Conoscenza dell’esistenza di contrastanti orientamenti di merito

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 12 luglio 2019, n. 18745.

La massima estrapolata:

La semplice conoscenza dell’esistenza di contrastanti orientamenti di merito, alcuni dei quali espressione di una posizione contraria a quella fatta propria dall’impugnante, non è di per sé sufficiente a qualificare la proposizione dell’appello come abuso del mezzo di impugnazione. Solo la vacuità e la vuota pretestuosità delle argomentazioni utilizzate, potrebbero portare a tanto qualora si spingessero ai confini della male fede.

Sentenza 12 luglio 2019, n. 18745

Data udienza 23 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 17045/2016 proposto da:
(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) in persona del Responsabile del Contenzioso Regionale Lazio (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
UFFICIO TERRITORIALE GOVERNO ROMA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 5226/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 10/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2019 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’improcedibilita’ del ricorso in subordine accoglimento del 3 motivo del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

(OMISSIS) proponeva opposizione all’esecuzione, ex articolo 615 c.p.c., avverso due cartelle di pagamento notificate da (OMISSIS) s.p.a. relative al mancato pagamento di sanzioni amministrative comminate per violazioni del codice della strada, rilevando che non le fossero mai stati notificati i relativi verbali. L’opposizione veniva accolta, con condanna solidale alle spese di Roma Capitale e dell’Agente per la riscossione.
(OMISSIS) s.p.a. propone tre motivi di ricorso per cassazione contro la sentenza di appello del Tribunale di Roma, n. 5226/2016, resa nei confronti di (OMISSIS) e di Roma Capitale. Con la predetta sentenza il tribunale rigettava l’appello dell’Agente per la riscossione avverso la sentenza del giudice di pace sul capo che portava la condanna solidale, di questo e dell’ente impositore, al pagamento delle spese di lite sul presupposto che l’incaricato per la riscossione abbia un autonomo dovere di controllo sulla validita’ del titolo posto in esecuzione, condannando l’Agente sia al pagamento delle spese di lite del secondo grado sia al pagamento di una ulteriore somma, ex articolo 96 c.p.c., comma 3.
Resistono Roma Capitale e la (OMISSIS) con controricorso.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articoli 10, 12, 24, 25 e 26, ed in particolare, che la condanna solidale alle spese anche nei suoi confronti, pur essendo stata l’opposizione accolta per vizi procedimentali afferenti al comportamento dell’ente impositore, presupponga un insussistente, in capo ad (OMISSIS), dovere di controllo sulla legittimita’ della iscrizione a ruolo non avendo, al contrario, la societa’ ne’ il dovere di indagare sulla legittimita’ o meno della pretesa impositiva, ne’ la facolta’ di sospendere le azioni intraprese, essendo la riscossione tramite ruolo gestita direttamente dalla Agenzia delle Entrate, che la esercita tramite (OMISSIS).
In particolare, ribadisce la propria estraneita’ a qualsiasi attivita’ inerente la notifica dei verbali di accertamento delle violazioni contestate e la conseguente iscrizione a ruolo.
Con il secondo motivo, denuncia la violazione dell’articolo 91 c.p.c., per essere stata condannata in difetto di una propria soccombenza, pur non avendo in alcun modo dato causa con il proprio comportamento all’accoglimento dell’opposizione.
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi e sono infondati, alla luce della piu’ che consolidata giurisprudenza di questa Sezione sul punto, salva una correzione della motivazione laddove si assume la sussistenza di un obbligo di controllo formale dell’atto per cui si procede prospettato come incombente sull’agente di riscossione, non sussistente nei termini prospettati dal tribunale.
Va invero applicato anche alla fattispecie il seguente principio di diritto: “nella controversia con cui il debitore contesti l’esecuzione esattoriale, in suo danno minacciata o posta in essere, non integra ragione di esclusione della condanna alle spese di lite, ne’ – di per se’ sola considerata – di compensazione delle stesse, nei confronti dell’agente della riscossione la circostanza che l’illegittimita’ dell’azione esecutiva sia da ascrivere all’ente creditore interessato; restano peraltro ferme, da un lato, la facolta’ dell’agente della riscossione di chiedere a quest’ultimo di manlevarlo anche dall’eventuale condanna alle spese in favore del debitore vittorioso e, dall’altro, la possibilita’, per il giudice, di compensare le spese del debitore vittorioso nei confronti con l’agente della riscossione e condannare al pagamento delle spese del debitore vittorioso soltanto l’ente creditore interessato o impositore quando questo e’ presente in giudizio, ove sussistano i presupposti di cui all’articolo 92 c.p.c., diversi ed ulteriori rispetto alla sola circostanza che l’opposizione sia stata accolta per ragioni riferibili all’ente creditore interessato o impositore”. La soluzione e’ ormai recepita da questa Corte in numerose pronunce, tra le quali da ultimo Cass. n. 1580 del 2019, che a sua volta richiama Cass. 19/05/2017, n. 12612, sulla collocazione sistematica dei rapporti tra agente della riscossione ed ente creditore a svariate altre precedenti. In ogni caso, non vi e’ un dubbio di controllo degli atti in capo in agente della riscossione.
Peraltro, ha una sua rilevanza, nella fattispecie concreta, anche quanto evidenziato dalla controricorrente (OMISSIS): nel caso di specie l’atto veniva notificato all’esattore soltanto a titolo di litis denuntiatio, mentre questi interveniva volontariamente, ad adiuvandum dell’ente impositore, e quindi con tale iniziativa processuale questi ne faceva volontariamente proprie le sorti processuali, anche sotto il profilo della condivisione della condanna solidale al pagamento delle spese di giudizio.
Con il terzo motivo, (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero contesta che sussistessero i presupposti per la condanna per responsabilita’ aggravata, per aver agito senza la normale prudenza, avendo il tribunale ravvisato gli estremi del comportamento imprudente nella stessa proposizione della impugnazione, che riconduce addirittura all’abuso del diritto. Richiama numerose pronunce di legittimita’ in cui si afferma che l’agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela, all’esame giudiziario, infondata, non costituisce condotta di per se’ rimproverabile (Cass. n. 21570 del 2012, Cass. n. 24546 del 2014, Cass. n. 1115 del 2016). In particolare, il tribunale ascrive a colpevole mancanza di prudenza l’aver proposto l’impugnazione ignorando la costante giurisprudenza contraria della sezione cui apparteneva il giudice che ha emesso la decisione. Rileva il ricorrente innanzitutto che le cause in materia di opposizione a cartelle esattoriali relative a sanzioni amministrative appartenevano, all’interno del Tribunale di Roma, alla competenza di ben tre sezioni diverse, all’interno delle quali, sul problema delle spese, erano maturati orientamenti differenziati, e ribadisce che non sussiste il requisito della colpa processuale, per non aver controllato la regolarita’ del ruolo trasmesso, e in particolare la pregressa avvenuta notifica dei verbali, non trattandosi di profilo afferente alla mala fede processuale e, a monte, non trattandosi di comportamento esigibile dall’agente per la riscossione.
Il terzo motivo e’ fondato.
La nozione di abuso del diritto di impugnazione, legittimante la condanna ex articolo 96, comma 3, a carico della parte soccombente in sede di impugnazione, e’ stata definita da questa Corte come consistente nello sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali ed in un ingiustificato aumento del contenzioso che ostacoli la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione. Dovrebbe aversi un vero e proprio abuso della potestas agendi, attraverso un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per se’ legittimo, per fini diversi da quelli per i quali il potere stesso e’ preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte (v. in questo senso Cass. n. 9912 del 2018: “La responsabilita’ aggravata ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte ne’ la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilita’ della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicche’ possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in se’, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosita’ dell’azione per contrarieta’ al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione” e Cass. n. 22405 del 2018: “La condanna ex articolo 96 c.p.p., comma 3, e’ volta a salvaguardare finalita’ pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonche’ interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealta’ e probita’ sanciti dall’articolo 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della potestas agendi con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per se’ legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso e’ preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede ne’ la domanda di parte ne’ la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosita’ dell’iniziativa giudiziaria per contrarieta’ al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello, che aveva escluso la condanna, nonostante l’artificiosa evocazione in giudizio di una parte, peraltro senza proporre domanda contro di essa, finalizzata a bloccare le azioni promosse all’estero, in quanto la pretestuosita’ sarebbe dovuta essere eccepita dalla stessa parte invece rimasta contumace)”.
La semplice conoscenza delle esistenza di contrastanti orientamenti di merito, alcuni espressione di una posizione contraria a quella fatta propria dall’impugnante, non e’ di per se’ sufficiente a qualificare la proposizione dell’appello come abuso del mezzo di impugnazione. Solo la vacuita’ e la vuota pretestuosita’ delle argomentazioni utilizzate, potrebbero portare a tanto qualora si spingessero ai confini della mala fede. Diversamente opinando, lo strumento dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, nato per contenere l’abuso degli strumenti processuali di per se’ leciti, verrebbe adattato all’uso distorto di dissuadere ogni tentativo di sovvertire, a mezzo della impugnazione, un precedente orientamento giurisprudenziale. Si aggiunga che la sentenza sembra attribuisca alla attuale ricorrente la responsabilita’ aggravata per non aver voluto tener conto dello specifico orientamento seguito dal singolo estensore della sentenza sul punto: criterio di giudizio doppiamente errato, perche’ in caso di unico giudicante implicherebbe una inammissibile colpevolizzazione, sotto il profilo della condanna pecuniaria, di ogni tentativo di modificare un precedente orientamento giurisprudenziale, in caso di ripartizione (non contestata) della materia tra diverse sezioni di un medesimo ufficio giudiziario, l’orientamento contrario di un singolo magistrato dell’ufficio sarebbe di per se’ irrilevante, anche in ragione dell’automaticita’ dell’assegnazione delle cause.
L’accoglimento del terzo motivo del ricorso conduce alla cassazione della sentenza sul punto con decisione nel merito che conduce alla eliminazione della statuizione di condanna di (OMISSIS) per responsabilita’ processuale aggravata.
In ragione del solo parziale accoglimento del ricorso, le spese del presente giudizio possono essere integralmente compensate.

P.Q.M.

Rigetta i primi due motivi, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione e, decidendo nel merito, elimina la condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, a carico di (OMISSIS) s.p.a..
Compensa le spese di lite tra le parti.

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