Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 5 dicembre 2014, n. 6034

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4699 del 2014, proposto da:

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);

contro

Gi.Sc., rappresentata e difesa dall’Avv. El.La., con domicilio eletto presso l’Avv. An.Fi. in Roma via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE V n. 01219/2014, resa tra le parti, concernente la revoca della licenza per la gestione dell’istituto di vigilanza privata

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio di Gi.Sc.;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2014 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti l’Avv. La. e l’Avvocato dello Stato Ba.;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La sig.ra Gi.Sc., quale legale rappresentante della Gl. s.r.l., ha impugnato avanti al T.A.R. Campania il decreto prot. n. 22595/16/Area 1 Bis, emesso l’8.3.2013, con il quale il Prefetto di Caserta ha revocato la licenza all’odierna appellata, mediante la quale essa svolgeva attività di vigilanza e di trasporto valori nella Provincia di Caserta.

2. Il provvedimento impugnato si fondava sulle seguenti motivazioni:

a) la mancanza, in capo alla titolare della licenza, del requisito professionale del diploma di istruzione secondaria superiore, richiesto dall’all. B del D.M. 269/2010, in quanto il diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio, di cui la titolare era in possesso, era un titolo di istruzione secondaria superiore, ma non era equiparabile ad un diploma di istruzione secondaria superiore;

b) la sottoposizione della sig.ra Gi.Sc. a procedimento penale per i reati di appropriazione indebita aggravata per la sottrazione di Euro 928.286,00, per finalità estranee all’esercizio dell’impresa; di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti per avere indicato nelle dichiarazioni dei redditi ed IVA negli anni dal 2007 al 2009 costi fittizi per circa Euro 1.600.000,00 complessivi, quanto alle imposte dirette, e pari ad Euro 315.000,00 complessivi, quanto all’IVA; false comunicazioni sciale con riferimento al contenuto dei bilanci dal 2007 al 2009, con conseguente venir meno del requisito della affidabilità e della buona condotta, previsti dall’art. 11, comma 2, T.U.L.P.S;

c) l’assenza del requisito relativo alla capacità economico-finanziaria, per essere la sig.ra Gi.Sc. destinataria di ruoli, per debiti erariali, il cui importo complessivo è pari ad Euro 1.745.406,83;

d) il mancato aumento del capitale sociale, nel termine del 16.9.2012, a quello previsto dagli allegati A e F del D.M. 269/2010.

3. La ricorrente, lamentando l’illegittimità del provvedimento prefettizio impugnato per tutti tali profili e dello stesso D.M. 269/2010 nella sua portata retroattiva, ne ha chiesto l’annullamento.

4. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, resistendo all’avversario ricorso.

5. Con sentenza n. 1219 del 27.2.2014 il T.A.R. Campania ha accolto il ricorso, annullando l’atto impugnato.

6. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Ministero dell’Interno, articolando tre motivi di gravame, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma.

7. Si è costituita l’appellata, sig.ra Gi.Sc., chiedendo la reiezione dell’avversaria impugnazione.

8. Nella camera di consiglio del 3.7.2014, fissata per l’esame dell’istanza di sospensione, la causa è stata rinviata, per la trattazione del merito, all’udienza pubblica del 23.10.2014.

9. Nella pubblica udienza del 23.10.2014 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

10. L’appello del Ministero è fondato e deve essere accolto.

11. Preliminarmente deve rilevarsi che la documentazione depositata dalla difesa erariale il 26.7.2014, in quanto relativa a circostanze successive alla proposizione dell’appello, è ammissibile e rilevante ai fini del thema decidendum, comprovando che la sig.ra Gi.Sc., allo stato degli atti, è tornata ad essere amministratrice della Gl. s.r.l. ed è quindi rimasta vera domina della società.

12. Occorre esaminare, ciò premesso, il primo motivo di appello, con il quale il Ministero appellante lamenta che l’odierna appellata sarebbe sfornita di titolo di studio valido per esercitare la licenza.

12.1. L’all. B del D.M. 269/2010 prescrive, al riguardo, che il titolare della licenza debba essere in possesso del diploma di scuola media superiore, mentre nella specie l’odierna appellata sarebbe in possesso di un diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio.

12.2. Secondo l’Amministrazione appellante si tratterebbe, dunque, di stabilire se tale titolo di studio debba essere ritenuto come appartenente al genus dei diplomi di scuola media superiore.

13. Il T.A.R. campano, dopo un lungo excursus di carattere sistematico sulla natura del provvedimento prefettizio di autorizzazione allo svolgimento delle imprese di vigilanza e di investigazione, è pervenuto nel caso di specie alla conclusione, ritenuta decisiva con assorbimento degli ulteriori profili di doglianza, che esso sia viziato nella misura “in cui è contestata la mancanza del diploma di istruzione secondaria – in quanto in possesso del diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole del grado preparatorio – sull’erroneo presupposto che fosse in discussione l’ammissione a concorsi o l’iscrizione a corsi universitari, laddove invece nella fattispecie il diploma di istruzione secondaria non contempla alcuna specifica preparazione scolastica” (p. 13 della sentenza impugnata).

14. Si tratta di motivazione errata, che merita riforma.

14.1. Occorre qui anzitutto ricordare l’orientamento di questo Consiglio, sez. IV, 6.6.2011, n. 3383, e sez. V, 26.7.2005, n. 3992, secondo cui “la pregressa e prevalente giurisprudenza ha esaminato il possesso del titolo della ricorrente ai fini per l’accesso alle carriere di concetto, affermando che “il titolo rilasciato dalle scuole magistrali al fine dell’insegnamento nel corso preparatorio delle scuole elementari (Art. 24, T.U. 22 gennaio 1925, n. 432), che, nel cessato ordinamento, era considerato di per sé abilitante per la specifica professionalità e, conseguito al termine di un corso di studio triennale, non era equiparabile al diploma magistrale, costituente il diploma di maturità da conseguirsi al termine del corso magistrale ordinario (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 642/2010)”; ed ancora la giurisprudenza riconosce il diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio “come titolo rilasciato da una scuola secondaria di secondo grado (tale essendo qualsiasi scuola, cui si acceda dopo un corso di studi medi inferiori, o scuola secondaria di primo grado), ma non ritiene detto diploma equipollente al diploma di abilitazione (o maturità), rilasciato a chiusura dei corsi di scuola secondaria di secondo grado di durata quinquennale, questi ultimi soltanto validi per l’accesso ai corsi di laurea universitari ed alle carriere di concetto presso una pubblica amministrazione (cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 28.1.1993, n. 178, 6.5.1997, n. 469 e 1.10.1999, n. 1232; sez. VI, 9.6.1993, n. 421 e 18.11.1985, n. 600)”.

14.2. Il titolo di studio posseduto dalla sig.ra Gi.Sc., dunque, non è in alcun modo assimilabile al diploma di scuola media superiore e non rileva in senso contrario, come ha ritenuto invece il primo giudice, che qui non si tratti di accedere a corsi di laurea universitari o a carriere di concetto presso la pubblica amministrazione, poiché il valore giuridico di un titolo di studio deve essere unitario e identico nell’ambito dell’intero ordinamento, salve specifiche previsioni di legge, indipendentemente dall’uso che poi il titolare intenda farne nel suo cursus studiorum o nella sua progressione lavorativa.

14.3. Di qui l’assenza, in capo alla sig.ra Gi.Sc., del necessario titolo di studio, previsto dal D.M. 269/2010, all. B, non essendo la stessa in possesso di un valido “diploma di scuola media superiore”.

14.4. Né può essere condivisa la tesi dell’appellata (pp. 21-22), secondo cui il D.M. 269/2010 si applicherebbe solo alle licenze rilasciate dopo la sua entrata in vigore, ammettendosi diversamente una non consentita applicazione retroattiva dello stesso.

14.5. Il D.M. 269/2010 prevede infatti, all’art. 8, che gli istituti autorizzati alla data di entrata in vigore dello stesso – 16.3.2011 – debbano, entro diciotto mesi da tale data, adeguare le caratteristiche e i requisiti organizzativi, professionali e di qualità dei servizi alle disposizioni del decreto stesso e dei relativi allegati, consentendo dunque anche a questi, entro un termine ragionevole di diciotto mesi (o di trentasei mesi per le ipotesi di cui al comma 2), di adeguarsi ai nuovi requisiti previsti, senza prevedere una decadenza automatica dei soggetti che, ottenuta la licenza precedentemente, non abbiano alla sua entrata in vigore i nuovi requisiti.

14.6. La previsione di tale termine, certamente perentorio – a differenza di quanto ha sostenuto l’appellata – pena l’inefficacia dell’art. 8, appare del tutto ragionevole e non contrastante con il generale principio di irretroattività degli atti normativi.

14.7. E del resto il provvedimento prefettizio ha correttamente ricordato che l’allegato B del decreto, che ha previsto specifici e tassativi requisiti, ha fatto salvi unicamente coloro che risultassero titolari di licenza da almeno cinque anni alla data di entrata in vigore del decreto, mentre la sig.ra Sc. aveva ottenuto la licenza il 6.9.2010.

14.8. Va qui peraltro solo soggiunto che la sentenza n. 2703/2013 del T.A.R. Lazio, menzionata dall’appellata nella memoria depositata il 22.9.2014, non ha inciso sul profilo del titolo di studio qui esaminato, poiché il Collegio giudicante, nel § 7.2. della citata sentenza, non ha fatto altro che “prendere atto anche di quanto rappresentato (con memoria del 9.10.2012) dalla difesa erariale in ordine all’All. B, la quale ha affermato che il corso di livello universitario in materia di sicurezza privata deve intendersi previsto solo per gli operatori che richiedono il rilascio della prima autorizzazione e, quindi, nessuno dei ricorrenti è soggetto a tale obbligo, essendo già titolari di licenza” e, “alla luce di tale interpretazione fornita dall’Amministrazione mediante la difesa erariale”, ha dichiarato la censura delle ricorrenti in quella sede inammissibile per carenza di interesse.

15. Restano qui assorbite, in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo, le ulteriori doglianze mosse dal Ministero (pp. 5-8 del ricorso) alla sentenza impugnata poiché, per costante giurisprudenza, è sufficiente che anche una sola delle plurime ragioni addotte a supporto di un determinato provvedimento amministrativo, come nel caso di specie, resista al vaglio giurisdizionale perché il provvedimento medesimo, nel suo complesso, resti indenne dalle censure di illegittimità articolate (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 28.7.2014, n. 3973).

16. Valga solo qui aggiungere comunque, per completezza motivazionale, che la sentenza impugnata non può essere condivisa, perché erronea, anche nella parte in cui ha ritenuto illegittima la valutazione di pericolosità, effettuata dall’Amministrazione, sulla base di un unico fatto isolato, mentre in realtà il provvedimento prefettizio ha correttamente desunto da una serie di plurime condotte, tutte risultanti dalla denuncia del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, un non irragionevole giudizio circa l’assenza della buona condotta, prevista dall’art. 11 del T.U.L.P.S., osservando in modo puntuale “che il requisito della buona condotta debba essere valutato con particolare rigore, anche e soprattutto avuto riguardo a reati contro il patrimoni, relativamente al legale rappresentante di un istituto di vigilanza, attesi i rilevanti e delicati profili dell’attività espletata da quest’ultimo e la necessità di tutelare l’affidamento dei soggetti che si rivolgono a tale tipo di istituti per la salvaguardia dei propri beni”.

16.1. Anche tale motivazione, in sé corretta e puntuale, è sufficiente a giustificare la legittimità del provvedimento prefettizio, pur indipendentemente dalla questione relativa al titolo di studio.

17. L’appello proposto dal Ministero dell’Interno va quindi accolto e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso proposto in primo grado dalla sig.ra Gi.Sc. deve essere respinto.

18. La complessità della questione qui esaminata costituisce ragione sufficiente a giustificare la totale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto dal Ministero dell’Interno, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso proposto in primo grado da Gi.Sc..

Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente

Vittorio Stelo – Consigliere

Angelica Dell’Utri – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 5 dicembre 2014.

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