In tema di emersione dal lavoro irregolare le dichiarazioni del lavoratore e del datore di lavoro rivestono senza dubbio una notevole rilevanza probatoria al fine di accertare la effettività e la tipologia del rapporto di lavoro domestico, anche per evitare frodi documentali frequenti in materia di emersione dal lavoro irregolare
Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 28 marzo 2017, n. 1414
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 483 del 2017, proposto da Ch. Ir., rappresentato e difeso dall’Avvocato De. Pe. e dall’Avvocato Al. Bo., domiciliato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Brescia, in persona del Prefetto pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. II, n. 926 del 2016, resa tra le parti, concernente l’annullamento del decreto di rigetto di emersione cittadini extracomunitari
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Brescia;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2017 il Consigliere Massimiliano Noccelli e udito per le Amministrazioni appellate l’Avvocato dello Stato Ti. Va.;
sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
1. L’odierno appellante, Ch. Ir., nato in Nigeria il (omissis), ha impugnato avanti al T.A.R. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, il decreto prot. n. 104843 del 24 aprile 2015 con il quale la Prefettura di Brescia, in esecuzione dell’ordinanza cautelare n. 292 del 5 marzo 2015 emessa dallo stesso T.A.R., ha rigettato, in sede di riesame, la domanda di emersione dal lavoro irregolare presentata dal Al. Bw., nato in Ghana il (omissis), in favore del medesimo appellante, in quanto, sulla base degli accertamenti svolti dalla locale Stazione dei Carabinieri di (omissis), era emerso come Ch. Ir. fosse stato assunto ed avesse iniziato le prestazioni le prestazioni di tipo domestico in data 5 ottobre 2012, tra un minimo di 9 ed un massimo di 15 ore settimanali, senza raggiungere le 20 ore richieste dalla legge a settimana.
1.1. Il ricorrente in prime cure, lamentando la violazione del d.lgs. n. 109 del 2012, ha chiesto l’annullamento, previa sospensione, del decreto prefettizio.
1.2. Si è costituita avanti al T.A.R. l’Amministrazione in resistenza.
1.3. Con l’ordinanza n. 1672 del 9 settembre 2015 il T.A.R. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha disposto il riesame da parte dell’Amministrazione.
1.4. La Prefettura di Brescia, svolti ulteriori accertamenti, ha depositato il 17 giugno 2016 una ulteriore relazione, nella quale ha confermato il proprio avviso.
1.5. Infine, con la sentenza n. 926 del 30 giugno 2016 il T.A.R. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, anche alla luce dei nuovi accertamenti e degli ulteriori rilievi svolti dall’Amministrazione in detta relazione, ha respinto il ricorso.
2. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessato e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con conseguente accoglimento del ricorso proposto in primo grado.
2.1. Si sono costituite le Amministrazioni appellate per resistere al gravame.
2.2. Nella camera di consiglio del 23 marzo 2017, fissata per l’esame della domanda sospensiva proposta dall’appellante, il Collegio, ritenuto di poter decidere la controversia anche nel merito, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., e sentite le parti, ha trattenuto la causa in decisione.
3. L’appello è infondato e deve essere respinto.
3.1. L’odierno appellante deduce che il primo giudice sarebbe incorso in un travisamento dei fatti con riferimento alla sussistenza dei requisiti minimi richiesti dalla legge per l’accoglimento della domanda di emersione.
3.2. Tali requisiti, secondo l’appellante, emergerebbero chiaramente dalla documentazione copiosa già prodotta nel primo grado del giudizio e, in particolare, dalle numerose buste paga depositate avanti al T.A.R. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia.
3.3. Il primo giudice avrebbe invece erroneamente prestato fede alle confuse dichiarazioni dell’interessato e del suo datore di lavoro avanti al Carabinieri della Stazione di (omissis), dovute, a dire dell’appellante, ad una cattiva comprensione delle domande e alle difficoltà espressive e mnemoniche.
3.4. La tesi è priva di fondamento.
3.5. Come ha correttamente ricordato il primo giudice, anzitutto, le dichiarazioni del lavoratore e del datore di lavoro rivestono senza dubbio una notevole rilevanza probatoria al fine di accertare la effettività e la tipologia del rapporto di lavoro domestico, anche per evitare frodi documentali frequenti in materia di emersione dal lavoro irregolare.
3.6. Ebbene, proprio facendo applicazione di questo principio e sulla scorta delle dichiarazioni rese ai Carabinieri di (omissis) da Al. Bw. e da Ch. Ir. e degli ulteriori accertamenti svolti dalla competente Prefettura, la sentenza impugnata ha acclarato, in modo che va immune da censura, che l’odierno appellante lavora per circa tre ore al giorno tre-quattro-cinque volte a settimana, non raggiungendo la soglia minima fissata dall’art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 109 del 2012, che richiama la disciplina del d.P.R. n. 394 del 1999, nelle venti ore settimanali.
3.7. Peraltro, circostanza di non scarso rilievo, egli è il cognato del datore di lavoro Al. Bw., che ha sposato la sorella di questi; vive con la sorella ed il cognato; ha dichiarato di percepire da questi i soldi in contanti, come pure ha confermato lo stesso Bw. nelle sue dichiarazioni rese ai Carabinieri.
3.8. La sorella dell’odierno appellante, che è stata chiamata a rendere sommarie informazioni in data 7 giugno 2016 avanti ai Carabinieri di (omissis) (BS) per chiarire meglio la situazione, ha dichiarato – e la circostanza appare comunque significativa – di non voler rispondere alle domande relative al rapporto di lavoro, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 199 c.p.p. per i prossimi congiunti delle parti interessate.
3.9. Ne risulta un quadro, alimentato dall’ambiguità e dalla reticenza degli stessi protagonisti della vicenda in esame, ove è la stessa effettività del rapporto di lavoro domestico, per le circostanze sopra esposte, ad apparire nei fatti fortemente dubbia e, comunque, ove è certo – ciò bastando a giustificare la legittimità del provvedimento prefettizio qui oppugnato – che l’odierno appellante non abbia raggiunto le 20 ore settimanali minima previste dal combinato disposto dell’art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 109 del 2012 e dall’art. 30-bis, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 394 del 1999.
4. In conclusione, per i motivi esposti, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, che ha correttamente accertato la legittimità del provvedimento prefettizio prot. n. 104843 del 24 aprile 2015, anche alla luce degli ulteriori accertamenti svolti dalla Prefettura e demandati ai Carabinieri di (omissis) (BS).
5. Le spese del presente grado di giudizio, considerata, comunque, la particolare dubbiezza del caso, possono essere interamente compensate tra le parti.
5.1. Rimane definitivamente a carico dell’odierno appellante, stante comunque la sua soccombenza, il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come proposto da Ch. Ir., lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Pone definitivamente a carico di Ch. Ir. il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2017, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Stefania Santoleri – Consiglie
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