Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 13 novembre 2015, n. 5197

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9689 del 2014, proposto da:

-OMISSIS-

in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Ga.Mo. e Fr.Li. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, viale (…),

contro

– Ufficio Territoriale del Governo,

in persona del Prefetto p.t.;

– Ministero degli Interni,

in persona del Ministro p.t.,

costituitisi in giudizio, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli ufficii della stessa, in Roma, via (…);

– Comune di Reggio Calabria,

in persona del legale rappresentante p.t.,

costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv.to Ma.St. ed ex lege domiciliato presso la Segreteria della Sezione Terza del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);

– S.U.A.P. Stazione Unica Appaltante Provinciale,

in persona del legale rappresentante p.t.,

costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Do.Ba. ed ex lege domiciliata presso la Segreteria della Sezione Terza del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00639/2014, resa tra le parti, concernente interdittiva antimafia – ris.danni.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno, del Comune di Reggio Calabria e della Provincia di Reggio Calabria;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive domande e difese;

Vista l’Ordinanza n. 18/2015, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 8 gennaio 2015, di reiezione della domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;

Visti gli atti tutti della causa;

Visto l’art. 52, commi 1 e 2, del D. Lgs. 30.06.2003, n. 196;

Data per letta, alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2015, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;

Uditi, alla stessa udienza, gli avv.ti Ga.Mo. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – L’odierna appellante ha impugnato innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, anche con successivi motivi aggiunti, il provvedimento di cui alla nota n. 27685 in data 28 marzo 2014 del Prefetto di Reggio Calabria recante informazione interdittiva antimafia, oltre che varii, conseguenti, provvedimenti di esclusione da gare d’appalto emessi dalla SUAP di Reggio Calabria e dal Comune di Reggio Calabria.

2. – Essa deduceva in prime cure violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, chiedendo l’annullamento degli atti impugnati ed il risarcimento dei danni sofferti.

3. – Con la sentenza indicata in epigrafe il T.A.R. ha respinto il ricorso.

4. – Avverso tale sentenza ha proposto appello l’impresa interessata, deducendo l’erroneità del giudizio espresso dal primo giudice in ordine alla effettiva permeabilità della stessa al condizionamento mafioso e chiedendone la riforma, con conseguente accoglimento del ricorso proposto in primo grado.

5. – Si sono costituiti in giudizio, resistendo all’avversario ricorso con articolate memorie, il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Reggio Calabria, il SUAP di Reggio Calabria ed il Comune di Reggio Calabria.

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica dell’8 ottobre 2015, in vista della quale l’appellante ha depositato memoria in data 22 settembre 2015 e memoria di replica in data 25 settembre 2015.

6. – L’appello è infondato e va respinto.

7. – La sentenza di primo grado ha ritenuto legittima l’emissione dell’informativa a carico della odierna appellante sulla base dei seguenti fondamentali elementi:

a) “il signor -OMISSIS- risulta essere contiguo ad ambienti ad alto potenziale criminale, in particolare quale longa manus dei fratelli -OMISSIS- in concorso dei quali nel 2009 è stato condannato per il reato di cui all’art. 12 quinquies D.L. 306/92 (intestazione fittizia di beni), ricompreso dall’art. 84, comma 4, lett. A) del D.Lgs 159 del 2011 fra gli elementi da valutare in sede di emanazione del conseguente provvedimento interdittivo”;

b) “la vicinitas del sig.-OMISSIS-ad ambienti malavitosi, nonché la sua tendenza a gestire di fatto affari per conto di elementi di spicco della criminalità locale, emergono anche dalle risultanze istruttorie del procedimento penale denominato -OMISSIS-. Benchè tale procedimento si sia concluso con una pronuncia di assoluzione, dagli atti di indagine emerge che il-OMISSIS-risulta essere la longa manus dei fratelli -OMISSIS-almeno fino all’anno 2003 e che il suo ruolo è quello di rendere possibile la fornitura di calcestruzzo per i lavori di realizzazione della autostrada SA-RC, nonostante la società -OMISSIS-fosse sottoposta ad amministrazione giudiziaria”.

7.1 – Dal complesso di tali elementi indiziarii il T.A.R. calabrese ha tratto la conclusione che “indizi univoci e rilevanti proprio in ragione della peculiare tipologia di condotte contestate al -OMISSIS- trattandosi di reati strumentali alle attività mafiose … ragionevolmente fanno ritenere che la società ricorrente possa essere esposta, sia pure inconsapevolmente, al rischio di infiltrazione mafiosa”.

8. – Il giudizio espresso dal T.A.R. resiste alle articolate censure, che l’odierna appellante ha proposto nel suo gravame.

8.1 – Va anzitutto precisato che, come dalla stessa ricorrente evidenziato sin dal primo grado, “il nucleo centrale dell’impianto istruttorio indagato” è costituito dalle vicende processuali del soggetto ch’è padre di due socie (ricoprenti anche, l’una, la carica di amministratore unico e l’altra quella di direttore tecnico) e marito della terza socia della compagine in questione, di cui l’informativa oggetto del giudizio sottolinea la qualità di gestore di fatto della società stessa; qualità non contestata in prime cure dalla ricorrente, che ne ha anzi ivi ammesso “un’effettiva influenza sugli indirizzi imprenditoriali” ( pagg. 6 – 7 mott. agg ).

8.2 – Invano, ed inammissibilmente, dunque, l’appellante invoca qui la mera qualità di dipendente dello stesso e l’intervenuto suo licenziamento in data 16 giugno 2014 ( in data peraltro successiva a quella di adozione della impugnata informativa e pertanto del tutto ininfluente, così come altre sopravvenienze dedotte, ai fini dello scrutinio di legittimità della stessa, da compiersi esclusivamente sulla base degli elementi preesistenti alla informativa medesima ); in ogni caso, dirimente sul punto risulta la circostanza, ricavabile dagli atti di causa, che, in sede di plurime SIT rese nel proc. n. 1661/13/21 RGNR DDA Reggio Calabria, l’interessato stesso abbia dichiarato di essere titolare sostanziale della società odierna appellante.

8.3. – Ciò posto, ad onta di quanto l’appellante si studia di dimostrare, ritiene il Collegio pienamente sussistenti elementi, a carico di detto soggetto, idonei a fondare un giudizio di permeabilità mafiosa.

8.4 – E’ indubbia ed incontestata dalla stessa appellante, anzitutto, la condanna da lui riportata nel processo c.d. -OMISSIS- per il reato di cui all’art. 12-quinquies del d.l. n. 306/92, consumato dall’aprile 1995 al gennaio 2001 e commesso attribuendo fittiziamente a tale società, ritenuta di fatto gestita dai –OMISSIS- la titolarità e la disponibilità di beni ed altre utilità riconducibili alla -OMISSIS- alla -OMISSIS- ed alla -OMISSIS- consentendone la presenza in appalti pubblici al fine di eludere le disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale; processo, questo, delle cui risultanze correttamente l’Amministrazione dell’Interno ha tenuto conto, non essendo certo revocabile in dubbio l’accertamento del fatto e delle responsabilità contenuto in una sentenza penale passata in giudicato, le cui denunciate “numerose contraddizioni” esulano del tutto sia dal campo di indagine dell’Amministrazione, che da quello proprio di questo Giudice, costituendo un indebito tentativo di impropria revisione del giudizio penale.

8.5 – Non giova poi certo all’appellante contestare l’effettività di tale sua qualità di “prestanome” dei titolari della predetta società all’uopo invocando la sua qualificazione accertata in diverso giudizio di “fideiussore reale” della società medesima, atteso che il suo ruolo di socio che ha prestato fideiussione sui conti della società non vale certo ad escludere la sua natura di socio fittizio, intestatario di quote della società medesima, utilizzata appunto come impresa “paravento”, al momento della cui costituzione (da parte di “mogli, figli e affini di -OMISSIS- o di personaggi di fiducia degli stessi che in precedenza avevano ricoperto cariche” nelle imprese destinatarie dell’operazione di salvataggio e che, almeno per quanto concerne i “soggetti provenienti da altre società dei -OMISSIS- non disponevano di capitale necessario per poter costituire una nuova realtà imprenditoriale”: sent. Corte Cass. dell’8 giugno 2009) le venivano affidati i beni strumentali, le risorse umane e le altre disponibilità di -OMISSIS- e -OMISSIS- per precipui scopi elusivi della normativa in materia di misure di prevenzione patrimoniale; imprese, queste ultime, pacificamente e platealmente attribuite a soggetti sottoposti a numerosi procedimenti penali di criminalità organizzata, almeno uno dei quali ( socio di –OMISSIS-) successivamente condannato per gravissimi delitti, anche per fatti di sangue maturati in un contesto di criminalità organizzata.

8.6 – Proprio, del resto, le sentenze di mérito su tali vicende intervenute confermano la qualità dell’odierno interessato di “personaggio di fiducia” degli imprenditori sospettati di pericolose contiguità mafiose, cui era concretamente riferibile la società-schermo, di cui egli era, come s’è visto, uno dei socii apparenti.

L’esistenza di un “gruppo”, all’interno del quale l’impresa “paravento” operava e la riconducibilità ai soggetti sodali del gruppo stesso ( tra i quali l’odierno interessato, legato da persistenti legami di cointeressenza economica con gli altri soggetti dell’organigramma -OMISSIS- – -OMISSIS- – -OMISSIS-, come si deduce anche dalle cariche societarie da lui ricoperte risultanti dall’informativa del Comando Provinciale dei Carabinieri in data 6 marzo 2014 ) di rapporti di appartenenza o quanto meno di contiguità con una associazione mafiosa risulta del resto da plurimi elementi posti a base della contestata interdittiva ( v. ad es. decreto emesso il 3 novembre 2011 dal Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione di rigetto di proposta di sequestro, sospensione temporanea dell’Amministrazione e confisca dei beni, che pure afferma l’esistenza di indizii di appartenenza all’associazione mafiosa, salvo poi ritenerli non rilevanti ai fini di quel giudizio ), la cui valutazione da parte del Prefetto in ordine al pericolo di infiltrazioni mafiose da essi desumibile prescinde, di norma, dall’ésito dei procedimenti penali, cosicché anche da una sentenza pienamente assolutoria possono essere tratti elementi utili a supportare la misura interdittiva.

E’ quanto del resto correttamente posto in essere dall’Amministrazione nella fattispecie in sede di valutazione della sentenza di assoluzione del predetto n. 460/09 datata 8 luglio 2009, che, fondata com’è sulla accertata mancanza “per il gruppo di imprese … ( di ) uno sponsor di ‘ndrangheta che sul territorio sul quale ricadevano i tratti dell’autostrada interessati dai lavori affidati alle predette imprese, esercitasse il dominio mafioso e avesse, quindi, titoli … per stabilire quali ditte potessero lavorare in quel comprensorio”, ha comunque ritenuto quanto alle imprese “inquisite” ( nelle quali l’odierno interessato rivestiva comunque la posizione di “alter ego” degli imprenditori ) “che la contiguità dei … ad una prestigiosa organizzazione criminale … ancorché non direttamente coinvolta nell’affare autostrada, potesse favorire la ditta ad essi riferibile anche in una zona sottratta alla diretta influenza … dei medesimi”.

Trattasi di elemento concorrente a formare il complesso quadro indiziario logicamente ricostruito e valutato dall’Autorità prefettizia, dal quale emerge anche un punto importante ( quello della sussistenza o meno nelle singole vicende del legame mafioso dell’impresa controlli del territorio ), che vale a dequotare di rilevanza l’insistito richiamo dell’appellante della richiesta estorsiva subita da un certo clan mafioso ( anche in relazione alla quale occorre ribadire l’indefettibile principio dell’irrilevanza dei fatti e provvedimenti sopravvenuti ai fini dello scrutinio di legittimità dell’interdittiva, per i quali contano solo i dati emersi in sede istruttoria, ognuno dei quali acquista valenza significativa in connessione con gli altri ), che ben può colpire, come pure sottolineato in sede istruttoria, “il soggetto mafioso (che) quando va in un altro quartiere, deve sottostare alla cosca del luogo”.

Quanto, poi, al pure invocato principio, secondo cui il rischio di infiltrazione deve trovare motivazione in circostanze di cui si possa apprezzare la attualità al momento della valutazione, premesso che l’attualità può escludersi quando le circostanze riportate nell’informativa appaiono in buona parte molto risalenti nel tempo e che tale connotato non si ravvisa nella fattispecie all’esame in cui la sentenza di condanna per il delitto-spia è divenuta definitiva meno di cinque anni prima dell’interdittiva (la condanna è dunque un fatto attuale, ancorché intervenuta dopo qualche anno dai fatti di reato, alla luce del disposto dell’art. 84, comma 4, lett. a), del D. Lgs. n. 159/2011 e deve essere presa in considerazione ai sensi della norma citata ai fini del rilascio dell’informativa) e che cariche sociali nelle società “indagate” sono state ricoperte dall’interessato fino ad un tempo relativamente recente ( tale potendosi ancora considerare un periodo di 6 – 7 anni ), comunque le deduzioni dell’appellante sul punto non risultano né convincenti né probanti, non solo perché il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce, da solo, la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e comunque non dimostra, da solo, l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziarii, ma anche perché trascura di considerare che l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalle quali promana e per la durezza e, insieme, durevolezza dei legami che esse instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio possibile ( Cons. St., III, 24 luglio 2015, n. 3653 ).

D’altra parte, nel caso all’esame, l’appellante non ha fornito elementi tali da poter far ritenere spezzato l’anzidetto, pluriennale, legame, sì che l’attuale compenetrazione dei suoi sodali nel tessuto mafioso può tuttora considerarsi elemento di pericolo di infiltrazione per la società a lui riconducibile; ciò anche tenuto conto della antica ( nel senso di risalente inizio ) relazione personale sottostante alle stesse cointeressenze e della notoria capacità dei partecipi di una organizzazione criminale di continuare ad influenzare le dinamiche territoriali anche in regime detentivo ( v. il riferimento, contenuto a pag. 7 dell’interdittiva, a soggetto in atto detenuto, con pregresso ruolo di spicco nella società -OMISSIS-, con la quale l’interessato ha intessuto plurimi rapporti, anche solo di “protezione” con l’esercizio della società fittiziamente a lui intestata ).

8.7 – A nulla rileva, d’altro canto, in relazione a tale ultima, già sopra vagliata, vicenda, il fatto che la relativa sentenza penale di condanna abbia escluso, per tali specifiche vicende, l’aggravante di cui all’art. 7 della l. 203/1991 ( p. 60 della sentenza ), dal momento che, nonostante l’eliminazione dalle imputazioni di detta aggravante per carenza di risultanze d’indagine idonee a sostenerne proficuamente l’accusa, comunque il reato di cui all’art. 12-quinquies della legge n. 356/1992, di cui al caso di specie, per la sua stessa indole e tipicità ( trattasi di reato finalizzato alla tutela dell’amministrazione della giustizia ed inserito nella normativa volta alla repressione della criminalità organizzata ), è sufficiente a corroborare una non illogica valutazione di possibile contiguità con associazioni mafiose, tenuto pure conto che in materia possono considerarsi rilevanti elementi non ritenuti tali ai fini di prova in sede penale ( v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 11.7.2014, n. 3557 ).

8.8 – Per le ragioni espresse, ritiene il Collegio che l’interdittiva oggetto del giudizio e le sottostanti informative, in quanto sorrette da elementi valutativi serii, concreti e probanti e non smentite convincentemente dalle argomentazioni della odierna appellante, abbiano fornito adeguata contezza della sussistenza di un realistico collegamento della società odierna appellante ad ambienti vicini alla criminalità mafiosa, dovendosi così escludere i denunciati vizii di violazione di legge e di eccesso di potere.

Esula, infine, dall’àmbito del presente giudizio, così come delimitato nel suo oggetto dal ricorso originario, dai successivi motivi aggiunti e dal quantum devolutum degli stessi a questo Giudice di appello, qualsiasi sindacato sull’attività svolta dalla Prefettura all’ésito dell’istanza di riesame presentata in sede amministrativa dall’odierna appellante.

9. – Per tutto quanto sopra esposto e rilevato, il ricorso, in quanto infondato, va respinto, anche nel suo petitum risarcitorio che presuppone la sussistenza di un’attività contra ius qui insussistente, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

10. – Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo a carico della appellante, in favore delle Amministrazioni appellate.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante alla refusione di spese ed onorarii del presente grado in favore delle Amministrazioni appellate, liquidandoli in complessivi Euro 3.000,00= oltre accessorii di legge ove dovuti, in favore di ciascuna di esse, per complessivi Euro 9.000,00= oltre accessorii.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, per procedere all’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle persone fisiche e giuridiche citate in sentenza, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini ivi indicati.

Così deciso in Roma, addì 8 ottobre 2015, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

Giuseppe Romeo – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Salvatore Cacace – Consigliere, Estensore

Bruno Rosario Polito – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Depositata in Segreteria il 13 novembre 2015.

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