Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 30 ottobre 2015, n. 4987

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9576 del 2011, proposto dal Prof. Al.PA., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Al.Ma. ed altri, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via (…);

contro

Azienda U.S.L. di Perugia, in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Li.Ca., unitamente al quale elegge domicilio presso lo studio dell’Avv. Lu.Me., in Roma, Via (…);

Università degli Studi di Perugia in persona del Rettore p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede in Roma, Via (…), è ex lege domiciliato;

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza n.220/2011, del 22.6.2011, pubblicata il 14.7.2011, resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, Sez. I^.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda U.S.L. di Perugia e dell’Avvocatura Generale dello Stato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 giugno 2015 il Cons. Carlo Modica de Mohac e uditi per le parti l’Avv. Go.Go. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I. Con l’ampio ricorso introduttivo del presente giudizio d’appello – obiettivamente poco conforme al principio di sinteticità di cui all’art.3, comma 2, del codice del processo amministrativo, occupando circa sessanta pagine (cui si sono aggiunte quelle dedicate alle ulteriori memorie difensive) – il Prof. Al.Pa. (già ricorrente in primo grado innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria), esponeva (fra l’altro):

– di essere Professore Ordinario di prima fascia dal 2002 ed attualmente titolare dell’insegnamento di “Anestesiologia” presso l’Università degli Studi di Perugia (nel Corso di laurea in Medicina e Chirurgia);

– di avere al suo attivo un “prestigioso curriculum accademico ed assistenziale” ed “una importante produzione scientifica (con pubblicazioni nelle principali riviste scientifiche di settore)”;

– di essere stato “chiamato in ruolo” con decreto rettorale del 14.11.2004 dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Perugia;

– di aver avuto assegnate dall’Università le “funzioni assistenziali” (inscindibili da quelle didattiche), presso la Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliera di Perugia;

– che l’Università aveva chiesto al Direttore Generale dell’Azienda di convenzionarlo e di inserirlo “nell’organico assistenziale” della predetta Struttura Complessa utilizzando, all’uopo, un esistente posto libero (rectius: vacante);

– che non ostante i numerosi solleciti dell’Ateneo, il predetto “convenzionamento” veniva perfezionato solamente nel 2008 (ed all’esito di un giudizio innanzi al TAR ed al Consiglio di Stato);

– che con deliberazione n.642 del 30.4.2008 il Direttore Generale dell’Azienda disponeva finalmente il suo inserimento nell’organico convenzionato dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, presso la “Struttura Complessa Anestesia e Rianimazione 2” nell’ambito del “Dipartimento Emergenza-Accettazione”;

– che nel frattempo aveva assunto la titolarità della Cattedra di Anestesiologia (Canale B) presso il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia;

– che in sede di convenzionamento gli veniva affidata la “responsabilità di programma” per la parte e sul tema riguardante “la polmonite associata alla ventilazione meccanica; ruolo delle colture di sorveglianza in un reparto di terapia intensiva. Confronto retrospettivo e prospettico”, da svolgere – a suo avviso – presso la “Struttura Complessa Anestesia e Rianimazione 2” dell’Azienda medesima;

– che subito dopo il convenzionamento, aveva chiesto (con nota del 2.5.2008) al Direttore della ‘Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione’ l’assegnazione di alcuni turni di sala operatoria ed il concreto suo inserimento nelle attività della Terapia Intensiva (Reparto presso il quale il programma di convenzionamento prevedeva il suo inserimento);

– che, però, a tale richiesta il Direttore Sanitario Responsabile della Struttura complessa di Anestesia e Rianimazione non aveva dato alcun seguito;

– che pertanto, pur se ‘convenzionato’, rimaneva permanentemente escluso da ogni attività assistenziale; che gli veniva anche negato l’accesso al Servizio assistenziale della Terapia Intensiva; non gli venivano assegnati compiti di sala operatoria, né spazi, strumenti, mezzi e personale; o casi clinici che gli consentissero di attuare il programma approvato, o di essere inserito in alcuna attività assistenziale della Struttura di Anestesia;

– che con nota del 30.4.2009 (al rientro da una missione all’estero), ribadiva al Direttore dell’Azienda di non essere stato posto nelle condizioni di attuare il suo incarico di programma (deliberato in sede di convenzionamento);

– che anche il Rettore sollecitava il Direttore Generale dell’Azienda a far mutare tale situazione di fatto;

– che, infine, il Direttore della Struttura Complessa, interpellato dal Direttore Generale dell’Azienda, faceva presente che con la delibera n.457 dell’8.4.2009 l’Azienda aveva approvato un organigramma della struttura che non contemplava l’incarico conferitogli in sede di convenzionamento, tra gli incarichi dirigenziali afferenti alla Struttura Complessa Anestesia e Rianimazione;

– che a seguito della sua vibrata protesta, con deliberazione n.861 del 24.6.2009 l’Azienda inseriva il suo incarico fra quelli afferenti alla Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione;

– che però né nel 2008 né nel 2009 il suo incarico veniva effettivamente attivato in seno alla predetta Struttura, sicchè si vedeva costretto a notificare all’Amministrazione una formale diffida affinchè fosse data esecuzione alla convenzione da lui sottoscritta;

– che con nota del 2.4.2010 il Direttore Sanitario gli comunicava che il Prof. Pe. (Responsabile della Struttura Complessa) non avrebbe apposto ostacoli allo svolgimento del suo incarico assistenziale; ma contestualmente gli chiedeva di trasmettere entro sette giorni una “dettagliata relazione in ordine all’attività espletata finora per l’attuazione del programma”, ciò che a suo avviso costituiva una evidente provocazione;

– che da questo momento in poi iniziava una lunga schermaglia con l’Amministrazione e con il Prof. Pe. (Direttore e Responsabile della Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione), il quale – in buona sostanza – si opponeva al suo inserimento nella Struttura, temendo che sorgessero “conflitti di competenza”;

– che il Prof. Pe., nella sua qualità di Direttore e Responsabile della Struttura complessa, ha continuato ad impedirgli di essere attivamente inserito in essa;

– che, alla fine – ed al presumibile scopo di porre fine alla contesa in atto – con ordine di servizio n.15411 del 4.8.2010 il Direttore Generale gli assegnava (senza previa intesa con il Rettore) un incarico di coordinamento (nella specie: incarico di coordinamento della c.d. “Recovery Room”) da svolgere in una Struttura semplice operante presso il “Blocco operatorio Trancanelli”, diretta da un medico ospedaliero e non da un universitario;

– che con una ulteriore vibrata nota di protesta si opponeva a tale decisione;

– che dopo ulteriori episodi dai quali è emerso che le posizioni conflittuali si andavano cristallizzando (vedi nota prot. 9038 dell’11.5.2010 trasmessa dal Direttore Sanitario al Direttore della Struttura complessa), con nota del 9.8.2010 manifestava il suo rifiuto di prestare le funzioni attribuitegli con il predetto ordine di servizio;

– che in seguito a tali episodi l’Azienda gli ha comunicato (nota del 23.12.2010) di aver avviato un procedimento di valutazione circa un suo asserito inadempimento agli obblighi nascenti dalla convenzione;

– e che successivamente l’Amministrazione ha adottato:

a) la delibera n.145 del 16.2.2011 con la quale il Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera di Perugia lo ha sospeso dal rapporto convenzionale e dall’attività assistenziale presso la predetta Azienda Ospedaliera;

b) nonché la nota provvedimentale n.2011/0000503 del 7.1.2011 con la quale il Rettore dell’Università degli Studi di Perugia ha comunicato che l’Ateneo avrebbe sospeso il pagamento delle competenze fino ad allora riconosciutegli “sulla base dell’equiparazione a direttore di struttura complessa” e che avrebbe proceduto al pagamento del trattamento aggiuntivo equivalente a quello del “dirigente apicale”.

II. Con ricorso innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria il Prof. Al.Pa. impugnava i predetti provvedimenti chiedendone l’annullamento per le conseguenti statuizioni di condanna reintegratorie e risarcitorie.

Lamentava, al riguardo:

– violazione dell’art.1 della L. n.230/2005 e dell’art.5 del D.Lgs. n.517/99 nonché eccesso di potere per violazione del Protocollo d’Intesa Regione- Università, deducendo di essere stato “demansionato” e che pertanto l’accusa di inadempimento delle obbligazioni nascenti dalla convenzione è del tutto infondata;

– violazione dell’art.1 della L. n.230/2005 e dell’art.5 del D.Lgs. n.517/99 nonché eccesso di potere sotto svariati profili, deducendo che l’incarico di coordinatore non è previsto fra quelli conferibili ai Professori di prima fascia; e che le funzioni di coordinamento infine assegnategli non trovano titolo né giustificazione nel quadro normativo di riferimento;

– violazione di legge dell’art.5, comma 4, del D.Lgs. n.517 del 1999, ed eccesso di potere per violazione del Regolamento di disciplina, deducendo che la sospensione si è risolta in una vera e propria sanzione impropria comminata senza le garanzie del procedimento disciplinare.

Successivamente, con nota prot. 2011/8184 del 10.3.2011 l’Amministrazione comunicava al ricorrente che, vista la sua sospensione dall’attività assistenziale, non gli avrebbe più potuto attribuire insegnamenti legati all’attività assistenziale (e che, per il futuro, gli avrebbe assicurato la sola copertura di compiti didattici mediante attribuzione di insegnamenti di didattica frontale).

Infine, ed in conseguenza dei precedenti atti, l’Università sospendeva anche il pagamento delle indennità ospedaliere fino ad allora corrispostegli in ragione della sua equiparazione a “Direttore di Struttura Complessa” (liquidando le sole indennità dovute in forza della sua equiparazione a ‘Dirigente apicale’ con più di cinque anni di anzianità).

Con ricorso per motivi aggiunti il ricorrente impugnava anche tali provvedimenti sopravvenuti, lamentandone la “illegittimità derivata” (dai precedenti provvedimenti), per le medesime ragioni già illustrate nel ricorso introduttivo.

Ritualmente costituite, le Amministrazioni eccepivano l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

III. Con sentenza n.220 del 22.6.2011, pubblicata il 14.7.2011, il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria, ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile, e, per il resto, lo ha respinto.

In particolare, il Giudice di primo grado:

– ha dichiarato inammissibili le domande giudiziali implicanti doglianze (quali il lamentato ‘demansionamento’, l’asserito ‘ostruzionismo’, etc.) connesse all’ordine di servizio n.15411/2010, avendo rilevato che lo stesso che non è stato tempestivamente impugnato;

– ed ha respinto tutte le altre domande avendo ritenuto che il ricorrente ha effettivamente disatteso una disposizione di servizio, rendendosi così ‘inadempiente’ (a tal punto da provocare l’adozione del provvedimento risolutivo da parte dell’Amministrazione).

Ha pertanto respinto anche le domande introdotte con il ricorso per motivi aggiunti, in quanto concernenti atti consequenziali a quelli impugnati con il ricorso principale, ritenuti non illegittimi.

Quanto alla domanda risarcitoria, il Giudice di primo grado la ha respinta non ritenendo ipotizzabile una responsabilità aquiliana (ex art.2043 c.c.) da atto amministrativo legittimo (per la carenza del requisito dell’ingiustizia del danno lamentato).

IV. Con l’appello in esame il Prof. Pa., già ricorrente in primo grado, ha impugnato la sentenza in questione; e ne chiede l’annullamento o la riforma in senso a lui favorevole, per le ulteriori statuizioni reintegratorie e di condanna.

Ritualmente costituitesi, l’Azienda Ospedaliera di Perugia e l’Università degli Studi di Perugia hanno eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del gravame, chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

Nel corso del giudizio entrambe le parti hanno insistito con ulteriori scritti difensivi nelle rispettive domande ed eccezioni.

Infine all’udienza fissata per la discussione conclusiva sul merito dell’appello, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

1.1. Con il primo mezzo di gravame l’appellante (ricorrente e soccombente in primo grado) lamenta che erroneamente il Giudice di primo grado ha ritenuto inammissibili (per mancata impugnazione della nota provvedimentale n.15411/2010):

– la domanda di accertamento dell’inadempimento da parte dell’Azienda Ospedaliera degli obblighi assunti mediante l’atto di convenzionamento;

– e, conseguentemente, la connessa domanda di condanna (nei confronti ed a carico di quest’ultima) alla reintegrazione nelle funzioni, alla restituzione delle differenze retributive non corrispostegli ed al risarcimento dei danni conseguenti a tale condotta inadempiente.

La censura non merita accoglimento.

1.1.1. La posizione giuridica soggettiva del Docente Universitario che – in forza di un ‘rapporto di convenzionamento’ instaurato con Organismi Ospedalieri del Servizio Sanitario – pretenda di svolgere (nell’ambito dei Reparti o delle Strutture dell’Azienda Ospedaliera collegata all’Università) la c.d. “attività assistenziale” (costituente, com’è noto, il necessario complemento di quella prettamente didattica) secondo determinate modalità (e, nella specie, in posizione apicale), si connota come posizione di “interesse legittimo” (C.S., VI^, 11.5.2011 n.2779).

E ciò in quanto:

– si tratta di una posizione che si risolve in una pretesa comunque connessa all’esercizio, da parte dell’Amministrazione, di ‘poteri organizzatori’ , conferiti alla stessa in funzione del conseguimento di un ‘interesse pubblico di preminente rilevanza’, a fronte del quale quello del privato non può che connotarsi recessivo (C.S., VI^, 10.3.2011 m.1539);

– si tratta, cioè, di una posizione soggettiva estrinsecantesi in una pretesa che trova un fisiologico limite nella ‘potestà’ (intesa come “funzione pubblicistica” e dunque come “potere-dovere”) dell’Amministrazione di ‘organizzare’ il Servizio Sanitario in modo da renderlo massimamente efficiente ed efficace, al fine prioritario di farlo rispondere alle reali e concrete esigenze degli utenti e di salvaguardare il preminente diritto alla salute di questi ultimi.

E poiché le scelte relative all’organizzazione amministrativa costituiscono – di regola – la più qualificata espressione dell’ampia discrezionalità tecnica riservata alle Amministrazioni istituzionalmente e specificamente competenti ad assumerle (in vista della efficace custodia degli interessi di settore ad Esse affidati), e si caratterizzano, conseguentemente, per la loro tendenziale insindacabilità (anche) in sede di giurisdizione generale di legittimità (rectius: per il regime di ridotta sindacabilità al quale sono soggette), la pretesa del ricorrente, unicamente volta alla tutela delle sue personali aspettative di carriera e delle prerogative di status che, a suo parere, rivestono il ruolo di Professore Universitario, non può certamente assumere la connotazione di un vero proprio ‘diritto soggettivo perfetto’.

Non può assumere, cioè – sia consentito l’uso di una terminologia risalente ma idoneamente espressiva – la connotazione di un c.d. ‘diritto non affievolibile’ (id est: non comprimibile) ad opera dei Pubblici poteri neanche a fronte di obiettive esigenze di interesse pubblico .

Escluso, dunque (per le ragioni fin qui sinteticamente esposte), che il ricorrente potesse (e possa) vantare un diritto soggettivo perfetto allo svolgimento delle funzioni assistenziali (nel modo da Lui preteso; e cioè in posizione apicale o comunque non ‘subalterna’ neanche al Responsabile della Struttura Complessa presso cui si era impegnato a prestare la sua opera professionale), e chiarito che la posizione da Lui vantata rientra nel paradigma dell’’interesse legittimo’, ne consegue che – per smantellare l’assetto organizzativo criticato – l’interessato avrebbe dovuto impugnare la disposizione organizzativa di cui alla nota provvedimentale n.2779 del 4.8.2010, con la quale il Direttore Generale – al fine di dare un nuovo e diverso assetto organizzativo (e, com’è agevole desumere, di far cessare il contenzioso in atto) – gli aveva definitivamente assegnato l’incarico di coordinamento della c.d. “Recovery Room” da svolgere in una Struttura semplice operante presso il “Blocco operatorio Trancanelli”.

E ciò avrebbe dovuto fare in quanto tale incarico era, ancora una volta, a Lui non gradito.

Ma non avendo tempestivamente impugnato tale innovativo ed assorbente provvedimento (sostitutivo dei precedenti e) costituivo di una nuova situazione (che comunque continuava a non vederlo situato nella ‘posizione apicale’, o di ‘non subalternità’ nei confronti di chicchessia, alla quale aspira), l’interessato è evidentemente decaduto dalla possibilità di agire giudizialmente per chiedere:

a) l’accertamento dell’asserito inadempimento dell’obbligo dell’Amministrazione di collocarlo e/o di reintegrarlo, nella posizione da Lui desiderata (e cioè, lo si ribadisce, senza vincoli di subordinazione e/o di subalternità), presso la Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione, o presso qualsiasi altra Struttura organizzativa;

b) e la conseguente condanna dell’Amministrazione alla reintegrazione nelle funzioni non espletate ed al risarcimento dei danni asseritamente subìti per effetto del preteso “demansionamento”.

E’ infatti evidente che la mancata impugnazione del predetto provvedimento ha determinato l’acquiescenza alle disposizioni con esso adottate dall’Amministrazione (con conseguente obbligo di conformarsi alle stesse, obbligo che era destinato a perdurare fino ad un eventuale ‘contrordine’); mentre la condotta inottemperante alle predette disposizioni ha finito per connotarsi essa stessa come ‘inadempimento’.

Entrambe le predette condotte unitamente considerate – mancata impugnazione della disposizionea contenuto organizzativo e mancata ottemperanza alla stessa – costituiscono comunque comportamenti incompatibili con qualsiasi azione volta a far dichiarare la illiceità (per asserito inadempimento agli obblighi assunti in forza del rapporto di convenzionamento) della condotta tenuta dall’Amministrazione.

Ed invero, in costanza dell’efficacia – e dunque in permanenza dell’esecutività – della disposizione provvedimentale a contenuto organizzativo più volte menzionata (la n. 2779 del 4.8.2010), non si vede come possa configurarsi un effettivo interesse (concreto, diretto ed attuale) del ricorrente a continuare a perseguire l’obiettivo:

– di fornire le sue prestazioni professionali nel modo a Lui più gradito, e cioè senza alcun vincolo di subalternità (o di subordinazione) pure nei confronti di chi abbia già assunto la direzione e la responsabilità di una Struttura organizzativa o di un progetto di ricerca o di un programma sperimentale;

– e di ottenere una sentenza dichiarativa dell’obbligo dell’Amministrazione di pervenire ad un mutamento dell’assetto organizzativo in tal senso.

Essendo evidente che una pronunzia giurisdizionale che recasse un contenuto dispositivo di tal genere si porrebbe in insanabile conflitto ed in perdurante contraddizione con un provvedimento amministrativo – l’atto organizzatorio testè citato – ancora operativo, siccome efficace ed esecutivo.

Per il resto, è ben noto che la ‘dichiarazione giudiziale’ della illegittimità di un provvedimento amministrativo consolidatosi può essere formulata esclusivamente dal Giudice Ordinario in via incidentale (‘incidenter tantum’), ovvero dal Giudice Amministrativo nell’esercizio della giurisdizione esclusiva (o comunque allorquando venga lamentata la lesione, in qualche modo connessa con l’azione amministrativa, di un diritto soggettivo perfetto), ma giammai allorquando venga in rilievo – come nel caso dedotto in giudizio – la lesione di un interesse legittimo.

Diversamente opinando, la regola della inammissibilità dell’azione proposta oltre il termine decadenziale di sessanta giorni dall’adozione del provvedimento, potrebbe essere surrettiziamente (ed agevolmente) elusa con la semplice prospettazione di un’azione diversa da quella ‘costitutiva’ (C.S., V^, 29.3.2011 n.1918).

1.1.2. Né ha pregio la tesi del ricorrente, secondo cui la nota del 4.8.2010 non aveva natura provvedimentale; o che comunque non aveva avuto tale efficacia (provvedimentale) nei suoi confronti, essendo stata inviata, per competenza, al Responsabile della Struttura (e solamente in via indiretta a lui personalmente).

Tale prospettazione non può essere condivisa.

Nella nota in questione veniva disposto che il ricorrente fosse inserito, con effetto immediato nell’Organizzazione assistenziale del Blocco Operatorio Trancanelli e che il Responsabile della Struttura Complessa impartisse le necessarie ed immediate disposizioni organizzative a ciò preordinate e dirette.

E poiché tale atto dispositivo veniva trasmesso anche al ricorrente (che si attivava, mediante una diffida, per bloccarne gli effetti, avendolo ritenuto lesivo delle sue prerogative), non appare sostenibile che lo stesso non avesse (e non abbia avuto, in concreto) natura ed efficacia provvedimentali.

Ragion per cui – lo si ribadisce – avrebbe dovuto essere impugnato, come correttamente affermato dal Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria.

1.2. Con il secondo mezzo di gravame l’appellante (già ricorrente in primo grado) si duole dell’asserita ingiustizia della impugnata sentenza, deducendo che erroneamente il Giudice Amministrativo di primo grado ha respinto anche le censure proposte avverso il provvedimento che ha decretato la sua sospensione dal convenzionamento.

1.2.1. Con il primo profilo del mezzo di gravame in esame, l’appellante sostiene – in particolare – che il Giudice di prime cure ha erroneamente ritenuto che il provvedimento di sospensione dal convenzionamento:

a) non è configurabile come vera e propria sanzione (comminata, nella specie, in assenza delle relative garanzie procedimentali e sostanziali);

b) e costituisce manifestazione di ampia potestà discrezionale.

La doglianza dell’appellante non merita condivisione, dovendosi ritenere corretta la valutazione del Giudice di primo grado.

1.2.1.1. Che la sospensione dal convenzionamento non costituisca un provvedimento sanzionatorio (strictu sensu inteso), ma un c.d. atto di autotutela negoziale emerge dall’art.11, comma 11, del Protocollo d’Intesa fra la Regione e l’Università.

La fonte da cui scaturisce la misura in questione, pur se di natura pubblicistica (come lo è qualsiasi convenzione fra Amministrazioni pubbliche) è di natura pattizia; e fa salvi, espressamente, gli ulteriori rimedi di carattere sanzionatorio previsti dalle specifiche norme di settore.

Certo, non appare revocabile in dubbio che come ogni attività di autotutela negoziale, anche quella in esame abbia un fine sostanzialmente sanzionatorio; così come lo ha – (ma) nel senso civilistico del termine – ogni decisione, foriera di effetti risolutivi, che dichiari un ‘inadempimento’ contrattuale.

Ciò non significa, tuttavia, che l’attività di autotutela negoziale, ancorchè ‘procedimentalizzata’, debba (e/o possa) essere equiparata (o confusa) con l’ ‘attività sanzionatoria’ regolata dalle norme del diritto pubblico; attività esercitata – di regola – in funzione afflittivo/disciplinare e per ciò stesso riservata ad Organismi o Enti pubblici (ai quali il soggetto ‘sottoposto’ sia legato da un rapporto di subordinazione speciale).

1.2.1.2. Non del tutto condivisibile appare, invece, l’affermazione del Giudice di primo grado secondo cui l’atto di autotutela negoziale per cui è causa, sarebbe espressione legittima di un’ampia discrezionalità e dunque, a suo avviso, non sindacabile (o comunque soggetto ad un regime di ridotta sindacabilità).

La questione si appalesa, tuttavia, poco rilevante.

Ed invero l’atto in argomento – che ad avviso del Collegio (e contrariamente a quanto affermato nell’appellata sentenza) è giudizialmente sindacabile – si presenta, in concreto, motivato con argomenti che non si prestano a censure.

Come rilevato nell’appellata sentenza, dai documenti versati in atti emerge inequivocabilmente – infatti – “il rifiuto del ricorrente di svolgere le funzioni assegnategli in virtù del ripetuto ordine di servizio, oramai inoppugnabile”; rifiuto reiterato mediante atti e comportamenti.

Ne consegue che correttamente e doverosamente l’Azienda Ospedaliera ha avviato e condotto a termine – senza peraltro che tale scelta sia stata contestata o criticata dalla stessa Università – il procedimento previsto dal Protocollo d’Intesa.

1.2.1.3. Un’ultima osservazione in ordine al mezzo di gravame in esame.

Il ricorrente ha depositato in giudizio taluni ‘fogli di presenza’ nel tentativo di dimostrare che il suo rifiuto di svolgere le funzioni assegnategli non ha poi trovato concreta attuazione.

Ciò, tuttavia, non modifica la valutazione in merito alla correttezza della condotta risolutiva dell’Amministrazione.

Ed invero, come puntualmente affermato nell’appellata sentenza, i predetti ‘fogli di presenza’ si presentano “privi di qualsiasi sottoscrizione o (di) altra forma di autenticazione che conferisca loro un valore giuridico o un’oggettiva attendibilità riguardo la loro provenienza”.

La produzione (in extremis) di tali fogli appare – inoltre – in ogni caso poco conducente, in quanto inidonea a neutralizzare il contenuto sostanziale della condotta complessiva del ricorrente, espressiva di una chiara, definitiva e sistematica volontà di non ottemperare a tutte le disposizioni organizzative che ne richiedevano (o che ne avessero richiesto) il coinvolgimento in posizione non apicale (o comunque in posizione subalterna) e/o il coinvolgimento in mancanza di autonomia decisionale.

1.2.2. Con il secondo profilo del (secondo) mezzo di gravame in esame, l’appellante sostiene che il Giudice di primo grado ha erroneamente ritenuto che ai Docenti Universitari possano essere assegnate funzioni diverse da quelle di direzione di “Strutture semplici” o di “Strutture complesse” o di “titolare di Incarico di programma” (come le funzioni comportanti la semplice responsabilità della gestione di programmi, o il coordinamento di attività sistematiche di revisione valutazione della pratica clinica ed assistenziale).

1.2.2.1. La doglianza non merita accoglimento, essendo corretta la valutazione effettuata dal Giudice di primo grado.

L’art.5, comma 4, del D.Lgs. n.517 del 1999 dispone che “Ai professori di prima fascia ai quali non sia stato possibile conferire un incarico di direzione di struttura semplice o complessa, il Direttore Generale, sentito il Rettore, affida comunque la responsabilità e la gestione di programmi, infra o interdipartimentali finalizzati alla integrazione delle attività assistenziali, didattiche e di ricerca, con particolare riguardo alle innovazioni tecnologiche ed assistenziali, nonché al coordinamento delle attività sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica ed assistenziale”.

Sicchè la condotta dell’Amministrazione, la quale ha affidato al ricorrente un incarico comportante il ‘coordinamento’ di attività sistematiche di revisione valutazione della pratica clinica ed assistenziale, non appare censurabile.

E ciò non senza rilevare che la disposizione di servizio del 4.8.2010, lasciava ferma ed impregiudicata la responsabilità del ricorrente in ordine al Programma di alta specializzazione già assegnatagli con la delibera di convenzionamento, e rimetteva al Responsabile della Struttura Complessa la specificazione di ulteriori responsabilità da attribuirgli.

1.2.2.2. Con un ulteriore profilo di doglianza del mezzo di gravame in esame, l’appellante lamenta – infine – che il Giudice Amministrativo di primo grado ha erroneamente ritenuto che il procedimento volto alla sua sospensione dal convenzionamento sia stato assistito dalle garanzie procedimentali.

La doglianza non può essere condivisa, essendo corretta – invece – la valutazione del Giudice di primo grado.

Come sopra già rilevato, e come sinteticamente affermato nell’appellata sentenza, il procedimento volto alla sospensione dal convenzionamento per inadempimento – pur se finalizzato alla unilaterale risoluzione di un rapporto sorto per volontà bilaterale – non è equiparabile ad un procedimento sanzionatorio di carattere pubblicistico, ed è regolato dall’art. 11 del protocollo d’intesa fra la regione Umbria e l’Università.

Ne consegue che non occorreva attivare il complessivo coacervo di garanzie previste per i procedimenti sanzionatori.

Per il resto, non appare revocabile in dubbio che le norme procedimentali che disciplinano lo svolgimento dello speciale procedimento in argomento, sono state tutte pienamente rispettate, e così pure le norme sul ‘giusto procedimento’.

E’ sufficiente osservare, al riguardo, che il Docente soggetto al procedimento in questione:

– è stato informato dell’avvio del procedimento di cui all’art.11, comma 11, del Protocollo d’Intesa fra la Regione Umbria e l’Università;

– ed è stato posto in grado di esercitare il suo diritto di difesa, ciò che ha fatto, com’è documentato dalla memoria con cui ha analiticamente contestato i fatti a Lui addebitati dall’Azienda Ospedaliera.

Il provvedimento conclusivo è stato adottato, infine, previo il parere conforme del Comitato dei Garanti costituito da tre componenti nominati d’intesa dal Rettore ed dal Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera.

Sicchè, in definitiva, dalla documentazione versata in atti non emerge in alcun modo il ‘fumus persecutionis’ lamentato dal ricorrente.

2. In considerazione delle superiori osservazioni, l’appello va respinto.

Alla soccombenza dell’appellante non può che seguire, in mancanza di specifiche esimenti che il Collegio non ritiene di ravvisare, la sua condanna alle spese processuali in favore delle due Amministrazioni costituite, spese che si liquidano in complessivi €.2000,00 oltre gli accessori dovuti per legge, per ciascuna di esse.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sez.III^, respinge il ricorso in appello.

Condanna l’appellante al pagamento in favore delle Amministrazioni costituite, delle spese processuali relative al giudizio d’appello, liquidate in Euro 2000,00, oltre gli accessori dovuti per legge, per ciascuna.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2015 con l’intervento dei Signori Magistrati:

Pier Giorgio Lignani – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Bruno Rosario Polito – Consigliere

Angelica Dell’Utri – Consigliere

Carlo Modica de Mohac – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 30 ottobre 2015.

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