina del 25 giugno 2012, con condanna alle spese del giudizio di primo grado liquidate in complessivi € 1.500,00;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2017 il consigliere Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati F. Te. e l’avvocato dello Stato C. Co.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Oggetto del presente giudizio è il provvedimento del Ministero della difesa del 10 agosto 2012, con cui è stata disposta nei confronti dell’odierno ricorrente, allora Carabiniere scelto, la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, ai sensi degli articoli 861, comma primo, lettera d) e 867, comma sesto, del d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66, con conseguente cessazione dal servizio permanente ed iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito Italiano, senza alcun grado.

2. Il provvedimento si basa sulla condanna inflitta al ricorrente in sede penale per i reati di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e di concorso in favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, giacché egli, “nel periodo fra il giugno 2001 e l’ottobre 2004, nel corso di servizi istituzionali, in cambio di prestazioni sessuali offerte da ragazze impiegate in alcuni night-club, non effettuava alcun controllo nei confronti di detti locali, avvisava il proprietario delle previste ispezioni programmate da altri militari e favoriva lo sfruttamento della prostituzione che ivi si praticava, non intervenendo per interrompere l’attività criminosa”.

3. Il ricorrente ha formulato in prime cure le censure di:

a) violazione di legge per applicazione retroattiva delle disposizioni del codice dell’ordinamento militare (di cui al d.lgs. n. 66/2010), successive ai fatti di reato posti a base della sanzione disciplinare;

b) violazione di legge per indebito avvio del procedimento disciplinare prima della definitiva conclusione del processo penale;

c) eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione e per violazione del principio di proporzionalità nell’irrogazione della sanzione disciplinare.

4. Il Tar Milano ha rigettato il ricorso con l’onere delle spese (quantificate in € 1.500,00) con sentenza n. 485 del 14 febbraio 2014, sostenendo:

– quanto alla censura di applicazione retroattiva delle disposizioni del d.lgs. 66/2010, che “l’art. 2187 del d.lgs. 66/2010 prevede che debbano essere trattati in base alla previgente normativa solo i procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore. Ne consegue che ciò che appare dirimente ai fini della applicazione delle disposizioni in materia disciplinare non è la data della commissione del fatto, ma quella dell’inizio del procedimento sanzionatorio. Peraltro, anche la normativa vigente al momento della commissione dei fatti (art. 34, n. 6, della L. 1168/1961) riconnetteva la sanzione della perdita del grado alla violazione del giuramento; la sua applicazione non avrebbe, quindi, comportato un regime punitivo più favorevole per l’incolpato”;

– quanto alla censura di violazione di legge per avvio del procedimento disciplinare prima della definizione del processo penale, che “l’art. 1393 del d.lgs. 66/2010 prevede che il procedimento disciplinare non possa essere promosso fino al termine di quello penale. Tale norma deve essere, tuttavia, interpretata nel senso che l’Amministrazione è abilitata a darvi inizio allorché la commissione del fatto e la sua qualificazione come reato siano divenuti incontrovertibili per effetto del formarsi del giudicato, del tutto indipendentemente, dunque, dalla pendenza del giudizio di rinvio” ove, come nella specie, afferente alla “quantificazione della pena per aspetti del tutto privi di rilevanza ai fini del giudizio disciplinare (reformatio in peius della pena per quattro mesi, considerazione della parziale prescrizione intervenuta in corso di giudizio di alcuni episodi di reati connessi da continuazione con altri non ancora prescritti). Costituisce, infatti, asserto pacifico che l’annullamento della sentenza di merito ai soli fini della determinazione della pena comporta la definitività dell’affermazione di colpevolezza dell’imputato (Cass. n. 7450 del 2011)”;

– quanto, infine, alla censura di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per violazione del principio di proporzionalità nella irrogazione della massima sanzione prevista dall’ordinamento militare, che da un lato le “memorie difensive depositate dall’incolpato nel corso del procedimento disciplinare… erano più che altro volte a contestare o a sminuire i fatti oramai incontrovertibilmente accertati in sede di giudizio penale”, dall’altro le condotte delittuose de quibus “violano i più elementari doveri connessi alla divisa”.

5. Il ricorrente ha interposto appello, rimodulando criticamente le censure svolte in prime cure.

6. Costituitasi l’Amministrazione resistente e rigettata l’istanza cautelare proposta dal ricorrente (con ordinanza motivata di questa Sezione n. 3823 del 27 agosto 2014), il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 23 febbraio 2017, in vista della quale non sono state depositate memorie scritte.

7. Il ricorso non merita accoglimento.

8. Quanto alla prima censura, osserva anzitutto il Collegio che il disposto dell’art. 2187 d.lgs. 66/2010, secondo cui “I procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente codice e del regolamento rimangono disciplinati dalla previgente normativa”, è collocato nel Libro IX del decreto, rubricato “disposizioni di coordinamento, transitorie e finali” e, più in particolare, nel Titolo II, rubricato “disposizioni transitorie” e, all’interno di esso, nel Capo I, recante le “disposizioni generali”: scopo dell’articolo, dunque, è l’apprestamento di un criterio generale atto a dirimere le inevitabili problematiche di diritto intertemporale conseguenti all’entrata in vigore del decreto.

8.1. Tale dichiarata finalità della diposizione lumeggia il significato da ascrivere all’espressione “procedimenti” ivi contenuta, con ogni evidenza riferita a tutti i vari “procedimenti” disciplinati dal decreto o, comunque, afferenti alle materie normate dal decreto medesimo, tra cui, quindi, anche i “procedimenti” disciplinari, tanto di stato quanto di corpo.

8.2. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia disciplinare previste dal decreto, in definitiva, assume valenza dirimente non la data della commissione del fatto, bensì quella dell’inizio del procedimento disciplinare, da individuarsi, quanto ai procedimenti disciplinari di stato, con l’inchiesta formale, nella specie ordinata in data (16 febbraio 2012) successiva all’entrata in vigore del decreto (9 ottobre 2010), alle cui disposizioni, pertanto, il conseguente procedimento soggiace integralmente.

8.3. Peraltro, a prescindere da tale considerazione, anche la previgente legislazione ordinamentale relativa, tra l’altro, ai militari di truppa dell’Arma dei Carabinieri contemplava (articoli 34, 35 e 37 della l. 18 ottobre 1961, n. 1168) la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione, a sua volta conseguente, previo giudizio della commissione di disciplina, alla “violazione del giuramento” ovvero ad un “comportamento comunque contrario alle finalità dell’Arma”.

9. Quanto alla seconda censura, il procedimento disciplinare è iniziato in data 16 febbraio 2012, dunque dopo la sentenza della Cassazione n. 1456 del 4 ottobre 2011 che annullava la sentenza di condanna emessa nei confronti dell’odierno ricorrente in data 9 novembre 2010 dalla Corte d’Appello di Brescia limitatamente agli episodi corruttivi a lui ascritti sino al 4 aprile 2004 in quanto estinti per prescrizione e, pertanto, rinviava gli atti alla medesima Corte d’Appello ai soli fini della conseguente rideterminazione della pena.

9.1. Al momento dell’inizio del procedimento disciplinare, pertanto, l’accertamento della sussistenza del fatto materiale di reato, la sua qualificazione come illecito penale e l’affermazione che l’imputato lo aveva commesso erano coperti dal giudicato: un’esegesi normativa teleologicamente orientata induce, dunque, a ritenere nella specie sostanzialmente rispettato il disposto dell’art. 1393, comma primo, d.lgs. 66/2010 vigente ratione temporis, a tenore del quale “Se per il fatto addebitato al militare è stata esercitata azione penale… il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale…”.

9.2. E’ evidente, infatti, che la ratio legis sottesa a questa disposizione mira a vincolare il procedimento disciplinare agli esiti del processo penale in punto, in particolare, di accertamento del fatto materiale di reato, la cui definitiva individuazione ad opera del giudice penale si riflette a valle anche nel procedimento disciplinare, costituendo la base oggettiva da cui si diramano le autonome delibazioni amministrative dell’autorità.

9.3. Un eventuale rinvio disposto dalla Corte di Cassazione al mero scopo per così dire tecnico e tutto penalistico di rideterminazione della pena non riveste, pertanto, alcuna rilevanza nell’ottica che anima la norma in commento, essendo comunque soddisfatto il criterio della subordinazione, funzionale e probatoria e non meramente temporale, del momento disciplinare a quello penale (arg. da Cons. Stato, Sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1875; 16 aprile 1998, n. 636, § 2).

10. Quanto, infine, alla terza censura, è agevole anzitutto osservare che l’Amministrazione ha tenuto debitamente conto della memoria procedimentale prodotta dall’interessato: la definizione della medesima come “ininfluente” non costituisce, infatti, indice di trascuratezza istruttoria, ma dimostra, a contrario, che è stato svolto, in proposito, un apposito scrutinio, all’esito del quale è emersa la sostanziale irrilevanza dell’apporto dell’incolpato. Del resto, osserva il Collegio, in tale difesa il Gallo prevalentemente insiste sui fatti materiali a lui ascritti, propugnandone una lettura diversa e meno grave rispetto a quella operata dai Giudici penali; quanto ai profili prettamente disciplinari, si limita a sostenere che, anche alla luce della “lealtà, rettitudine e correttezza dimostrata nel quotidiano servizio d’Istituto… non vi sono elementi che facciano venir meno il rapporto di fiducia necessario per proseguire ad indossare, con onore, il grado”.

10.1. Né, per altro profilo, si apprezza un difetto motivazionale: l’Amministrazione ha ritenuto i fatti commessi dal Ga., a prescindere dal rilievo penalistico, di particolare gravità in quanto contrari ai “principi di moralità e rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato ed a quelli di correttezza ed esemplarità propri di un appartenente all’Arma dei Carabinieri”.

10.2. In proposito, il Collegio osserva che il d.lgs. 66/2010 si limita a tipizzare le sanzioni disciplinari e delinea, in punto di scelta della misura opportuna in relazione al caso di specie, elastici criteri generali che disvelano anche testualmente l’assai ampia discrezionalità conferita, in subiecta materia, all’autorità, il cui autonomo spatium deliberandi si estende sino al limes, questo solo sindacabile dal Giudice Amministrativo,della macroscopica abnormità, della insostenibile illogicità, della conclamata erroneità fattuale, quali sintomi di un uso non semplicemente opinabile, ma intrinsecamente patologico del potere conferito.

10.3. Per vero, costituisce oramai jus receptum il principio secondo cui “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento (Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2830). Inoltre, “spetta all’amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità (l’amministrazione dispone, infatti, di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo)” (Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6034; Sez. VI, 22 marzo 2007, n. 1350; Sez. IV, 13 dicembre 1999, n. 1875; 16 aprile 1998, n. 636).

10.4. Peraltro, la connotazione dell’Arma dei Carabinieri quale “forza militare di polizia a competenza generale e in servizio permanente di pubblica sicurezza con rango di Forza Armata” (art. 155 d.lgs. 66/2010) rende vieppiù biasimevole, ai fini disciplinari, una condotta quale quella tenuta dall’odierno ricorrente, stimata, con valutazione prima facie tutt’altro che illogica o irragionevole, contraria ai doveri assunti con il giuramento nonché lesiva dell’immagine e del prestigio dell’Arma presso i consociati, cui l’attività istituzionale del Corpo, a differenza delle altre Forze Armate preposte alla difesa militare dello Stato, è in primis diretta.

10.5. Né, infine, ha pregio la censura di violazione del principio di proporzionalità: come già precisato da questo Consiglio, “il principio di proporzionalità consiste in un canone legale di raffronto che, anche dopo la sua espressa codificazione a livello comunitario sulle suggestioni del diritto tedesco (art. 5, ultimo comma, del trattato Ce ora art. 5 trattato UE), non consente di controllare il merito dell’azione amministrativa… il sindacato giurisdizionale non può spingersi ad un punto tale da sostituire l’apprezzamento dell’organo competente con quello del giudice, valutando l’opportunità del provvedimento adottato ovvero individuando direttamente le misure ritenute idonee (cfr. Corte giust. 18 gennaio 2001, causa C-361/98); il giudice amministrativo, pertanto, non può sostituirsi agli organi dell’amministrazione nella valutazione dei fatti contestati o nel convincimento cui tali organi sono pervenuti; ne discende che il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, ed il suo corollario in campo disciplinare rappresentato dal c.d. gradualismo sanzionatorio, non consentono al giudice amministrativo di sostituirsi alle valutazioni discrezionali compiute dall’autorità disciplinare, che possono essere sindacate esclusivamente ab externo, qualora trasmodino nell’abnormità; altrimenti opinando, si introdurrebbe surrettiziamente una smisurata ed innominata ipotesi di giurisdizione di merito del giudice amministrativo in contrasto con le caratteristiche ontologiche di siffatta giurisdizione, che sono, all’opposto, la tipicità e l’eccezionalità in quanto deroga al principio di separazione dei poteri, cui si ispira la legislazione (in tal senso depone ora la lettura testuale e sistematica dell’art. 134 c.p.a.)”(Cons. Stato, Sez. IV, 9 ottobre 2010, n. 7383; in termini Cons. Stato, Sez. IV, 16 aprile 2015, n. 1968; 23 febbraio 2012, n. 1022; Sez. II, 5 maggio 2011, n. 2055/10; Sez. IV, 12 novembre 2008, n. 5670; Sez. VI, 29 febbraio 2008, n. 758).

11. Alla stregua delle su esposte argomentazioni l’appello deve essere respinto.

12. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 26, comma 1, c.p.a. e dei parametri stabiliti dal regolamento n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente Gi. Ga. alle spese di lite, liquidate in complessivi € 5.000,00 oltre oneri accessori come per legge, ove dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere, Estensore

Nicola D’Angelo – Consigliere

Giuseppa Carluccio –

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