Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 20 marzo 2017, n. 1225

Ai fini della sanatoria di un abuso edilizio costituito da un fabbricato realizzato in parte nella fascia di rispetto di una strada statale, trova applicazione la normativa statale ex art. 33 della l. 47/985, in base al quale il divieto di costruzione entro la fascia di rispetto del nastro stradale è un vincolo che comporta la inedificabilità assoluta e, dunque, la non sanabilità dell’opera

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 20 marzo 2017, n. 1225

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 10505/2006 RG, proposto da Al. Co., rappresentato e difeso dagli avvocati Re. Ba. e Si. Ci., con domicilio eletto in Roma, via (…);

contro

il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati At. Ca. e Ga. Le., con domicilio eletto in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.r.g.a. Trentino Alto Adige – Trento – n. 328 del 29 settembre 2006, resa tra le parti e concernente il diniego di concessione in sanatoria per un manufatto in calcestruzzo;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore all’udienza pubblica del 20 dicembre 2016 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, il solo avv. F. Va. (su delega di Ci.).

Ritenuto in fatto che:

– il sig. Al. Co. dichiara d’esser proprietario in (omissis) d’un terreno agricolo, sul quale in data 26 giugno 2003 fu autorizzato ad effettuare soltanto lavori di bonifica agraria;

– tuttavia il sig. Co., senza titolo alcuno, vi costruì pure un manufatto interrato in calcestruzzo, di non modeste dimensioni, aperto sul lato sud e collegato all’area circostante per mezzo di una rampa, al fine di ricoverarvi attrezzi e derrate agricole;

– il Comune di (omissis) ingiunse allora al sig. Co. la demolizione di tal manufatto, ma egli, il 3 giugno 2004, gli propose istanza di concessione edilizia in sanatoria;

– il Sindaco di (omissis), con nota prot. n. 3188 del 17 agosto 2005, respinse l’istanza stessa, posto che tal manufatto era collocato, per un verso, a meno di m. 60 dalla strada statale n. 12 e, per altro verso, in area soggetta a fenomeni d’esondazione e, dunque, si poneva in contrasto con le regole della carta di sintesi geologica allegata al Piano urbanistico provinciale – PUP, il quale entrò in vigore il 3 dicembre 2013;

Rilevato altresì che:

– il sig. Co. insorse allora contro tal provvedimento innanzi al T.r.g.a. di Trento, con il ricorso n. 289/2005 RG, deducendo tre articolati mezzi di gravame e, in particolare, l’applicabilità nel caso in esame dell’art. 32 della l. 28 febbraio 1985 n. 47;

– l’adito T.r.g.a., con sentenza n. 328 del 29 settembre 2006, respinse la pretesa attorea, in quanto nella specie la vicenda del sig. Co. era regolata non già dall’art. 32, bensì dal successivo art. 33 della l. 47/1985, stante:

a) la natura ictu oculi inderogabile del vincolo di rispetto della SS 12 (d’inedificabilità assoluta) che non implicava la necessità di chiedere pareri all’Autorità preposta al vincolo;

b) l’assenza di discrezionalità valutativa sulla questione;

c) la sussistenza di altro ed efficace motivo d’inedificabilità, preclusivo della sanatoria;

– appellò quindi il sig. Co., col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della gravata sentenza, perché: I) il vincolo di rispetto de quo non può esser inteso a guisa d’inedificabilità assoluta nemmeno quando sia incorporato nello strumento urbanistico; II) in ogni caso, la relativa tutela non spetta al Comune, sussistendo comunque la discrezionalità di quest’ultimo nel valutare l’effettiva lesione di tal manufatto all’interesse protetto; III) alla vicenda in esame non è applicabile ratione temporis la carta di sintesi geologica del PUP;

Considerato in diritto che:

– l’appello è manifestamente infondato, essendo ormai jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 5 luglio 2000 n. 3731; id., 28 luglio 2005 n. 4013; id., I, 27 maggio 2016 n. 282) che, ai fini della sanatoria di un abuso edilizio costituito da un fabbricato realizzato in parte nella fascia di rispetto di una strada statale, trova applicazione la normativa statale ex art. 33 della l. 47/985, in base al quale il divieto di costruzione entro la fascia di rispetto del nastro stradale è un vincolo che comporta la inedificabilità assoluta e, dunque, la non sanabilità dell’opera;

– detto vincolo, quindi, rientra nei casi di cui al citato art. 33, comma 1, lett. d), per i quali, a differenza di quelli di cui al precedente art. 32 (d’inedificabilità relativa), non v’è possibilità di rimozione a cura e discrezione dell’Autorità preposta alla cura dell’interesse tutelato;

– pertanto essi recano un divieto di edificabilità a carattere assoluto, sì da determinare sempre la non sanabilità dell’opera realizzata dopo la loro imposizione, perché sono incompatibili, per loro natura, con ogni manufatto;

– siffatta natura non si modifica sol perché il Comune abbia incorporato il vincolo nel suo PRGI, in quanto essa discende dalla legge e non è condizionata o conformata da una mera scelta urbanistica discrezionale, al più questa potendo servire, a fini di chiarezza nell’identificazione dell’Autorità competente, a legittimare in via diretta il Comune a reprimere gli abusi in violazione del vincolo d’inedificabilità assoluta;

– rettamente il T.r.g.a. ha escluso l’obbligo, per il Comune stesso, di richiedere il parere dell’ente gestore della strada (nella specie, la Provincia autonoma di Trento) in ordine alla (pretesa) materiale assenza di intralci o pregiudizi alla sicurezza del traffico o alla sicurezza delle persone, parere al più necessario solo per consentire la deroga alla distanza dalla strada e non anche il rispetto rigoroso del predetto vincolo;

– siffatta natura non implica alcun profilo di discrezionalità nella gestione del vincolo, posto che il bilanciamento degli interessi è stato assunto direttamente dalla norma sulle distanze minime inderogabili dal ciglio stradale, il cui scopo è non già d’imporre un vincolo gratuito in vista di future espropriazioni finalizzate all’allargamento della sede stradale, bensì di garantire la sicurezza della circolazione stradale, nei confronti di quanti transitino sulle strade stesse o passino nelle immediate vicinanze, o in queste abitino od operino;

– in tal caso, non serve discettare se il vincolo geologico sull’area d’intervento preesista, o meno, al manufatto abusivo, in quanto il richiamo alla carta di sintesi geologica allegata al PUP, pure in base al quale è stato emanato l’impugnato diniego di sanatoria, è stato motivo di rigetto autonomo e non condizionato da quello sulla violazione delle distanze minime (in ogni caso, in base alla consolidata giurisprudenza, cfr. Ad. plen. n. 20 del 1999, il vincolo sopravvenuto, rispetto alla realizzazione dell’abuso, inibisce il rilascio del condono straordinario);

– per vero, l’atto amministrativo, fondato su diversi ordini di motivi, è legittimo se almeno uno di essi sia immune dai vizi denunciati e sia già in sé idoneo a giustificarlo congruamente; sicché l’impugnata sentenza ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di assorbimento dei motivi elaborati dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015;

– in definitiva, l’appello è da rigettare e le spese di lite seguono, come di regola, tal soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in una con l’irrogazione dell’indennità ex art. 26, comma 1, c.p.a., della sussistono i presupposti applicativi come individuati dalla costante giurisprudenza (cfr. ex plurimis e da ultimo Cons. St. IV, n. 4599 del 2016; n. 2200 del 2016, cui si rinvia a mente dell’art. 74 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a.);

– inoltre, tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. e che gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso;

– la presente decisione rileva, infine, pure agli effetti di cui all’art. 2, c. 2-quinquies della l. 24 marzo 2001 n. 89, in quanto il presente gravame s’è rivelato manifestamente infondato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 10505/2006 RG in epigrafe), lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento, a favore della P.A. resistente e costituita:

a) delle spese di lite, le quali sono liquidate in € 2.000,00 (Euro duemila/00), oltre IVA ed accessori come per legge;

b) della ulteriore somma di € 1.000,00 (Euro mille/00), ex art. 26, comma 1, c.p.a.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 20 dicembre 2016, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Vito Poli – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore

Oberdan Forlenza – Consigliere

Giuseppe Castiglia –

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