Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 14 dicembre 2015, n. 5669

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6511 del 2015, proposto da:

Ministero delle Politiche Agricole e Forestali -Gest. Comm. Ex Ag. Sviluppo Nel Mezzogiorno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);

contro

Consorzio di Bonifica Va., Via (…);

per la riforma;

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II n. 07777/2015, resa tra le parti, concernente diniego accesso agli atti riguardante l’appalto dei lavori di irrigazione

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Consorzio di Bonifica Va.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2015 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Fe. ed altri (…);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. Lazio, il Consorzio di Bonifica Va. ha impugnato la nota del Commissario ad acta del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, gestione attività ex Agenzia per lo Sviluppo del Mezzogiorno, prot. n. 1207 del 18 dicembre 2014, con cui gli è stato negato l’accesso agli atti del prog. n. 23/854 riguardanti l’appalto dei lavori di irrigazione (…).

Il Consorzio ha precisato che:

– il contratto di appalto venne stipulato l’8.10.1984;

– i lavori sono stati eseguiti, sottoposti a collaudo in corso d’opera e finale;

– con nota del 16 luglio 2014, n. prot. 711, successivamente rettificata con nota prot. 714, il Commissario ad acta del Ministero ha asserito di vantare nei suoi confronti un credito complessivo di euro 4.297.833,42;

– con successiva nota del 22 ottobre 2014, prot. n. 1005, il Commissario ad acta ha ingiunto al Consorzio di provvedere entro trenta giorni al pagamento della somma anzidetta;

– il Consorzio, con nota prot. n. 2482 del 20 novembre 2014, ha chiesto al Commissario ad acta: ” di poter visionare tutti gli atti relativi ai lavori di cui all’oggetto, depositati presso l’Ufficio del Commissario ad acta, al fine di potere in seguito estrarre copia”, sostenendo di non disporre di detta documentazione in quanto l’attuale Amministrazione si era insediata da soli due anni e che risulterebbe allo stato molto difficoltoso poter ricostruire esattamente quanto accaduto, così da poter confutare le ne dettaglio le contestazioni mosse dal Commissario. La documentazione richiesta sarebbe inoltre necessaria al fine di effettuare la rendicontazione contabile, visto che molti documenti contabili non sono più presenti negli archivi notarili.

Con la nota impugnata, prot. n. 1207 del 18 dicembre 2014, il Commissario ad acta ha rigettato la richiesta del Consorzio ricorrente sostenendo che i documenti richiesti dovrebbero essere già in possesso dell’ente richiedente, e che la richiesta di accesso sarebbe generica e fondata su argomenti inconsistenti e pretestuosi.

Il primo giudice, dopo aver rilevato che il Consorzio ha agito per ottenere l’accesso a documenti “la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”, attinenti al credito vantato nei suoi confronti dal Commissario ad acta del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, gestione attività ex Agenzia per lo Sviluppo del Mezzogiorno, ha ritenuto sufficientemente determinata la richiesta di accesso (riguardando tutti gli atti menzionati nella nota prot. 711 del 16.7.2014, elencati alle pag. 10 e 11 del ricorso), ed ha ordinato l’esibizione dei suddetti documenti unitamente a “quelli attestanti i pagamenti per i lavori di appalto, accertati dalla Commissione di collaudo”, rilevando che “la circostanza poi che detti atti dovrebbero essere in possesso anche del Consorzio ricorrente non vale ad escludere la sussistenza del suo diritto di accesso, tenuto conto peraltro che si tratta di atti che il Consorzio ha dichiarato di non riuscire più a reperire”, ritenendo “del tutto irrilevante la circostanza che gli atti di cui si chiede l’accesso siano stati formati dallo stesso Consorzio ricorrente o a questo siano stati indirizzati o trasmessi.

Ciò che rileva, infatti, ai fini dell’insorgenza dell’obbligo giuridico scandito dalla disposizione in esame è che i documenti chiesti in ostensione siano nella disponibilità materiale dell’amministrazione cui è stata rivolta la domanda di accesso”.

Detta sentenza è stata appellata dall’Avvocatura erariale nella sola parte in cui ha riconosciuto il diritto di accesso ai documenti “attestanti i pagamenti per i lavori di appalto, accertati dalla Commissione di collaudo”, rilevando che:

– la richiesta sarebbe generica e paradossale riguardando documenti emessi dal Consorzio, mai trasmessi all’Amministrazione;

– la parte avrebbe dovuto provare la detenzione di detti documenti da parte dell’Amministrazione, non potendo disporsi l’esibizione di documenti di cui non si sia in possesso;

– l’obbligo di rendicontazione graverebbe sulla parte e non sull’Amministrazione, e attraverso l’accesso vorrebbe sovvertirsi detto principio.

Si è costituito in giudizio il Consorzio appellato che ha eccepito, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello essendo stato proposto dalla Gestione Commissariale attività ex Agenzia per lo Sviluppo del Mezzogiorno, in persona del Commissario ad acta, soppressa a decorrere dall’entrata in vigore dell’art. 6 del D.L. 5 maggio 2015 n. 51, convertito in L. 2 luglio 2015 n. 91, prima della notifica del ricorso in appello, avvenuta il 14 luglio 2015.

Nel merito il Consorzio ha chiesto il rigetto dell’appello, rilevando che la disponibilità di detti atti da parte dell’Amministrazione non potrebbe porsi in dubbio, non comprendendosi altrimenti “come sia stato possibile quantificare la richiesta di restituzione delle (asserite) maggiori somme erogate rispetto a quelle effettivamente spese”.

La non disponibilità di detta documentazione non sarebbe mai stata in precedenza dedotta dall’Amministrazione, e peraltro detta affermazione significherebbe che il Commissario ad acta avrebbe richiesto al Consorzio di Bonifica la restituzione di ben Euro 4.297.833,42 senza svolgere alcun controllo sui certificati e sui mandati di pagamento emessi nel corso della procedura, e senza verificare l’esattezza di quanto asserito dalla Commissione di collaudo: circostanza poco credibile.

Ha poi precisato che l’interesse all’accesso sarebbe qualificato, specifico ed attuale dovendo accertare il Consorzio anche l’eventuale esistenza di responsabilità amministrative e contabili da parte dei propri amministratori e dipendenti dell’epoca (trenta anni orsono).

Alla Camera di Consiglio del 26 novembre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

L’appello è infondato.

Può prescindersi dalla disamina dell’eccezione di inammissibilità dell’appello in considerazione della sua infondatezza nel merito.

Condivide la Sezione i principi espressi dal primo giudice:

– sussiste l’interesse del Consorzio all’ostensione della predetta documentazione, per poter verificare la correttezza della pretesa restitutoria avanzata dall’Amministrazione;

– la richiesta di accesso ad una documentazione di parte non più reperibile, non implica l’impossibilità della sua esibizione, tenuto conto che la norma consente l’ostensione degli atti detenuti dall’Amministrazione anche se formati da terzi, come nel caso di specie;

– l’eventuale negligenza del Consorzio nella conservazione della documentazione necessaria alla rendicontazione non giustifica il comportamento “ritorsivo” dell’Amministrazione, contrario al principio di leale collaborazione istituzionale di cui all’art. 22 comma 5 della L. 241/90, applicabile nel caso di soggetti pubblici;

– la richiesta del Consorzio è sufficientemente determinata e specifica, come correttamente precisato dal primo giudice, trattandosi degli “atti attestanti i pagamenti per i lavori di appalto, accertati dalla Commissione di collaudo”;

– il Consorzio, non potendo dimostrare il possesso dei documenti in questione da parte dell’Amministrazione (trattandosi di probatio diabolica), ha però fornito idonei elementi induttivi dai quali desumere in via presuntiva la loro disponibilità, totale o anche parziale, da parte dell’Amministrazione;

– l’esibizione dei documenti di parte non implica il sovvertimento dell’obbligo di rendicontazione, ma assolve alla sola finalità di consentire il controllo sulla debenza delle ingenti somme richieste in presenza dell’oggettiva impossibilità di reperire la documentazione smarrita, anche se colposamente;

– l’obbligo di esibizione riguarda, ovviamente, la sola documentazione della quale l’Amministrazione è in possesso.

L’appello va dunque respinto, con conferma della sentenza di primo grado con la precisazione che l’accesso ai documenti attestanti i pagamenti per i lavori di appalto, accertati dalla Commissione di collaudo, riguarda – ovviamente – i soli documenti dei quali l’Amministrazione ha la detenzione.

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti ricorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza –

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge come precisato in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani – Presidente

Dante D’Alessio – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Alessandro Palanza – Consigliere

Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 14 dicembre 2015.

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