Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 8 settembre 2014, n. 4532

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8514 del 2008, proposto da:

Gestione liquidatoria ex USL n. 12 della Conca Ternana, rappresentata e difesa dagli avv. An.Pi. e Pa.Be., con domicilio eletto presso l’avv. An.Pi. in Roma, via (…);

contro

Ch.Al., rappresentato e difeso dall’avv. Um.Se., con domicilio eletto presso l’avv. Um.Se. in Roma, via (…);

nei confronti di

ASL n. 4 di Terni, Regione Umbria;

sul ricorso numero di registro generale 8515 del 2008, proposto da:

Azienda Unità Sanitaria Locale n. 4 – già AUSL n. 5 -, rappresentata e difesa dagli avv. An.Pi. e Pa.Be., con domicilio eletto presso l’avv. An.Pi. in Roma, via (…);

contro

Ch.Al., rappresentato e difeso dall’avv. Um.Se., con domicilio eletto presso l’avv. Um.Se. in Roma, via (…);

nei confronti di

Gestione liquidatoria ex USL n. 12 della Conca Ternana, Regione Umbria;

entrambi per la riforma

della sentenza del T.A.R. Umbria – Perugia n. 00645/2007, resa tra le parti, concernente corresponsione differenze retributive per mansioni superiori

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Chiaranti Alessandro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 giugno 2014 il Cons. Angelica Dell’Utri e uditi per le parti gli avvocati Be. e Se.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso davanti al TAR per l’Umbria il dottor Al.Ch., aiuto corresponsabile del servizio geriatrico presso l’USL n. 12 della Conca Ternana, chiedeva l’annullamento della deliberazione 31 gennaio 1995 n. 196 del Commissario straordinario di quell’USL, con cui gli era opposto diniego, in mancanza di provvedimento formale di incarico e stante la portata ostativa dell’art. 14 della legge n. 207 del 1985, all’istanza 21 aprile 1994 di corresponsione delle differenze retributive in relazione alla funzione primariale di responsabile del servizio di appartenenza svolta, quale unico aiuto in forza al servizio, a seguito del collocamento a riposo del titolare (13 ottobre 1990), quindi su posto d’organico vacante, e fino alla nomina di un nuovo primario (21 aprile 1994); chiedeva inoltre l’accertamento del relativo diritto, a titolo di indennizzo per arricchimento senza causa.

Con sentenza 31 agosto 2007 n. 645, non notificata, il ricorso è stato accolto, con conseguente annullamento della deliberazione impugnata e declaratoria del diritto del ricorrente alla corresponsione delle differenze retributive, detratti i primi sessanta giorni ai sensi dell’art. 29, co. 2, del d.P.R. n. 761 del 1979.

Di qui l’appello n. 8514/08 della Gestione liquidatoria dell’ex USL n. 12 della Conca Ternana, notificato i giorni 17 e 21 ottobre 2008 e depositato il 3 novembre seguente, col quale si deduce quanto segue:

– come esposto nella deliberazione impugnata, il posto non poteva considerarsi disponibile per mancanza dell’autorizzazione regionale alla copertura, prescritta dall’art. 9, co. 1, della legge n. 207 del 1985;

– la generale applicabilità dei principi di cui agli artt. 36 Cost. e 2126 cod. civ. è stata enunciata dalla Corte costituzionale con sentenze interpretative non aventi efficacia vincolante, talché in giurisprudenza si afferma che il principio di corrispondenza tra retribuzione e qualità e quantità del lavoro non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, ivi concorrendo gli altri principi di pari rilevanza costituzionale di cui agli artt. 97 e 98 Cost.;

– vero è che la giurisprudenza è consolidata nel ritenere retribuibili le mansioni primariali da parte di dirigente di primo livello, ma alla condizione che si tratti di posto disponibile, oltre che vacante; ed il difetto di autorizzazione regionale alla copertura del posto opera come una sorta di congelamento del posto, il quale non può considerarsi coperto neppure in via di fatto;

– infatti l’art. 121, co. 2, del d.P.R. n. 384 del 1990 dà rilievo alle mansioni superiori sempreché siano attivate le procedure di copertura, circostanza insussistente nella specie;

– la materia dell’obbligo della sostituzione del primario non è più regolata dall’art. 7 del d.P.R. n. 128 del 1969, richiamato dal TAR, ma dal cit. art. 121 del d.P.R. n. 384 del 1990, il quale, come detto, impone la condizione che siano avviate le procedure di copertura del posto, e ciò non può avvenire senza autorizzazione regionale;

– va privilegiata la tesi secondo cui ai fini della rilevanza delle mansioni superiori di un sanitario occorre non solo che il posto sia vacante e disponibile, ma pure una preventiva e puntuale disposizione impartita in tal senso dagli organi competenti dell’amministrazione di appartenenza, nella specie mancante;

– di tanto era consapevole lo stesso ricorrente, che infatti ha chiesto non la differenza retributiva, bensì l’indennizzo per indebito arricchimento;

– il TAR è incorso in ultrapetizione poiché, mediante una non consentita interpretazione della domanda, ha ricondotto la medesima nell’ambito delle mansioni superiori svolte di fatto, peraltro richiamando un precedente giurisdizionale che si riferisce al diverso caso dell’errata indicazione della norma a fondamento della domanda;

– il diritto al corrispettivo per mansioni superiori non può fondarsi sull’ingiustificato arricchimento della p.a., stante la mancanza di alcuna effettiva diminuzione patrimoniale del dipendente.

Con memoria del 26 maggio 2014 la Gestione liquidatoria ha insistito nelle proprie tesi e richieste.

Il dott. Chiaranti, già costituito in giudizio in data 2 febbraio 2010, con memoria del 23 maggio 2014 ha svolto controdeduzioni, in particolare in ordine all’affermazione della mancanza di autorizzazione regionale e dell’indizione di apposita procedura per la copertura del posto vacante, di cui invece si dà atto nell’allegato alla deliberazione impugnata (delib. G.R. 4 dicembre 1990 n. 9786 e delib. USL 27 dicembre 1991 n. 1341); procedura, come altre, solo successivamente sospesa dalla Regione e non revocata.

La Gestione liquidatoria ha replicato con memoria del 5 giugno 2014.

Con l’appello n. 8515 del 2008 anche l’AUSL n. 4 (subentrata all’ASL n. 5) ha gravato la stessa sentenza svolgendo motivi del tutto analoghi, nonché lamentando l’erroneità della pronunzia anche laddove condanna l’ASL n. 5 anziché, ai sensi dell’art. 6 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, la gestione liquidatoria dell’ex USL n. 12 cui il ricorso era anche notificato.

Anche in tale giudizio l’appellato si è costituito in giudizio ha prodotto memoria in data 23 maggio 2014, mentre l’appellante ha prodotto memoria e repliche in date 26 maggio e, rispettivamente, 5 giugno 2014.

DIRITTO

1.- In via preliminare, ai sensi dell’art. 96, co. 1, cod. proc. amm. gli appelli sopra riassunti devono essere riuniti, poiché rivolti avverso la stessa sentenza.

2.- Com’è esposto in narrativa, si controverte della retribuibilità delle mansioni superiori apicali del servizio di geriatria svolte dal 13 settembre 1990 per l’assenza del titolare, poi collocato a riposo dal 14 ottobre 1990, negata al dott. Al.Ch., unico aiuto in forza al detto servizio, con deliberazione 31 gennaio 1995 n. 196 del Commissario straordinario dell’USL della Conca Ternana.

Il diniego è stato pronunciato in conformità alla relazione del servizio stato giuridico, la quale si basa sulle seguenti argomentazioni:

a) per il periodo dal 14 novembre al 20 dicembre 1990 (entrata in vigore del d.P.R. 28 novembre 1990 n. 384), gli artt. 9 e 14 della legge 20 maggio 1985 n. 207, nell’integrare l’art. 29 del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 mediante il divieto di conferimento di qualsiasi incarico in deroga alla disciplina di legge e la dichiarata nullità degli atti adottati in violazione delle norme procedimentali e dei limiti temporali ivi previsti (atti, quindi, privi di ogni effetto giuridico), avrebbero escluso che l’esercizio di fatto di mansioni superiori nel comparto sanità comporti il diritto del dipendente ad una retribuzione superiore;

b) per il periodo successivo e fino 10 febbraio 1994 (data di assunzione della deliberazione n. 856 della Giunta regionale), assenza dei presupposti prescritti dall’art. 121 del cit. d.P.R. n. 384 del 1990, ossia:

b.1) un provvedimento formale di incarico emanato dall’organo competente;

b.2) il requisito dell’indizione della procedura concorsuale per la copertura del posto, il quale non sarebbe “pienamente soddisfatto dalla situazione in atto” poiché il concorso, già indetto con deliberazione 27 dicembre 1991 n. 1342 autorizzata con deliberazione 4 dicembre 1990 n. 9786 della Giunta regionale, tuttavia “risulta sospeso per effetto delle citate deliberazioni regionali n. 7047 del 16.9.92 e n. 7925 del 14.10.92 da quasi due anni, ed è pertanto oggettiva l’eventualità che la procedura possa non essere autorizzata”;

b.3) in ogni caso, il periodo riconoscibile non può superare i “sei mesi oltre i sessanta giorni dall’inizio dell’anno solare delle mansioni superiori”, essendo precluso il rinnovo e comportando la relativa inosservanza la nullità dei rispettivi atti e la responsabilità personale e diretta degli organi che li dispongano;

c) per il periodo successivo, la deliberazione 10 febbraio 1994 n. 856 della Giunta regionale, vincolante per l’USL, precluderebbe del tutto qualsiasi attribuzione di funzioni apicali ed i corrispondenti emolumenti, disponendo che nelle more dell’autorizzazione alla copertura dei posti resisi vacanti le uu.ss.l.l. devono attribuire dette funzioni ad altri apicali della stessa disciplina in servizio presso la stessa u.s.l. o in altre limitrofe.

3.- Ciò posto, in linea giuridica va osservato che ai fini della retribuibilità, ex artt. 3, 36 e 97 Cost. e 2126 cod. civ., delle mansioni superiori e nei soli confronti dell’aiuto svolgente funzioni primariali oltre i sessanta giorni nell’anno solare, ai sensi dell’art. 29 del cit. d.P.R. n. 761 del 1979 è del tutto irrilevante il difetto di un formale atto di incarico. L’ormai consolidata giurisprudenza amministrativa ha infatti affermato che la funzione primariale è indefettibile e l’obbligo di sostituzione, in capo all’aiuto anziano, deriva direttamente dall’art. 7, co. 5, del d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 (cfr., tra le tante, Cons. St., sez. III, 11 ottobre 2013 n. 4985 e 31 marzo 2012 n. 1918, nonché sez. V, 13 luglio 2010 n. 4521 e 19 gennaio 2005 n. 89).

Agli stessi fini, poi, è stato da tempo chiarito che la normativa di cui agli artt. 9, co. 15 ss., e 14, co. 7 e 8, della legge n. 207 del 1985 non modifica la soluzione di cui innanzi, anzi conferma, pur nel quadro di una diversa disciplina, il divieto già introdotto dal cit. art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979. Tuttavia da ciò consegue l’illegittimità degli atti di incarico in questione, non la nullità.

L’illiceità che, ai sensi dell’art. 2126, co. 1, cod. civ., priva il lavoro prestato della tutela collegata al relativo rapporto (in seguito a nullità o annullamento del contratto di lavoro), non può infatti ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalità, bensì solo nel contrasto con norme fondamentali e generali o con principi basilari dell’ordinamento (cfr. Corte cost., 19 giugno 1990 n. 296).

Pertanto, è illegittimo non già il comportamento del dipendente ma quello dell’amministrazione “che dopo essersi giovata della facoltà concessale dalla norma in esame (esercizio delle funzioni superiori senza retribuzione) mantiene l’assegnazione, o tollera l’esercizio delle mansioni, oltre il termine ivi previsto. Questa illegittimità non si risolve in nullità assoluta, con il conseguente travolgimento di tutti gli effetti derivanti dall’atto o comportamento amministrativo” (cfr. Cons. St., Ad. plen. 16 maggio 1991 n. 2 e sez. V, 15 novembre 1999 n. 1904).

Per le stesse ragioni non osta alla configurabilità dell’obbligo della retribuzione delle mansioni svolte dall’aiuto ospedaliero sul posto vacante e disponibile di primario, con conseguente stabile esplicazione di una mansione superiore a quella della posizione rivestita ed ancorché manchi un atto formale di incarico, il limite dei sei mesi di cui all’art. 121, co. 7, del d.P.R. n. 384 del 1990 n. 384. Anche riguardo a quest’ultima previsione normativa, che si limita a vietare il rinnovo dell’attribuzione alla scadenza del periodo massimo di sei mesi rinviando per l’inosservanza al cit. art. 14, co. 7 e 8, della legge n. 207 del 1985, è stato ritenuto che essa non precluda il riconoscimento della spettanza delle differenze retributive quando l’amministrazione, contravvenendo a tale divieto, rinnovi l’incarico o permetta la prosecuzione dell’espletamento delle mansioni superiori anche oltre il tempo massimo previsto (cfr. la cit. Cons. St., sez. III, n. 4985 del 2013, nonché sez. V, 14 aprile 2009 n. 2292, 20 maggio 2010 n. 3192 e 29 marzo 2010 n. 1787, ivi richiamate; cfr., ancora, sez. III, 24 settembre 2013 n. 4686 e 21 settembre 2013 n. 4518, menzionate dall’appellato).

Giova, infine, sottolineare che lo stesso art. 121 del d.P.R. n. 384 del 1990 conferma la permanente vigenza dell’obbligo di sostituzione del primario da parte dell’aiuto più titolato di cui al cit. art. 7, co. 5, del d.P.R. n. 128 del 1969; quest’ultima disposizione è annoverata, tra le altre, al co. 3 per qualificare come ordinari i compiti di sostituzione del dipendente di posizione immediatamente superiore assente, non configuranti mansioni superiori; ciò, peraltro, come precisa il comma successivo, con l’eccezione del caso in cui “la sostituzione del superiore assente, pur rientrando negli ordinari compiti, sia imputabile a vacanza del posto”.

4.- Alla stregua delle considerazioni svolte al precedente paragrafo, devono ritenersi infondate le tesi da cui muove il diniego predetto di cui ai punti a), b.1) e b.3) descritte al paragrafo 2).

Quanto all’argomentazione secondo cui il posto di cui trattasi non potrebbe definirsi disponibile (punto b.2), si osserva che il ripetuto art. 121 richiede l’attivazione delle procedure concorsuali (co. 2). Attività, questa, compiuta dall’USL della Conca Ternana, che difatti, come da essa stessa precisato, ha indetto il concorso per la copertura del posto apicale del servizio geriatrico previa autorizzazione regionale, oltretutto così dimostrando l’ineludibile necessità di tale figura. Che poi, per le note ragioni la Regione Umbria abbia sospeso la procedura concorsuale, non significa che la procedura stessa non fosse stata regolarmente avviata, concretandosi in tal modo il presupposto in parola, il quale richiede appunto l’avvio delle procedure di copertura del posto e non, ovviamente, la loro conclusione.

Né può essere condiviso l’assunto (punto c) secondo cui inciderebbe sulla rilevanza economica delle mansioni superiori in parola l’intervento della richiamata deliberazione n. 856/1994 della Giunta regionale, riguardo al quale non può che ribadirsi come possa essere se mai illegittimo il mantenimento del dott. Chiaranti in quelle funzioni e non la prosecuzione di tali funzioni da parte del medesimo.

5. Conclusivamente, non v’è dubbio che, come accertato dal primo giudice, al dott. Chiaranti competa il compenso differenziale di cui si è discusso, eccetto che per i primi sessanta giorni in ciascun anno solare, per i quali la sostituzione rientra nei normali obblighi di servizio anche ai sensi dell’art. 121, co. 6, del d.P.R. n. 384 del 1990.

6.- Né il TAR è incorso in ultrapetizione, laddove ha pronunciato la declaratoria del diritto al detto compenso sulla scorta della normativa sopra indicata, in presenza della domanda di accertamento del medesimo diritto a titolo di arricchimento senza causa correlato all’utilizzazione sostanziale del ricorrente nelle funzioni primariali.

Invero, l’annullamento dell’atto impugnato ne comporta la rinnovazione conformata all’accertamento giurisdizionale della compresenza di tutti i presupposti per la corresponsione dell’emolumento, per cui non si ravvisa l’interesse delle parti appellanti alla contestazione appena detta.

Ma ciò in disparte, si osserva che il TAR, interpretando la formulazione letterale della domanda avanzata in ricorso in base alle allegazioni di fatto e di diritto ivi esposte, ha correttamente applicato il principio, peraltro recentemente ribadito con la sentenza 19 aprile 2013 n. 7 dell’Adunanza plenaria (condiviso dalla Sezione che, pertanto, non ravvisa elementi per una nuova rimessione sul punto), secondo il quale un’errata deduzione della causa petendi non preclude la corretta qualificazione della domanda, atteso che nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda stessa “il giudice non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio”.

Nella specie, essendo stato impugnato un atto c.d. paritetico, la posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio è – non già di interesse legittimo, bensì – di diritto soggettivo perfetto, il cui contenuto sostanziale è la corresponsione delle differenze retributive.

7.- Infine, è infondata la doglianza dell’appellante AUSL n. 4, nel frattempo subentrata all’AUSL n. 5 (costituita nel giudizio di primo grado), di erroneità della condanna al pagamento delle somme in favore del ricorrente (oltre che delle spese) pronunciata a carico di quest’ultima anziché della gestione liquidatoria della soppressa USL (pure evocata in giudizio).

La sentenza appellata non indica espressamente nel dispositivo, né in motivazione, il soggetto tenuto a soddisfare il diritto accertato, anzi la relativa declaratoria segue e si collega alla pronuncia annullatoria, necessariamente riferita all’atto impugnato emesso dal Commissario straordinario dell’USL della Conca Ternana, come precisato in epigrafe.

La condanna dell’Azienda, dunque, deve intendersi limitata alle spese. E la stessa Azienda ha resistito risultando soccombente, sicché il contestato regolamento delle spese di lite in applicazione del principio della soccombenza è corretto a norma dell’art. 91, co. 1, cod. proc. civ.; d’altra parte, alcun interesse residua in capo all’AUSL appellante ad una pronuncia sulle spese anche nei riguardi della gestione liquidatoria.

8.- In definitiva, gli appelli devono essere respinti.

Tuttavia, stante il consolidarsi solo in tempi recenti della maggior parte degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, si ravvisano ragioni affinché possa essere disposta la compensazione tra le parti delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, riunisce i medesimi appelli e li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo – Presidente

Angelica Dell’Utri – Consigliere, Estensore

Hadrian Simonetti – Consigliere

Dante D’Alessio – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Depositata in Segreteria l’8 settembre 2014.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *