Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 10 settembre 2015, n. 4246

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6316 del 2009, proposto da:

-OMISSIS-, in proprio e quale socia accomandataria della -OMISSIS-rappresentata e difesa dall’avv. Pi.Si., con domicilio eletto presso Pi.Si. in Roma, Via (…);

contro

Ministero dell’Interno – Questura di Napoli, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE V, n. 03187/2009, resa tra le parti, concernente provvedimenti di sospensione e di successiva revoca della licenza di p.s. per il commercio di oggetti preziosi;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e Questura di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2015 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato Gi. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

1. L’appellante E.T. è titolare dal 2007 della licenza ex art. 127 del TULPS di cui al r.d. 773/1931, per l’esercizio di una gioielleria in Napoli (dal 1995 al 2007, ne è stato titolare il figlio I.T.).

2. La mattina del 15 aprile 2009, in una delle due sedi della gioielleria, il figlio ha acquistato da un cittadino romeno oggetti preziosi usati (due fedi, due orecchini ed una targa d’oro) che sono risultati provenienti da una rapina aggravata conclusasi con il duplice omicidio dei rapinati la notte precedente.

3. Il Questore di Napoli ha conseguentemente adottato nei confronti dell’appellante:

– in data 17 aprile 2009, ai sensi degli artt. 128, comma 1, e 17-bis, n. 3, del TULPS, una sanzione amministrativa estinguibile con pagamento di euro 308,00;

– in data 18 aprile 2009, un provvedimento di sospensione ai sensi dell’art. 100 TULPS della licenza rilasciata ai sensi dell’art. 127 per l’attività di commercio di oggetti preziosi, a causa del nocumento per l’ordine e la sicurezza pubblica e l’allarme sociale per la superficialità e negligenza manifestate con detto acquisto;

– in data 5 maggio 2009, un provvedimento di revoca della licenza predetta, ai sensi degli artt. 8, 10, 11, 127 e 128 TULPS, ritenendo che il figlio dell’appellante esercitasse di fatto l’attività, che avesse tenuto un comportamento gravemente negligente in occasione di detto acquisto, e che ciò denotasse anche la mancanza di affidabilità in capo alla titolare della licenza.

4. I provvedimenti sono stati impugnati dinanzi al TAR Campania.

Il TAR Campania, con la sentenza appellata (V, n. 3187/2009) ha respinto il ricorso, affermando, in sintesi, che:

(a) – i provvedimenti in materia devono dar conto in motivazione dell’adeguata istruttoria espletata al fine di evidenziare le circostanze di fatto in ragione delle quali il soggetto richiedente sia ritenuto pericoloso o comunque capace di abusi, con la conseguenza che il detentore del titolo di p.s. deve essere persona esente da mende o da indizi negativi nei cui confronti esista sicura affidabilità;

(b) – nel caso in esame, il provvedimento trova fondamento nella specifica valutazione dei precedenti del I.T., il quale, sebbene abbia dismesso la carica di amministratore della società a seguito di un primo procedimento penale, ha continuato ad esercitare di fatto detta attività acquistando preziosi ancora il 15 aprile 2009, e la cui condotta assume i caratteri dell’effettiva gestione dell’attività, sia presso la casa madre che presso la filiale.

5. Nell’appello, vengono dedotte censure di violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 10, 11, 100, 127 e 128, del TULPS, eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti, difetto di istruttoria, contraddittorietà, sviamento, irragionevolezza manifesta;

L’appellante lamenta, in sintesi, che le sanzioni siano ingiustificate, non sussistendo i presupposti individuati dall’Amministrazione, in quanto:

(a) – né lei, né il figlio hanno precedenti penali, il figlio le ha trasferito la licenza nel 2007, cioè ben tre anni dopo aver ricevuto notizia dell’avvio nei suoi confronti di un’indagine per ricettazione, e non risponde al vero che vi sia interposizione fittizia nella gestione dell’attività, essendo normale che un figlio aiuti saltuariamente i genitori nella loro attività lavorativa;

(b) – il comportamento tenuto in data 15 aprile 2009 non è censurabile, posto che – come affermato nella richiesta di archiviazione del procedimento per ricettazione, avanzata in tempi rapidissimi dalla Procura di Napoli in data 7 luglio 2009, ed accolta dal GIP in data 20 luglio 2009 – la notizia del delitto non era nota al momento dell’acquisto dei preziosi, ed era stata effettuata la registrazione degli oggetti, dietro pagamento di un corrispettivo adeguato al peso dell’oro acquistato; tant’è vero che due agenti della Polizia Municipale avevano poco prima identificato i due cittadini romeni (pretesi responsabili del crimine) sull’uscio del negozio, senza contestare loro alcunché;

(c) – le generalità ed il documento del venditore sono stati annotati nell’apposito Registro Antiriciclaggio, e richiedere ulteriori adempimenti sarebbe risultato discriminatorio nei confronti di un cittadino di un Paese ormai entrato nell’UE.

Chiede anche il risarcimento dei danni, per mancato guadagno e danno di immagine (per un importo di euro 500.000), asserendo la sussistenza dei relativi presupposti.

6. Resiste per l’Amministrazione l’Avvocatura Generale dello Stato, controdeducendo puntualmente.

7. Ad avviso del Collegio, alla luce della ricostruzione della vicenda che può trarsi dagli atti, l’acquisto dei preziosi frutto della rapina con omicidio avvenuta la notte precedente, può ritenersi compiuto, oltre che senza la scrupolosa osservanza degli adempimenti previsti dalla legge, con superficialità non ammissibile per chi esercita l’attività in questione.

Tuttavia, riguardo al provvedimento di revoca della licenza, deve essere confermato l’orientamento espresso da questo Consiglio in sede di appello cautelare – nel senso che la revoca “appare eccedere i limiti di congruità e proporzionalità cui deve conformarsi la misura sanzionatoria inflitta” (cfr. ord., VI, n. 4315/2009).

7.1. Partendo con l’esame della sanzione più tenue, l’art. 128 del TULPS prevede che i preziosi possano essere commerciati esclusivamente con “persone provviste della carta d’identità o di altro documento munito di fotografia, proveniente dall’amministrazione dello Stato”, e l’art. 17-bis ne punisce la violazione con sanzione pecuniaria.

La circostanza che il documento esibito e registrato fosse un documento romeno non comporta la violazione della norma. Posto che all’epoca dei fatti la Romania era entrata nell’Unione Europea e che quindi al venditore non si applicava la disciplina del d.lgs. 286/1998 bensì quella del d.lgs. 30/2007, che prevede il diritto di ingresso e circolazione nel territorio nazionale, sembra corretto quello che sostiene l’appellante, cioè che sarebbe risultato discriminatorio richiedere allo straniero comunitario un documento italiano per l’esercizio di un diritto consentito ai cittadini italiani mediante il semplice possesso del documento del proprio Paese.

Tuttavia, dal documento estero devono potersi desumere le stesse informazioni richieste dalla norma riguardo a quello italiano. Nel caso in esame, dalla registrazione effettuata in occasione della vendita, non risulta che il documento esibito fosse provvisto di fotografia, né risulta annotato il domicilio del venditore, come prescritto dall’art. 247 del regolamento attuativo di cui al r.d. 635/1940.

La sanzione pecuniaria irrogata non può dunque ritenersi priva di presupposti, e si sottrae alle censure dedotte.

7.2. Quanto alle sanzioni interdittive, la motivazione del provvedimento di revoca è basata essenzialmente sul rilievo che la notizia della rapina con omicidio aveva avuto larga diffusione sui media, che il commesso (da ritenersi il “vero gestore del negozio”) “avrebbe dovuto avvertire immediatamente l’Autorità di P.S. visto che gli oggetti acquistati apparivano palesemente di illecita provenienza (due vecchie fedi nuziali, due orecchini da donne ed una targa d’oro, sbriciolata per occultarne l’identificazione) e visto che il venditore era un giovane cittadino romeno, senza fissa dimora e privo di permesso di soggiorno, elementi quest’ultimi che avrebbero dovuto indurre il commerciante acquirente ad un moto di allerta, stante la copiosa cronaca giudiziaria di questi ultimi mesi …”.

La maggior parte di questi presupposti, però, non trova adeguato riscontro.

Anzitutto, che l’attività fosse in realtà gestita dal figlio dell’appellante non può essere desunto dal solo episodio della compravendita in questione, senza alcun ulteriore verifica. Né si potrebbe contestare ad I.T. l’aggiramento di una interdizione allo svolgimento di detta attività, mediante un’interposizione fittizia, dato che il trasferimento della licenza era avvenuto anni prima, a notevole distanza di tempo dall’indagine penale che lo aveva coinvolto (e che, peraltro, non risulta abbia condotto ad alcuna incriminazione).

A ben vedere, nel provvedimento impugnato, la contestazione della gestione da parte di soggetto diverso dal titolare della licenza è soprattutto rivolta a stabilire un collegamento tra l’episodio dell’acquisto dei preziosi e le sorti del titolo di p.s.; ma in ordine a tale aspetto non vi sono espresse e specifiche argomentazioni che individuino nella supposta gestione di fatto un’ipotesi di abuso del titolo, di per sé sanzionabile.

Poi, come ritenuto dal giudice penale, al momento dell’acquisto la notizia del delitto non era ancora di dominio pubblico, e comunque non vi è alcuna prova che I.T. o la madre fossero al corrente di quanto accaduto nella notte.

La circostanza che il venditore fosse senza fissa dimora non era conoscibile dall’acquirente; la sola nazionalità (che, come precisato, non comportava la necessità del permesso di soggiorno) non poteva legittimamente far nascere un sospetto.

Resta, pertanto, la natura dei preziosi offerti in vendita, che poteva far sospettare – essenzialmente per lo sbriciolamento della targa, dato che si trattava di oggetti di larga diffusione e modesto valore – una provenienza illecita, ma non la rendeva addirittura “palese”, come ha invece affermato la Questura. Al riguardo, assume significato anche l’episodio dell’identificazione dei delinquenti da parte degli agenti della P.M., nel corso di una normale attività di controllo, praticamente sull’uscio della gioielleria. Dagli articoli di giornale versati in atti, si leggono le dichiarazioni dei vigili, secondo i quali “Abbiamo visto che andavano verso un negozio. Uno era rimasto fuori, il biondino, mentre l’altro era dentro. Sembrava una tipica situazione da rapina e ci siamo avvicinati, ma era tutto tranquillo. Abbiamo chiesto i documenti, erano in regola. Li abbiamo lasciati andare” e “L’omicidio era avvenuto da un paio d’ore, la notizia non era ancora di dominio pubblico. Non potevamo nemmeno immaginare di trovarci di fronte ai responsabili di quella terribile notte”.

Ora, è arduo pretendere da un commerciante, sia pure in un settore delicato e sottoposto all’obbligo della licenza di p.s., un livello di attenzione superiore a quello manifestato dalle Forze dell’Ordine. Soprattutto, nel valutare – con il parametro della diligenza in concreto – l’incapacità di desumere da una circostanza potenzialmente tale da indurre al sospetto (quale, appunto la consistenza dei preziosi), la necessità di avvertire l’Autorita’ di P.S., , non può farsi a meno di considerare l’effetto di rassicurazione che l’intervento di controllo operato dai vigili, senza ulteriori conseguenze, aveva determinato nel commerciante (così come sottolineato anche nell’appello).

Va a questo punto ricordato – esaminando le fattispecie invocate dalla Questura – che l’art. 8 dispone la personalità della licenza di p.s., l’art. 10 sanziona con la sospensione o la revoca l’abuso delle autorizzazioni di p.s., l’art. 100 prevede la sospensione della licenza per l’esercizio “nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini” e la revoca “qualora si ripetano i fatti che hanno determinato la sospensione”.

In definitiva, risulta contestato l’abuso del titolo in relazione alla negligenza nel valutare elementi tali da indurre in sospetto sulla provenienza illecita dei preziosi.

Dalle considerazioni sopra esposte, il Collegio trae il convincimento che vi sia stata sì una superficialità nell’acquisto, e nell’omissione di segnalazioni all’Autorità di P.S., tale da integrare il presupposto della sospensione della licenza, ma non addirittura quello della revoca.

Revoca che presuppone un fatto di evidente gravità, vale adire una negligenza grave e priva di giustificazioni; ovvero – ipotizzando che l’episodico supposto incauto acquisto possa aver determinato pericolo per gli interessi pubblici espressamente menzionati dall’art. 100 del TULPS – la recidiva, che nel caso non in esame non potrebbe essere contestata, sulla base di una semplice indagine risalente ad anni addietro.

7.3. Resta da esaminare la domanda risarcitoria, che, in ragione della parziale fondatezza dell’impugnazione, dovrebbe correlarsi al mancato guadagno nel periodo in cui l’esercizio sarebbe rimasto chiuso dopo il periodo di sospensione, oltre che al danno di immagine.

Tuttavia, in ordine a tali presupposti, l’appellante non ha fornito alcuna indicazione, né informazioni appaiono desumibili dagli atti (così che è possibile anche dubitare che le sanzioni abbiano avuto esecuzione).

Sembra inoltre evidente al Collegio che l’eventuale danno di immagine sarebbe stato la conseguenza, non tanto della sanzione inflitta, ma prima ancora, e con valenza determinante, del comportamento superficiale del commerciante.

Non sussistendo pertanto i presupposti nemmeno per pronunciare una condanna generica, la domanda risarcitoria deve essere respinta.

8. In conclusione, l’appello deve essere parzialmente accolto, con conseguente riforma parziale della sentenza appellata e parziale accoglimento del ricorso di primo grado nella parte volta all’annullamento della revoca della licenza ex art. 127 TULPS.

9. L’esito dell’appello, la natura della controversia e la vicenda procedimentale sottostante inducono a compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, accoglie parzialmente il ricorso proposto in primo grado ed annulla il provvedimento di revoca con esso impugnato.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell’appellante e del figlio manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani – Presidente

Bruno Rosario Polito – Consigliere

Dante D’Alessio – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 10 settembre 2015.

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