Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 21 settembre 2015, n. 4410

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1238 del 2015, proposto da:

Societa’ Im. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Fr.Sc. ed altri, con domicilio eletto presso Fr.Sc. in Roma, Via (…);

contro

Comune di Pescara, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Al.Va., con domicilio eletto presso Ch.Li. in Roma, Via (…);

nei confronti di

Ma.Ci. ed altri;

per l’ottemperanza

della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. IV n. 02398/2014, resa tra le parti, concernente ordine di demolizione opere abusive elusivo del giudicato – mcp-;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pescara;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2015 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Fr.Sc. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

Con concessione edilizia n. 9 del 1999 e successive varianti, il Comune di Pescara abilitava la società Im. s.r.l. a effettuare lavori di “completamento della ristrutturazione” di un edificio situato in viale (…).

Tali concessioni erano impugnate da alcuni controinteressati, proprietari di immobili posti nelle vicinanze.

Il ricorso veniva accolto dal T.A.R. per l’Abruzzo – Pescara, sez. I, con sentenza 9 gennaio 2006, n. 11, confermata dal Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza 11 aprile 2007, n. 1672.

La società proponeva ricorso per revocazione, che veniva dichiarato inammissibile. (Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2166).

A seguito dell’annullamento giurisdizionale della concessione e delle varianti, con ordinanza n. 70 del 18 novembre 2008 – adottata a norma dell’art. 31, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 il Comune intimava la demolizione delle opere abusive.

La società impugnava anche questo provvedimento. Il T.A.R. respingeva il ricorso con sentenza 5 novembre 2009, n. 657.

L’Im. interponeva appello.

La Sezione accoglieva l’appello con decisione n. 2398/2014, argomentando come segue: “L’ordinanza impugnata mette a presupposto dell’ingiunzione l’art. 31 t.u.

Qui, appunto, sta il nocciolo della questione, cioè nell’esatta qualificazione “del potere esercitato dal Comune di Pescara” (come si è espressa la Sezione, in una precedente fase della medesima vicenda, con l’ordinanza cautelare 24 febbraio 2009, n. 986).

Nella sostanza, è indubbio che la disposizione applicabile sarebbe quella dell’art. 38 t.u., non quella dell’art. 31. Sul punto conviene anche la difesa comunale, che naturalmente svaluta l’errore come svista solo formale, tale da non incidere in concreto negativamente sul corretto esercizio del potere spettante all’Amministrazione.

In termini generali, va ricordato che, secondo l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, l’affidamento del privato a poter conservare l’opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non è tutelato in via generale ma è rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (l’art. 38 t.u., di cui qui si discorre), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio (come avvenuto con l’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724). In difetto di una espressa previsione legislativa, la posizione di colui che abbia realizzato l’opera sulla base di un titolo annullato non si differenzia dagli altri soggetti che hanno invece realizzato l’opera abusiva senza titolo.

L’annullamento giurisdizionale del permesso o della concessione di costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il Comune, stante l’efficacia conformativa, oltre che costitutiva e ripristinatoria, della sentenza del giudice amministrativo, è obbligato a dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali. Tali provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto necessariamente la demolizione delle opere realizzate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3571): l’art. 38 prevede invece una gamma articolata di possibili soluzioni, della valutazione delle quali l’atto conclusivo del nuovo procedimento dovrà ovviamente dare conto.

A questo proposito, il Collegio ritiene che, nella fattispecie, il Comune non si sia incorso solo nell’errore formale di indicare un articolo di legge in luogo di un altro, ma abbia inteso fare uso proprio del potere sostanziale che l’articolo richiamato gli attribuirebbe. Benché la difesa dell’Amministrazione si ingegni a dimostrare il contrario, manca nell’ordinanza di demolizione qualunque accenno ai passaggi che avrebbero dovuto precedere l’ingiunzione di abbattere le opere abusive.

Come la Sezione ha affermato di recente, se è vero che l’edificazione intervenuta in base a titolo successivamente annullato equivale ad edificazione senza titolo, è altrettanto vero (e ragionevole) che il legislatore non equipara, quanto agli effetti sanzionatori, le due fattispecie, rendendo necessario comparare l’interesse pubblico al recupero dello status quo ante con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del cittadino incolpevole dell’illegittimità, al contrario confidante nell’esercizio legittimo del potere amministrativo.

Ciò comporta che – dapprima nella verifica della necessità di irrogazione della sanzione (quando non si possano potendosi rimuovere i vizi riscontrati nell’atto annullato), e poi, una volta riscontratane la necessità, nella scelta della sanzione applicabile – l’amministrazione debba svolgere una verifica, congruamente motivando su quanto infine deciso (cfr. sez. IV, 10 agosto 2011).

D’altronde, nella fattispecie ex art. 38 t.u. la demolizione rappresenta l’extrema ratio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535; Id., sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2852), il che rende necessario una motivazione specifica (e non estremamente sintetica se non implicita, come il Comune vorrebbe sufficiente) a sorreggere quel tipo di provvedimento.

E, per concludere, nel caso concreto l’affidamento del privato appare meritevole di attenzione (il che, nuovamente, esclude che possa bastare una motivazione concentrata ed ellittica). La concessione edilizia poi annullata è stata rilasciata sulla scorta di una interpretazione e applicazione della normativa di piano che T.A.R. e Consiglio di Stato hanno sì disatteso, ma che in punto di fatto – come neppure il Comune nega – sembra essere stata largamente e pacificamente adottata nel passato.

Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è fondato e va pertanto accolto. Ne segue, in riforma della sentenza impugnata, l’annullamento dell’ordinanza impugnata nei sensi di cui appena si è detto, salvi ovviamente, gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione in merito al citato art. 38”.

Dopo la pubblicazione della sentenza, il Comune di Pescara comunicava all’Im. srl l’avvio del procedimento di cui all’art. 38 del dPR 380/2001.

Con provvedimento n. 158994 del 16/12/2014, il Comune, a conclusione del procedimento avviato, emetteva nuovamente ordine di demolizione così motivato: “le risultanze dell’istruttoria tecnica redatta in base a quanto previsto dall’art. 38 del dPR 380/2001 che, stante l’annullamento del titolo edilizio non per ragioni formali o procedimentali, ma per l’esistenza di vizi sostanziali, ha ritenuto possibile materialmente e giuridicamente procedere alla demolizione, a) per l’assenza di impedimenti tecnici alla medesima, b) nonché, in relazione agli argomenti sollevati dall’im. nelle deduzioni del 26/6/2014, sia per la sostanziale irrilevanza, rispetto al caso in esame ed ai presupposti applicativi posti dall’art. 38, dell’esistenza di parti in “regola” o “legittime”, costituenti elementi della diversa fattispecie disciplinata dall’art. 34 TU edilizia, sia comunque per l’assenza di pregiudizio a parti dell’edificio legittime o assentibili, anche in sanatoria, stante l’impossibilità di configurare una sagoma dell’edificio….porzioni legittime….ad eccezione di una modestissima superficie, come evidenziato nella planimetria allegata alla relazione dell’Unità di progetto in data 11/12/2014 prot. 267202, in precedenza richiamata”.

L’im. srl ricorre ora in ottemperanza. Deduce che il provvedimento sarebbe elusivo del giudicato in quanto: a) il Comune avrebbe, in via interpretativa, attribuito carattere ordinario alla demolizione contemplata dall’art. 38, anziché di extrema ratio, come invece chiarito dal Consiglio di Stato; b) non sarebbe vero che non esistono impedimenti tecnici alla demolizione; c) i vizi della costruzione, secondo il giudicato, sarebbero emendabili attraverso misure in parte ripristinatorie ed in parte pecuniarie, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune che invece avrebbe del tutto sconosciuto l’esistenza di parti legittimamente edificate; d) in definitiva il Comune di Pescara avrebbe semplicemente confezionato una motivazione in modo da perseguire comunque l’iniziale ed illegittimo obiettivo della totale demolizione; e) per contro, l’art. 38 non conterrebbe alcun riferimento alla demolizione, ma alla sola riduzione in pristino, proprio in considerazione della peculiare genesi dell’abuso; f) del resto, il manufatto oggi sarebbe assentibile in virtù della vigente disciplina statale e regionale.

Il comune di Pescara, costituitosi in giudizio, eccepisce l’inammissibilità del ricorso ed in subordine ne invoca il rigetto per la sua infondatezza.

La causa è stata chiamata per la discussione all’udienza del 16 giugno 2015, ed all’esito trattenuta in decisione.

Il ricorso è inammissibile.

Il giudicato si limita a rilevare che la (precedente) ordinanza di demolizione ha fondato l’ingiunzione sull’art. 31 t.u, omettendo di considerare che il previo annullamento giurisdizionale del permesso di costruire (antefatto e presupposto dell’ingiunzione) imponeva invece l’applicazione dell’art. 38. E’ pur vero che la sentenza chiarisce che i provvedimenti di cui all’art. 38 non devono avere ad oggetto necessariamente la demolizione delle opere realizzate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3571) essendo invece prevista un’articolata gamma di possibili soluzioni, della valutazione delle quali l’atto conclusivo del nuovo procedimento deve dare conto in motivazione, avuto anche riguardo alla extrema ratio della sanzione demolitoria, ma ciò ha fatto a confutazione delle tesi dell’amministrazione che tentava di difendere il provvedimento sostenendo la sussistenza di un mero errore nell’indicazione dell’art. 31, fermo restando il sostanziale esercizio del potere di cui all’art.38. La Sezione, ritenendo invece illegittimamente applicato l’art. 31 in luogo dell’art. 38, ha conclusivamente disposto “l’annullamento dell’ordinanza impugnata nei sensi di cui appena si è detto, salvi ovviamente, gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione in merito al citato art. 38”.

Nel nuovo provvedimento, l’amministrazione ha espressamente chiarito di voler applicare l’art. 38, evidenziando al contempo, con motivazione ampia e specifica, supportata anche da una relazione istruttoria, che : a) che i vizi del titolo annullato in s.g. non sono emendabili; b) è invece ben possibile la demolizione.

Tale provvedimento non può essere considerato elusivo del giudicato per il sol fatto che, pur applicando l’art. 38, giunge alle medesime conclusioni demolitorie. I vizi che il ricorrente deduce attengono piuttosto alla legittimità dello stesso (illegittimità dell’ordine di integrale demolizione, in luogo della rimessione in pristino e contestuale applicazione della sanzione pecuniaria) ed alla sufficienza e congruenza della motivazione in relazione alle risultanze istruttorie. Vizi che potranno esser fatti valere in sede di ordinaria cognizione dinanzi al competente TAR, in sede di riassunzione.

Il ricorso è dunque inammissibile. Esso è riqualificato quale ricorso per l’annullamento, con conseguente possibilità di sua riassunzione dinanzi al TAR per l’Abruzzo, giusto quanto previsto da A.P. n. 2/2013.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso in ottemperanza, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Lo stesso potrà essere riassunto dinanzi al TAR per l’Abruzzo giusto quanto previsto da A.P. n. 2/2013.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dall’amministrazione, forfettariamente liquidate in Euro 3.000,00, oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Diego Sabatino – Consigliere

Raffaele Potenza – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 21 settembre 2015.

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *