Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 2 febbraio 2017, n. 445

E’ esclusa la necessità della partecipazione nei procedimenti di contrasto all’abusivismo edilizio e il relativo vizio non ha carattere invalidante; in ottica più generale, inoltre, il diritto vivente richiede che il privato, il quale lamenti il mancato coinvolgimento nell’azione amministrativa, indichi con sufficiente precisione quegli elementi, specie di fatto, che avrebbe potuto additare ai pubblici poteri ove fosse stato chiamato a partecipare: solo in tal modo, infatti, la censura de qua si rivela espressione di un’istanza di tutela sostanziale ed individuale e non una mera critica di una formale e generale disfunzione amministrativa

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 2 febbraio 2017, n. 445

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5552 del 2006, proposto da Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ca. Sa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);

contro

Fi. Sa., non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE II n. 03551/2006, resa tra le parti, concernente demolizione di opera abusiva e ripristino dello stato dei luoghi;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2017 il Cons. Luca Lamberti e udito per la parte costituita l’avvocato G. Ba.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

a) Con ricorso al TAR Campania la sig.ra Fi. Sa. impugnava ordinanza del Comune di (omissis) che le ingiungeva la demolizione di opere abusive, lamentando, in primis, la mancanza della comunicazione di avvio;

b) il Comune si costituiva ed eccepiva in rito l’inammissibilità del ricorso “perché non esteso anche all’ordine di sospensione dei lavori” previamente emanato, nel merito l’infondatezza delle censure tutte svolte ex adverso;

c) con sentenza n. 3551 del 12 aprile 2006 emessa in forma semplificata all’esito della Camera di consiglio fissata per la delibazione dell’istanza cautelare, il TAR Campania, seconda sezione, accoglieva il ricorso per violazione dell’art. 7 l. 241/1990, “con assorbimento degli ulteriori motivi di gravame” e compensazione delle spese di lite;

d) Il TAR preliminarmente respingeva l’eccezione di inammissibilità, osservando che l’ordine di sospensione dei lavori “ha natura cautelare e, pertanto, in quanto destinato ad essere assorbito nel provvedimento repressivo, non assurge ad autonomo presupposto giuridico idoneo a conformare e reggere la situazione lesiva posta a fondamento della spiegata azione impugnatoria”;

e) nel merito, rilevato che “alla stregua delle acquisizioni processuali non vi è prova che sia stato effettivamente partecipato alla parte ricorrente l’avviso di inizio del procedimento, ovvero un atto ad esso equipollente”, il TAR evidenziava la “dignità di principio generale dell’ordinamento” rivestita dalla partecipazione procedimentale, la cui “portata precettiva… è da intendersi estesa fino a ricomprendere i provvedimenti vincolati e basati su presupposti verificabili in modo immediato ed univoco”, ivi inclusi quelli costituenti “esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi”;

f) Il Tribunale di prime cure, di converso, escludeva l’applicabilità, nella specie, dell’art. 21-octies, comma 2, l. 241/1990, giacché l’Amministrazione non avrebbe dimostrato, nel corso del giudizio, che il “contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, in particolare con riferimento alle eccezioni in punto di diritto (afferenti al “regime giuridico cui restano soggette le opere in contestazione”) sollevate dalla ricorrente e “rimaste inesplorate” in sede procedimentale;

g) il Comune ha interposto appello, lamentando la violazione in prime cure dell’art. 21-octies, comma 2, l. 241/90, riveniente da plurime circostanze di fatto:

I) la ricorrente avrebbe edificato ex novo, senza alcuna autorizzazione, due muri di contenimento in cemento armato di notevoli dimensioni (mt. 26 circa di lunghezza), fra cui avrebbe ricavato un locale di circa mq 60 con solaio di copertura in travetti in cemento armato e blocchi di laterizio, “il tutto in zona dichiarata a rischio sismico da D.G.R. n. 5447 del 07.11.2002”;

II) siffatte opere, costituenti “interventi di nuova edificazione”, insisterebbero in zona E3 del PRG, ossia “zona agricola comprendente esclusivamente aree ricadenti in zona 1-b del PUT” dell’area sorrentino-amalfitana, approvato con l.r. 35/1987: a sua volta, la zona 1-b del PUT sarebbe stata dichiarata inedificabile dalle NTA del PRG, in conformità all’art. 17 del medesimo PUT, ai sensi del quale per le zone 1-b i PRG dei Comuni ricadenti nell’area debbono prevedere l’inedificabilità, sia pubblica sia privata;

III) la ricorrente avrebbe proseguito la costruzione delle opere de quibus pur dopo aver presentato, in proposito, istanza di condono;

h) il Comune, inoltre, ha riproposto la questione dell’assunta inammissibilità del ricorso per difetto della previa impugnazione dell’atto di sospensione dei lavori, nelle cui premesse, peraltro, ne sarebbe stata precisata l’equipollenza funzionale alla comunicazione di avvio del procedimento repressivo;

i) parte appellata, nonostante la regolarità della notificazione del ricorso, non si costituiva in giudizio;

i) accolta alla Camera di consiglio del 26 luglio 2006 la domanda cautelare avanzata dal Comune perché “non sussistono gli elementi per accogliere la tesi della ricorrente in primo grado”, il ricorso è stato, quindi, trattato alla pubblica udienza del 12 gennaio 2017, in vista della quale il Comune ha riepilogato le proprie difese con memoria scritta.

DIRITTO

Il ricorso merita accoglimento nei sensi che seguono.

Osserva, anzitutto, il Collegio che l’eccezione di inammissibilità formulata da parte appellante, già respinta in I grado, non è fondata.

Come correttamente evidenziato in prime cure, infatti, il provvedimento di sospensione, in quanto volto a mantenere la res adhuc integra nelle more dell’emanazione dell’ordinanza di demolizione, ha natura cautelare ed efficacia temporalmente circoscritta (cfr. C.d.S., IV, 22 giugno 2016 n. 2758): come tale, non rappresenta un antecedente procedimentale necessario del provvedimento di demolizione che il privato abbia l’onere di impugnare, né, per altro verso, è ex se idoneo a ledere in via definitiva l’interesse edificatorio.

Inoltre, non consta agli atti la prova del perfezionamento della notifica di tale atto, né l’Amministrazione ha dimostrato che la sig.ra Fi. ne abbia avuto aliunde conoscenza: anche ad accedere alla tesi propugnata dal Comune, dunque, difetta l’individuazione del dies a quo per l’esercizio dell’impugnativa giurisdizionale.

Quanto al merito, il Collegio, sulla scorta della natura vincolata dell’ordinanza di demolizione gravata, ritiene la superfluità della comunicazione di avvio.

Si premette che oramai consolidata giurisprudenza esclude la necessità della partecipazione nei procedimenti di contrasto all’abusivismo edilizio (ex multis C.d.S., IV, 26 agosto 2014, n. 4279), ovvero, sotto diversa angolazione prospettica, nega al vizio de quo carattere invalidante; in ottica più generale, inoltre, il diritto vivente richiede che il privato, il quale lamenti il mancato coinvolgimento nell’azione amministrativa, indichi con sufficiente precisione quegli elementi, specie di fatto, che avrebbe potuto additare ai pubblici poteri ove fosse stato chiamato a partecipare: solo in tal modo, infatti, la censura de qua si rivela espressione di un’istanza di tutela sostanziale ed individuale (recte “soggettiva”) e non una mera critica di una formale e generale (recte “oggettiva”) disfunzione amministrativa.

Nello specifico della vicenda per cui è causa, a tenore delle previsioni del locale PRG la zona ove insiste il fabbricato è soggetta a radicale vincolo inaedificandi; di converso, le opere in questione concretano con ogni evidenza un intervento di nuova edificazione, giacché non si limitano all’elevazione di muri di contenimento, peraltro di rilevanti dimensioni, ma si sostanziano nella realizzazione di volumi coperti.

Alla luce di ciò, il Comune non poteva che ordinare la demolizione dell’opus, non disponendo di uno spazio di discrezionalità sotto alcun rispetto (an, quid, quomodo, quando), ma versando, al contrario, nella condizione di dover solo riscontrare nella realtà materiale la ricorrenza dei presupposti (edificazione in area inedificabile) al cui positivo riscontro la legge riconnette l’esercizio di un potere normativamente in toto conformato.

La natura interamente vincolata del potere nella specie speso rende, pertanto, applicabile il richiamato art. 21-octies, comma 2, l. 241/1990: l’Amministrazione, mediante la produzione del verbale del sopralluogo nel corso del quale sono state rilevate le opere abusive e il preciso riferimento alle prescrizioni urbanistiche vigenti nell’area, ha assolto all’onere processuale delineato dalla disposizione in commento, dimostrando che il “contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Né, per vero, valgono in contrario senso le considerazioni formulate in primo grado dalla sig.ra Fi.: in disparte la, peraltro assorbente, considerazione circa la mancata riproposizione in appello delle medesime, con effetto di rinuncia ex lege (art. 101, comma 2, c.p.a.), non vi possono essere dubbi circa il “regime giuridico cui restano soggette le opere in contestazione”, inevitabilmente destinate alla demolizione in quanto la loro stessa esistenza è, a quanto consta, incompatibile con le vigenti prescrizioni urbanistiche.

Il regolamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in totale riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso.

Condanna Fi. Sa. al pagamento delle spese di lite dei due gradi di giudizio, liquidate in complessivi € 3.000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere, Estensore

Nicola D’Angelo –

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