Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 21 settembre 2015, n. 4395

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1949 del 2015, proposto da:

Comune di Serra San Bruno, rappresentato e difeso dall’avv. Do.Co., ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Ma.Lo. in Roma, via (…);

contro

Lu.Sc., rappresentata e difesa dall’avv. Br.Ga., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ca.Ce. in Roma, viale (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, n. 2076/2014, resa tra le parti, concernente espropriazione terreni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati.

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Lu.Sc.

Viste le memorie difensive.

Visti tutti gli atti della causa.

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 luglio 2015 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per l’appellante l’avvocato Fr.Iz. su delega dell’avvocato Do.Co.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

In data 3/3/2005, il Comune di Serra San Bruno ha disposto la pubblicazione, su un quotidiano locale, della comunicazione di avvio del procedimento per l’imposizione di un vincolo preordinato all’esproprio di alcune unità immobiliari, tra cui quelle indicate in catasto al foglio 21, particelle 47 e 281, di proprietà della sig.ra Lu.Sc.

Ciò al fine di consentire la realizzazione di parcheggi, nonché l’adeguamento della rete viaria e dei sottoservizi, nelle aree di pertinenza della certosa.

Con delibera consiliare 15/4/2005 n. 3, è stato poi approvato, in variante al vigente strumento urbanistico, il progetto definitivo dei suddetti lavori, apponendo il vincolo preordinato all’esproprio sulle aree interessate dall’intervento e dichiarando la pubblica utilità dell’opera.

La progettazione è stata successivamente modificata con delibere consiliari 7/8/2007 n. 20 e 15/10/2007 n. 27, con cui è stata reiterata la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

Infine, con decreto 15/5/2009 n. 1, il menzionato Comune ha disposto l’esproprio dell’area della sig.ra Sc.

Quest’ultima ha, quindi, impugnato tutti gli atti sopra indicati davanti al TAR Calabria – Catanzaro, che, con sentenza 4/12/2014 n. 2076, previa dichiarazione di irricevibilità delle censure rivolte contro la delibera n. 3/2005, ha, per il resto, accolto il ricorso, affermando che la riapprovazione del progetto, operata con le delibere n. 20/2007 e 27/2007, sarebbe dovuta avvenire mediante un nuovo procedimento che garantisse le pretese partecipative della ricorrente, pretese, invece, nella specie non soddisfatte.

Ritenendo la sentenza erronea ed ingiusta il Comune di Serra San Bruno l’ha appellata chiedendone l’annullamento.

Si è costituita in giudizio la sig.ra Sc., depositando memoria con cui si è opposta all’accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 14/7/2015 la causa è stata posta in decisione.

In via pregiudiziale vanno affrontate le questioni di rito prospettate dall’appellata.

Con una prima eccezione la sig.ra Sc. deduce l’inammissibilità dell’appello, in quanto la decisione di agire o resistere in giudizio, con la scelta del professionista cui affidare il patrocinio, sarebbero di pertinenza dell’apparato burocratico e non degli organi di governo dell’ente.

L’eccezione è infondata.

Al riguardo basta rilevare che nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, di cui al D. Lgs. 18/8/2000 n. 267 – salva diversa previsione dello statuto comunale o dei regolamenti a cui il medesimo faccia espresso rinvio – la rappresentanza legale dell’ente compete al Sindaco, il quale non necessita di preventiva autorizzazione ad agire o a resistere in giudizio (Cons. Stato, Sez. VI, 9/6/2006 n. 3452; Cass. Civ. SS. UU. 27/6/2005 n. 13710).

Nel caso di specie, non è stata nemmeno addotta l’esistenza di una norma statutaria o regolamentare che preveda la preventiva autorizzazione a stare in giudizio, da qui la rilevata infondatezza dell’eccezione.

Con un’altra eccezione l’appellata deduce che l’appello sarebbe inammissibile in quanto privo di specifiche censure contro la sentenza appellata.

L’eccezione è infondata.

Difatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla sig.ra Sc., l’appellante ha dedotto puntuali critiche alla sentenza impugnata, come emerge dalla semplice lettura dell’atto d’appello.

Con una terza eccezione l’appellata sostiene, infine, che l’appello sarebbe “inammissibile e/o improcedibile” per carenza di interesse ad agire posto che sarebbe stato revocato il contratto con la ditta appaltatrice dei lavori, e non essendo stati questi ultimi iniziati, sarebbero decorsi i termini di validità del vincolo.

Nemmeno questa eccezione merita accoglimento.

Basta sul punto osservare che, nel caso di specie, ogni questione concernente l’efficacia del vincolo espropriativo, è inconferente, essendo già intervenuto, sin da epoca precedente alla proposizione del ricorso di primo grado, il decreto espropriativo (decreto 15/5/2009 n. 1).

L’appello va, quindi, esaminato nel merito.

Col primo motivo di gravame l’appellante comune deduce che l’impugnata sentenza sarebbe erronea per non aver colto che le modifiche progettuali introdotte con le delibere nn. 20/2007 e 27/2007, non hanno riguardato le aree della sig.ra Sc., per cui, rispetto a tali aree, restava ferma la dichiarazione di pubblica utilità disposta con la delibera consiliare n. 3/2005.

Da qui la conseguenza che il giudice di prime cure avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’impugnazione delle citate delibere del 2007.

La doglianza merita accoglimento.

Come emerge dalle non smentite affermazioni del Comune di Serra San Bruno, confermate dalla nota del Responsabile del Settore Urbanistica in data 11/5/2015, depositata in giudizio, le delibere consiliari n. 20/2007 e 27/2007, non hanno apportato, rispetto alle unità immobiliari della sig.ra Sc., alcuna modifica al progetto approvato con la delibera consiliare n. 3/2005.

Nel descritto contesto, non occorreva, quindi, ripetere, nei confronti dell’appellata, le formalità partecipative previste dalla legge.

Quest’ultima, infatti, non subendo dalle delibere del 2007 alcuna diretta lesione, non poteva vantare alcuna pretesa tutelata a partecipare ai procedimenti preordinati alla loro emanazione.

La tesi dell’appellata, secondo cui ogni nuova dichiarazione di pubblica utilità dovrebbe essere accompagnata dalle garanzie procedimentali ed istruttorie sue proprie, è convincente nelle ipotesi in cui la precedente dichiarazione abbia perso effetto (Cons. Stato, Sez. IV, 24/7/2003 n. 4239 e 13/1/2010 n. 39), ma non si attaglia al caso di specie, dove non è contestato che la dichiarazione di pubblica utilità a suo tempo disposta con la delibera consiliare n. 3/2005, fosse ancora efficace, cosicchè le nuove delibere, per le parti di progetto non modificate, hanno assunto un carattere di mera conferma.

L’appello va, in definitiva, accolto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese ed onorari di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’impugnata sentenza.

Condanna l’appellata al pagamento delle spese processuali in favore dell’amministrazione appellante, liquidandole forfettariamente in complessivi € 4.000/00 (quattromila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Diego Sabatino – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 21 settembre 2015.

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