Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 1 giugno 2016, n. 2338

Il termine “applicazione”, che radica la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. t), c.p.a., il quale devolve alla sua cognizione “le controversie relative all’applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari”, ha un significato ampio, che consente di ritenere inequivoca la volontà del legislatore di riservare alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie attinenti alla determinazione del prelievo, anche quelle relative alla riscossione dello stesso che si completa con la notifica delle cartelle esattoriali, esclusa soltanto la fase esecutiva, che ha inizio con il pignoramento

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 1 giugno 2016, n. 2338

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9662 del 2015, proposto dalle
aziende agricole:
Fr. Bo. ed altri , tutti rappresentati e difesi dall’Avv. An. Ba. e dall’Avv. Gi. Co., con domicilio eletto presso lo stesso Avv. Gi. Co. in Roma, via (…);
contro
A.G.E.A. – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. PIEMONTE – TORINO: SEZIONE II n. 01217/2015, resa tra le parti, concernente le quote latte – parziale difetto di giurisdizione.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio di A.G.E.A. – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2016 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le odierne appellanti l’Avv. Pa. Bo. su delega dell’Avv. An. Ba. e per l’odierna appellata A.G.E.A. l’Avvocato dello Stato Ti. Va.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Le odierne appellanti, tutte aziende agricole che producono il latte vaccino e, come tali, assoggettate al regime delle c.d. quote latte, hanno impugnato avanti al T.A.R. per il Piemonte le cartelle di pagamento aventi ad oggetto il prelievo delle quote relative a periodi variabili compresi tra il 1997 e il 2007.
1.1. Esse hanno dedotto in primo grado i tre seguenti motivi di ricorso:
1) la violazione di legge con riferimento all’art. 8-quinquies del d.l. n. 5 del 2009, convertito nella l. n. 33 del 2009, non avendo considerato la rateizzazione richiesta dagli interessati, non sussistendo i presupposti per la decadenza dal beneficio del termine per il pagamento rateale e non essendo stati conteggiati, in compensazione, gli aiuti agricoli da erogarsi ai produttori;
2) la violazione delle disposizioni del d.l. n. 5 del 2009, l’eccesso di potere per carenza di istruttoria, l’eccesso di potere come conseguenza della violazione penale con riferimento agli artt. 479 e 323 c.p., essendo stati comunque taluni importi già trattenuti a titolo di recupero per gli anni 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013 e 2014, senza che ciò venisse preso in considerazione per l’emissione delle cartelle (pp. 14-17 del ricorso in primo grado), e pendendo indagini tanto di una commissione governativa quanto delle autorità giudiziarie circa la regolare gestione del sistema delle quote latte (pp. 17-22 del ricorso in primo grado);
3) la violazione dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, la violazione dell’art. 36, comma 4-ter, del d.l. n. 248 del 2007, convertito in l. n. 31 del 2008, l’eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione, contestandosi la carenza di requisiti formali della cartella.
1.2. Si è costituita in primo grado l’Amministrazione per resistere al ricorso.
2. Il T.A.R. per il Piemonte, con la sentenza n. 1217 del 10 luglio 2015 resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha dichiarato irricevibile il secondo dei motivi sopra indicati, mentre ha declinato la propria giurisdizione in ordine al primo e al terzo motivo.
2.1. Appellano la sentenza le imprese interessate, con due distinti motivi, con i quali lamentano l’erronea statuizione in punto di giurisdizione, chiedendo che la sentenza venga riformata, previa sospensione della sua esecutività, con rimessione del giudizio al T.A.R. piemontese ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a.
2.2. Si è costituita A.G.E.A. per resistere all’appello ex adverso proposto.
2.3. Con ordinanza n. 18 del 14 gennaio 2016 il Collegio ha sospeso in via cautelare l’esecutività della sentenza.
2.4. Nella pubblica udienza del 21 aprile 2016 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
3. L’appello è fondato e deve essere accolto, nei limiti di seguito precisati.
4. Occorre anzitutto premettere che le odierne appellanti non hanno espressamente impugnato, con specifica e analitica censura, la sentenza nella parte in cui essa ha dichiarato irricevibile il secondo motivo dell’originario ricorso, sicché sul punto la sentenza impugnata è passata in giudicato.
4.1. Entrambi i motivi proposti dalle appellanti, seppur con diversa impostazione, riguardano l’erronea declaratoria di giurisdizione da parte del T.A.R.
4.2. Le appellanti, a p. 35 del ricorso, hanno espressamente domandato che venga statuita la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla controversia, ma non hanno nemmeno formalmente gravato il capo della sentenza che ha statuito espressamente, in parte qua, sull’irricevibilità del secondo motivo dell’originario ricorso.
4.3. Il primo motivo dell’appello (pp. 20-28 del ricorso) è incentrato senza dubbio unicamente sulla violazione e sulla falsa applicazione dell’art. 133, comma 1, lett. t), c.p.a.
4.4. Anche il secondo motivo di appello (pp. 28-32 del ricorso), a sua volta, denuncia la violazione e la falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 35 e 133, comma 1, lett. t), c.p.a., lamentando che la giurisdizione del giudice amministrativo non potrebbe essere scalfita dal fatto che ai produttori siano state inviate le intimazioni di pagamento previste dall’art. 8-quinquies, comma 1, della l. n. 33 del 2009, non costituendo tali intimazioni, ad avviso delle appellanti, un vero e proprio accertamento del prelievo.
4.5. La sentenza impugnata, con un percorso logico particolarmente approfondito (pp. 20-21), ha del resto chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto tardive e, comunque, ha anche disatteso nel merito le contestazioni sollevate con il secondo motivo di ricorso, ragioni che non sono state oggetto di specifica contestazione da parte delle odierne appellanti.
4.6. In tale secondo motivo, infatti, le odierne appellanti avevano soprattutto – anche se non solo – lamentato l’esistenza di indagini, amministrative e penali, che avrebbero rimesso in discussione tutto il complesso sistema delle quote-latte in Italia (pp. 30-35 del ricorso in primo grado).
4.7. Sono state infatti le stesse appellanti a ricordare, nel ricorso in appello (p. 30), che le intimazioni di versamento ex art. 8-quinquies della l. n. 33 del 2009 risalgono al giugno 2009, mentre alcune delle circostanze addotte a sostegno del secondo motivo dell’originario ricorso e, cioè, le attività della Commissione di indagine amministrativa presieduta dal Colonnello Vi. Al. risalgono, rispettivamente, al successivo 15 luglio 2009, le relazioni pubblicate dal Comando dei Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari risalgono al successivo 15 aprile 2010 e le attività di indagine penale, che ne sarebbero derivate, sarebbero confluite nel procedimento penale R.G.N.R. n. 33068/2010 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, con tutta evidenza successivamente al giugno del 2009.
4.8. Il T.A.R. piemontese, con motivazione che, si ribadisce, non è stata oggetto di specifica censura, ha comunque ritenuto che l’assunto dei ricorrenti comporterebbe che nessuna attività amministrativa sarebbe idonea a consolidarsi, per il rischio che taluno degli addetti coinvolti, a distanza di anni, risulti avere commesso reati all’esito di indagini successive alle intimazioni, concludendone che le contestazioni di cui al secondo motivo siano tardive, per essere da tempo decorso il termine per impugnare gli avvisi di accertamento e, in ogni caso, per essere le stesse incompatibili con la richiesta di rateizzazione proposta dagli stessi interessati (p. 20-21 della sentenza).
5. Ne segue che, per le ragioni esposte, la sentenza impugnata è passata in giudicato quanto alla declaratoria di irricevibilità del secondo motivo, con riferimento alla specifica censura relativa all’inattendibilità del prelievo per l’esistenza di indagini amministrative e penali, mentre non lo è con riferimento alle altre censure pure articolate con il secondo motivo dell’originario ricorso (pp. 23-30), non potendo queste essere proposte nel termine per impugnare gli avvisi di accertamento né potendo ritenersi incompatibili con la richiesta di rateizzazione.
6. Il primo giudice, ciò premesso, ha ritenuto che, chiusosi l’accertamento con la reiterata e finale intimazione prevista dall’art. 8-quinquies del d.l. n. 5 del 2009, la successiva attività dell’Amministrazione non implichi alcuna discrezionalità ed alcun accertamento, ma sia unicamente volta al doveroso recupero secondo termini e parametri di legge, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sul punto.
6.1. La decisione del primo giudice non è condivisibile.
6.2. Il termine “applicazione”, che radica la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. t), c.p.a. – il quale devolve alla sua cognizione “le controversie relative all’applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari” – ha un significato ampio, che consente di ritenere inequivoca la volontà del legislatore di riservare alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie attinenti alla determinazione del prelievo, anche quelle relative alla riscossione dello stesso che si completa con la notifica delle cartelle esattoriali, esclusa soltanto la fase esecutiva, che ha inizio con il pignoramento.
6.3. La stessa Corte regolatrice della giurisdizione ha chiarito, invero, che le controversie alle quali si riferisce la disposizione dell’art. 2-sexies del d.l. n. 63 del 2009, poi recepita nella previsione dell’art. 133, comma 1, lett. t), c.p.a., devono essere intese come quelle “direttamente inerenti al momento dell’”applicazione” (assegnazione, quantificazione e così via) del prelievo supplementare” (Cass., Sez. Un., 15 giugno 2009, ord. n. 13897).
6.4. Proprio in quest’ottica l’iscrizione a ruolo e la successiva notifica delle cartelle esattoriali, impugnate in primo grado, rientrano pleno titulo nella fase di applicazione del “prelievo supplementare”, integrando il momento conclusivo dell’accertamento e della quantificazione del credito, sicché non può affermarsi che la notifica delle precedenti intimazioni di pagamento, ai sensi dell’art. 8-quinquies, comma 1, del d.l. n. 5 del 2009, abbia definito ed esaurito la fase di applicazione del prelievo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 133, comma 1, lett. t), c.p.a.
6.5. Solo il pignoramento costituisce, infatti, l’avvio della fase intesa all’esecuzione del pagamento, che radica la giurisdizione del giudice ordinario.
7. Ne segue che sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine alla controversia che ha ad oggetto le cartelle di pagamento, attenendo esse ancora alla fase dell’attuazione del prelievo supplementare, nel senso della sua determinazione e quantificazione, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. t), c.p.a.
8. La sentenza impugnata, dunque, deve essere in parte qua riformata, con rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., affinché riesamini nel merito le censure proposte dagli odierni appellanti contro le cartelle di pagamento con riferimento al primo, al secondo – nei limiti sopra precisati (censure alle pp. 23-30 dell’originario ricorso) – e al terzo motivo di ricorso proposti in primo grado.
9. Le spese del doppio grado di giudizio, considerata la particolarità della questione, possono essere interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, ai sensi di cui in motivazione, e per l’effetto, in parziale accoglimento dell’appello, riforma la sentenza impugnata, rimettendo la causa al T.A.R. per il Piemonte.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Depositata in Segreteria il 01 giugno 2016.

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