Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 25 novembre 2016, n. 4994

Le disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 50 del 2016, ivi comprese le nuove regole processuali contenute nell’art. 204 d.lgs. n. 50 del 2016, si applicano solo alle procedure bandite dopo la data dell’entrata in vigore del nuovo “Codice”, e, quindi, dopo il 19 aprile 2016. In difetto di univoci indici che rivelino una chiara volontà di escludere dall’operatività del principio di ultrattività le norme processuali contenute nel d.lgs. n. 50 del 2016, ogni opzione ermeneutica che giunga alla conclusione di applicare a queste ultime il principio della retroattività o, comunque, la regola del tempus regit actum si rivela arbitraria, siccome sprovvista di ogni fondamento positivo

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 25 novembre 2016, n. 4994

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6244 del 2016, proposto dalla

Se. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Pa. C.F. (omissis), ed altri, con domicilio eletto presso Lu. Fi. Lo. in Roma, piazza della (…);

contro

In.-E. Agenzia Regionale di sviluppo dei mercati telematici, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Lo. C.F. (omissis), ed altri, con domicilio eletto presso Ar. Po. in Roma, via (…);

nei confronti di

Regione Emilia Romagna, non costituita in giudizio;

Fa. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati La. Ra. C.F. (omissis), ed altri, con domicilio eletto presso Sa. Al. Ro. in Roma, viale (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA: SEZIONE II n. 00536/2016, resa tra le parti, concernente l’affidamento della fornitura di ausili per l’incontinenza e assorbenza.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di In.-E. Agenzia Regionale di sviluppo dei mercati telematici e della Fa. S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 novembre 2016 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti gli avvocati Ru. Tu., Ar. Po. e Sa. Al. Ro.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna respingeva il ricorso proposto dalla Se. S.p.A. avverso l’aggiudicazione, da parte della In.-E. Agenzia Regionale di sviluppo dei mercati telematici (d’ora innanzi In.), alla Fa. S.p.A. del lotto n. 1 della procedura aperta per l’affidamento della fornitura di ausili per incontinenza e assorbenza con consegna domiciliare, ospedaliera e presso i nidi per l’infanzia e dichiarava improcedibile il ricorso incidentale proposto dalla predetta società controinteressata.

Avverso l’anzidetta decisione proponeva appello la Se., contestando la correttezza della statuizione gravata e domandandone la riforma, con conseguente accoglimento del ricorso proposto in primo grado.

Resisteva la Fa., eccependo l’irricevibilità dell’appello, rilevandone infondatezza nel merito, riproponendo i motivi dedotti a sostegno del ricorso incidentale proposto in primo grado (e dichiarato improcedibile) e concludendo per la conferma della decisione impugnata (in ipotesi con diversa motivazione).

Si costituiva in giudizio anche In., difendendo la correttezza del proprio operato e domandando la reiezione dell’appello della Se..

L’appello veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 10 novembre 2016.

DIRITTO

1.- E’ controversa la legittimità dell’aggiudicazione alla Fa. del lotto n. 1 della procedura aperta indetta dalla In. per la fornitura di ausili per incontinenza e assorbenza, sotto il peculiare profilo della correttezza delle operazioni valutazione della Commissione di gara.

Il Tribunale emiliano, ha, in particolare, giudicato legittimi i punteggi assegnati alle offerte confrontate, ritenendo, quindi, l’aggiudicazione dell’appalto alla Fa. immune dai vizi denunciati a suo carico.

L’appellante Se. critica il convincimento espresso dal TAR, sulla base delle censure appresso esaminate, e conclude per la riforma della sentenza impugnata e per il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.

2.- Dev’essere preliminarmente esaminata l’eccezione pregiudiziale, formulata dall’appellata Fa., di irricevibilità dell’appello, siccome notificato oltre la scadenza del termine di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza, previsto dall’art. 120, comma 6 bis, c.p.a, introdotto dall’art. 204 d.lgs. n. 50 del 2016 e asseritamente applicabile anche alla presente controversia.

2.1- L’eccezione è infondata e va disattesa.

2.2- La disposizione processuale asseritamente inosservata non può, infatti, intendersi applicabile alla fattispecie in esame per le argomentazioni di seguito esposte.

2.3- Innanzitutto, e in via dirimente, il presente grado di giudizio risulta certamente estraneo all’ambito applicativo della previsione del cui rispetto si discute, in quanto il termine per la proposizione dell’appello (ivi stabilito) si riferisce, evidentemente, alle sole impugnazioni delle decisioni pronunciate nell’ambito del rito “superspeciale” introdotto dall’art. 204 d.lgs. n. 50 del 2016.

Le regole procedurali dettagliate al comma 6-bis dell’art. 120 c.p.a. descrivono, infatti, un rito accelerato per le impugnazioni delle ammissioni e delle esclusioni, nei casi meglio definiti al comma 2-bis, ed esauriscono un sistema processuale chiuso e speciale, sicchè la previsione del termine breve (asseritamente inosservato) per la proposizione dell’appello si inserisce (anch’essa) nel predetto regime procedurale, nel senso che deve intendersi operativa solo al suo interno e, quindi, per la sola impugnazione di sentenze di primo grado pronunciate su ricorsi introdotti e definiti ai sensi del combinato disposto dei commi 2-bis e 6-bis dell’art. 120 c.p.a.

Ora, è sufficiente osservare che, nella fattispecie in esame, il ricorso di primo grado non è stato “amministrato” con le regole procedurali del rito “superspeciale” in questione, anche perché il ricorso è stato notificato prima dell’emanazione del d.lgs. n. 50 del 2016 e la sentenza è stata (addirittura) assunta in decisione lo stesso giorno della sua entrata in vigore, per concludere che il presente giudizio di appello deve intendersi estraneo al perimetro applicativo della prescrizione relativa alla sua valida e tempestiva introduzione.

2.4- Non solo, ma il termine breve in questione deve intendersi inapplicabile anche per l’ulteriore considerazione che con il ricorso di primo grado è stata impugnata l’aggiudicazione dell’appalto alla Fa., e non la sua ammissione alla gara, sicchè, anche sotto questo assorbente profilo, la presente controversia esula dai confini dell’ambito di operatività del rito “superspeciale”, nella misura in cui quest’ultimo resta circoscritto al solo gravame dei provvedimenti che determinano l’ammissione alla (e le esclusioni dalla) procedura (Cons. St., sez, III, 27 ottobre 2016, n. 4528).

2.5- Quand’anche, tuttavia, si intendessero superabili le predette ragioni preclusive, l’applicabilità del rito in questione alla presente causa dovrebbe, in ogni caso, essere esclusa sulla base degli argomenti di diritto intertemporale appresso dettagliati.

2.6- Com’è noto, quando viene introdotto un nuovo assetto normativo, che modifica un regime esistente, il legislatore deve (dovrebbe) farsi carico delle questioni di diritto intertemporale e dettare una chiara disciplina sulla transizione tra la regolazione previgente e quella nuova.

In astratto, le opzioni regolatorie concettualmente disponibili sono tre: a) la normativa anteriore continua ad applicarsi ai rapporti sorti prima dell’entrata in vigore del nuovo atto normativo (principio di ultrattività); b) la nuova normativa si applica anche ai rapporti pendenti (principio di retroattività); c) previsione di una regolazione autonoma provvisoria.

In mancanza di un’esplicita regolazione del regime transitorio, ma solo in quel caso, soccorrono all’interprete i noti principi del divieto di retroattività (art. 11 delle preleggi: “la legge non dispone che per l’avvenire”), che impedisce di ascrivere entro l’ambito operativo di una disposizione legislativa nuova una situazione sostanziale sorta prima, e, per quanto riguarda le fattispecie sostanziali che constano di una sequenza di atti (ivi comprese quelle processuali), il principio del tempus regit actum, che impone di giudicare ogni atto della procedura soggetto al regime normativo vigente al momento della sua adozione.

Ovviamente, come già rilevato, i canoni ermeneutici da ultimo ricordati valgono nella sola ipotesi in cui il legislatore abbia omesso di dettare una disciplina transitoria, dovendosi, in quest’ultima evenienza, risolvere le questioni di diritto intertemporale alla (sola) stregua dei suoi dettami.

2.7- Orbene, il legislatore del 2016 si è fatto carico delle questioni di diritto transitorio e le ha chiaramente risolte scegliendo e utilizzando (tra quelle astrattamente disponibili) l’opzione dell’ultrattività, mediante, cioè, la previsione generale che le disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 50 del 2016 si applicano solo alle procedure bandite dopo la data dell’entrata in vigore del nuovo “Codice”, e, quindi, dopo il 19 aprile 2016, e il rinvio a disposizioni speciali e testuali di un diverso regime di transizione (art. 216, comma 1).

L’anzidetta previsione, chiarissima nella sua portata precettiva, impedisce, innanzitutto, ogni esegesi di questioni ermeneutiche di diritto intertemporale che si fondi sulla regola tempus regit actum (pure prospettato come canone risolutivo, in senso contrario a quello qui affermato, del problema in esame), e che si rivela, evidentemente, recessiva rispetto a una disposizione normativa che regola la successione nel tempo delle leggi, e vincola, al contrario, l’interprete ad attenersi alla stretta applicazione della disciplina transitoria.

2.8- Così chiarite le coordinate ermeneutiche alla cui stregua devono essere risolti i problemi di diritto intertemporale, resta del tutto agevole ascrivere anche l’applicazione delle nuove regole processuali (contenute nell’art. 204 d.lgs. n. 50 del 2016) entro il perimetro operativo dell’art. 216, comma 1.

Là dove, infatti, quest’ultima previsione si riferisce “al presente Codice”, intende, evidentemente, comprendere entro il suo ambito applicativo tutte le disposizioni del decreto legislativo n. 50 del 2016, con le uniche eccezioni di deroghe testuali ed espresse alla predetta regola transitoria (come chiarito dall’incipit dell’art. 216).

A prescindere, infatti, dalla curiosità lessicale che il titolo del decreto legislativo non reca (più) la dizione di “Codice”, viceversa presente nella legge delega, resta evidente che l’espressione letterale utilizzata all’art. 216, comma 1, deve intendersi riferita a tutte le previsioni normative contenute nel provvedimento normativo nel quale la relativa previsione transitoria risulta inserita.

Se, infatti, il legislatore avesse voluto escludere dall’ambito applicativo del regime transitorio le disposizioni processuali contenute nel decreto legislativo, lo avrebbe dovuto esplicitamente chiarire, come ha fatto per le previsioni riportate nei commi dell’art. 216 successivi al primo e come espressamente stabilito, quale criterio esegetico generale della disciplina transitoria, nella clausola di apertura del primo comma, con la conseguenza che, nel silenzio dell’art. 216, comma 1, e in mancanza di diverse disposizioni specificamente riferite alle innovazioni del Codice del processo amministrativo, il carattere generale della formulazione della suddetta previsione impone di ritenerla estesa a tutte le norme del nuovo “Codice” non menzionate da disposizioni transitorie speciali.

2.9- Né vale, di contro, obiettare che la disciplina transitoria in questione debba intendersi limitata alle sole previsioni direttamente riferibili al “Codice dei contratti pubblici” e non anche alle norme inserite, con esso, nel Codice del processo amministrativo.

In difetto di univoci indici che rivelino una chiara volontà di escludere dall’operatività del principio di ultrattività le norme processuali contenute nel d.lgs. n. 50 del 2016, ogni opzione ermeneutica che giunga alla conclusione di applicare a queste ultime il principio della retroattività o, comunque, la regola del tempus regit actum si rivela arbitraria, siccome sprovvista di ogni fondamento positivo, e, in ogni caso, foriera di incertezze interpretative e di confusione applicativa (e, come tale, da rifiutare).

Sotto un profilo strettamente letterale, al contrario, il riferimento al “presente Codice” (seppur non immune dalle imprecisioni e dalle incertezze lessicali connesse al sorprendente, mancato utilizzo di quel termine nel titolo del provvedimento) dev’essere inteso come comprensivo di tutte le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 50 del 2016, senza possibilità di una incerta cernita selettiva di quelle soggette alla disciplina transitoria, atteso che il lemma “Codice” risulta utilizzato sia nella legge delega, sia all’art. 1 del decreto legislativo (rubricato “Oggetto e ambito di applicazione”), sicchè il suo utilizzo nella norma dedicata a regolare la successione delle leggi nel tempo dev’essere decifrato come significativo del provvedimento normativo nella sua interezza.

2.10- Non solo, ma la regola del tempus regit actum risulta, nella fattispecie, del tutto inappropriata e inapplicabile, anche perché il rito “superspeciale” di cui ai commi 2-bis e 6-bis dell’art. 120 c.p.a. risulta concepito e regolato in coerenza con la nuova disciplina procedimentale introdotta dal d.lgs. n. 50 del 2016, sicchè resta del tutto illogica la prospettata entrata in vigore differenziata dei due regimi (processuale e sostanziale).

A ben vedere, infatti, l’onere di impugnazione immediata, nel termine di trenta giorni, del “provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali” risulta esigibile solo a fronte della contestuale operatività delle disposizioni del decreto legislativo che ne consentono l’immediata conoscenza da parte delle imprese partecipanti alla gara e, segnatamente, degli artt.29, comma 1, e 76, comma 3.

In difetto del (contestuale) funzionamento delle regole che assicurano la pubblicità e la comunicazione dei provvedimenti di cui si introduce l’onere di immediata impugnazione – che devono, perciò, intendersi legate da un vincolo funzionale inscindibile – la relativa prescrizione processuale si rivela del tutto inattuabile, per la mancanza del presupposto logico della sua operatività e, cioè, la predisposizione di un apparato regolativo che garantisca la tempestiva informazione degli interessati circa il contenuto del provvedimento da gravare nel ristretto termine di decadenza ivi stabilito.

Diversamente opinando, e ritenendo, cioè, la regola processuale in questione applicabile anche alle procedure (ancora) soggette al regime sostanziale previsto nel d.lgs. n. 163 del 2006, che non contemplava analoghi strumenti conoscitivi dei provvedimenti di ammissione (in effetti non previsti in quella disciplina), si finirebbe per produrre l’inaccettabile (e, probabilmente, incostituzionale) effetto di imporre l’impugnazione immediata di atti (in particolare: le ammissioni alla procedura) che l’impresa interessata non è in grado di conoscere tempestivamente.

2.10- Si aggiunga, da ultimo, che, quand’anche permanessero dubbi esegetici sul regime temporale di applicazione delle nuove regole processuali esaminate, gli stessi dovrebbero essere risolti preferendo l’opzione ermeneutica meno sfavorevole per l’esercizio del diritto di difesa (e, quindi, maggiormente conforme ai principi costituzionali espressi dagli artt.24 e 113).

A fronte dell’introduzione di un gravoso (e, finora, inedito) onere processuale, quale quello relativo all’immediata impugnazione delle ammissioni alla gara (pacificamente escluso, prima dell’innovazione processuale in esame), dev’essere, infatti, rifiutata ogni lettura delle disposizioni sopravvenute che limiti o, addirittura, pregiudichi l’esercizio del diritto di difesa, come accadrebbe se si ammettesse l’operatività del nuovo rito anche con riferimento alle procedure bandite prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016 (in ragione delle preclusioni espressamente collegate dalla nuova normativa all’omessa, tempestiva impugnazione delle ammissioni di altre imprese concorrenti).

3.- Così riconosciuta la ricevibilità dell’appello, occorre procedere al suo esame nel merito.

Prima di scrutinare la fondatezza dei motivi di appello, si deve, tuttavia, premettere che gli stessi sono tutti (tranne la censura riferita alla condanna al pagamento delle spese processuali) intesi a contestare la correttezza dell’operato della Commissione di gara e, segnatamente, la valutazione di alcuni aspetti dell’offerta presentata dalla società aggiudicataria.

Appare, allora, utile ribadire i limiti del sindacato giurisdizionale sui contenuti e sugli esiti dell’attività espletata dalle Commissioni incaricate di valutare le offerte tecniche e di attribuire i relativi punteggi, precisando che il giudizio sulla legittimità delle relative determinazioni non può estendersi fino a scrutinare il merito dei pertinenti giudizi tecnici, se non nelle limitate ipotesi in cui gli stessi risultino assunti sulla base di una fallace rappresentazione della realtà fattuale o in esito ad una delibazione del tutto illogica o arbitraria della qualità dell’offerta tecnica (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 18 gennaio 2016, n. 120).

4.- Così chiariti i confini della presente disamina, si rileva che con il primo motivo di appello viene assunta l’illegittima applicazione del criterio di valutazione n. 14 (previsto nel disciplinare di gara), che consente l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo per l’offerta di prodotti facoltativi “migliorativi e innovativi ovvero rispondenti alle esigenze di utilizzo per specifici target di assistiti”.

4.1- Con un primo ordine di considerazioni si sostiene, in particolare, l’illegittimità del punteggio assegnato alla Fa. per la voce in questione, sulla base dell’assunto che 22 prodotti facoltativi offerti dall’aggiudicataria sono stati erroneamente valutati come migliorativi per la presenza di una caratteristica (l’indicatore di cambio-umidità) che, viceversa, era propria dei prodotti obbligatori.

La valutazione controversa si rivela, tuttavia, corretta, siccome conforme alla lex specialis di gara.

La disciplina della procedura, infatti, che non risulta impugnata e contestata, non contemplava, per i prodotti ID 1, l’indicatore di umidità (per consentire il cambio dell’ausilio) come caratteristica obbligatoria, non essendo stata prevista la relativa funzione come oggetto della prova di laboratorio.

Ne consegue che l’attribuzione dei punteggi contestati ai 22 prodotti facoltativi e migliorativi della Fa. si rivela del tutto coerente con le regole della procedura, per come cristallizzate nel disciplinare di gara, e, quindi, immune dai vizi denunciati a suo carico.

4.2- Con una seconda prospettazione critica si assume l’illegittimità dell’attribuzione del punteggio riferito ai prodotti migliorativi, per essere stato valutato più volte il medesimo ausilio (pannolone a mutandina XL).

Anche tale doglianza è infondata, in quanto basata sull’erroneo assunto dell’identità dei prodotti valutati autonomamente come migliorativi.

A ben vedere, infatti, le valutazioni contestate risultano coerenti con le informazioni disponibili, per come ricavabili dalle schede tecniche allegate, dalle quali risultavano differenze sostanziali tra i prodotti autonomamente valutati come migliorativi.

Né vale sminuire la rilevanza delle dimensioni, quale caratteristica di differenziazione dei prodotti, atteso che la misura dell’ausilio ne condiziona la stessa funzionalità, con la conseguenza che appare tutt’altro che irragionevole la valutazione autonoma di dispositivi di diverse misure.

4.3- Con un terzo ordine di argomentazioni si ribadisce l’illegittimità dell’omessa valutazione di 12 prodotti facoltativi e migliorativi (in quanto dotati di una maggiore capacità assorbente) offerti dall’odierna appellante.

Anche tale cesura dev’essere disattesa.

In coerenza con i limiti (per come sopra ribaditi) del sindacato di legittimità delle valutazioni degli aspetti tecnici dell’offerta (quale quello in esame), rileva il Collegio che appare del tutto corretta e attendibile la mancata attribuzione, in favore della ricorrente, del punteggio previsto per i 12 prodotti (asseritamente) migliorativi da essa offerti, in quanto giustificata dalla plausibile argomentazione che gli stessi, presentando caratteristiche difformi (o, addirittura, peggiorative), rispetto a quelle dei altri prodotti obbligatori, non potevano essere considerati migliorativi, in quanto sostanzialmente eterogeni rispetto a quelli nei confronti dei quali avrebbero dovuto essere accertate le funzionalità innovative.

Si tratta, come si vede, di una giustificazione logicamente idonea a legittimare l’omessa attribuzione del punteggio rivendicato dalla Se. e che impone, come tale, di escludere la configurabilità, in essa, di qualsivoglia profilo di erroneità o di illogicità.

5.- Con il secondo motivo di appello si ribadisce l’illegittimità del punteggio attribuito ai prodotti migliorativi della Fa. in applicazione del criterio di valutazione n. 18, che ne consente l’assegnazione in favore di quelli provvisti delle Dichiarazioni Ambientali di Prodotto (DAP).

5.1- Assume, innanzitutto, l’appellante che le certificazioni prodotte dalla Fa. fossero difformi dalla normativa di riferimento (e, in particolare, dalla Norma UNI EN ISO 14025) e, quindi, del tutto inidonee a legittimare l’assegnazione dei contestati punteggi.

5.2- L’assunto è infondato.

5.3- Premesso, infatti, che la lex specialis si è limitata a richiedere la produzione di DAP, ma astenendosi dal dettagliare ulteriori prescrizioni circa le modalità di conseguimento delle certificazioni e la forma delle stesse, rileva il Collegio che le attestazioni prodotte dalla Fa. fossero idonee a giustificare l’attribuzione del punteggio controverso.

Se è vero, infatti, che l’art. 44 d.lgs. n. 163 del 2006 non risulta direttamente applicabile alla fattispecie controversa, sia per la tipologia dell’appalto, sia perché riferito al diverso aspetto delle “misure di gestione ambientale”, è anche vero che la disposizione, là dove ammette “altre prove relative a misure equivalenti in materia di gestione ambientale”, dev’essere decifrata come espressiva di un canone generale di equivalenza, proporzionalità e alternatività, che impone di giudicare valide, ai fini che qui rilevano, anche attestazioni non esattamente conformi alle regole delle procedure di certificazione standardizzate, purchè, ovviamente, idonee a comprovare la qualità ambientale del prodotto (soprattutto nei casi, quale quello in esame, in cui la lex specialis non prescrive alcun formalismo nell’allegazione delle DAP).

Orbene, nella fattispecie considerata, risulta che la Fa. ha prodotto DAP certificate da Det Norske Veritas Italia, che quest’ultima aveva stipulato un accordo con Det Norske Veritas Svezia, accreditata dalla SWEDAC, ente nazionale svedese di accreditamento, sulla base del quale era stata autorizzava ad operare in Italia sulla base del predetto accreditamento e che nelle attestazioni prodotte risulta certificato il rispetto della normativa EPD.

A fronte della descritta situazione documentale, dunque, l’assegnazione del punteggio in questione risultava doverosa, a nulla rilevando, in senso ostativo, il fatto che DNV Italia fosse stata accreditata presso ACCREDIA solo per i sistemi di gestione ambientale, e non anche per le dichiarazioni ambientali di prodotto, posto che il carattere indipendente e la capacità professionale dell’organismo restano attestate dall’accreditamento preso l’ente nazionale svedese.

Né risulta validamente contestata la coerenza dei prodotti certificati della Fa. con la normativa di protezione ambientale, con la conseguenza che l’attribuzione dei punteggi controversi non può intendersi, comunque, violativa degli interessi pubblici sottesi alle certificazioni ambientali.

5.4- Quanto, da ultimo, alla presunta discrasia temporale tra il momento di emissione delle certificazioni da parte di DNV e le DAP prodotte, è sufficiente rilevare l’idoneità dell’aggiornamento delle DAP da parte della stessa Fa., sulla base del rilascio di un certificato di processo da parte di un organismo accreditato (come DNV) ed entro il regime di validità temporale delle DAP inizialmente certificate, ad attestare la persistente conformità del prodotto alla normativa di protezione ambientale.

6.- Con il terzo motivo di appello si insiste nel sostenere l’illegittimità, per carenza di motivazione, dei punteggi assegnati con riferimento ai criteri di valutazione n. 9, n. 10 e n. 13.

6.1- Anche tale censura si rivela infondata, in quanto l’assegnazione dei punteggi relativamente ai citati parametri non esigeva un apprezzamento discrezionale della qualità dei prodotti, ma solo il vincolato accertamento della presenza, in quelli offerti da ciascuna impresa concorrente, delle caratteristiche tecniche a cui risulta riferito ognuno dei criteri in questione, con la conseguenza che la mera indicazione del numero degli ausili dotati del relativo requisito soddisfa pienamente le esigenze di intelligibilità dell’operato della Commissione, senza la necessità dell’esplicitazione di ulteriori ragioni valutative (in quanto inesistenti).

7.- Con l’ultimo motivo si censura il capo di condanna alla rifusione delle spese processuali nella misura di Euro 50.000,00.

7.1- Il motivo è fondato e va accolto.

7.2- La complessità in fatto e la peculiarità in diritto delle questioni controverse giustificavano, infatti, la compensazione delle spese del primo grado di giudizio, così come giustificano la compensazione di quelle del presente grado.

8.- Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, la conferma del dispositivo di reiezione del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti e la riforma del capo di condanna alla rifusione delle spese processuali, mediante la compensazione integrale di queste ultime.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, in parziale riforma della decisione appellata, compensa per intero tra tutte le parti le spese del primo grado di giudizio, lo respinge per il resto, confermando gli altri capi della sentenza impugnata, e compensa le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere – Estensore

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *