Confondibilità tra le denominazioni e i segni distintivi di due partiti

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 16 giugno 2020, n. 11635.

La massima estrapolata:

Ogni partito politico beneficia, ai sensi dell’art. 7 c.c., della tutela della propria identità, la quale trae fondamento dagli artt. 2, 21 e 49 Cost.,riassumibile nella denominazione e nel segno distintivo, ed esprime l’esigenza di evitare nel dibattito pubblico il pericolo di confusione in ordine agli elementi che caratterizzano un partito come centro di espressione di idee e di azioni. (Nella specie la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva escluso la confondibilità tra le denominazioni e i segni distintivi di due partiti, senza giustificare come avesse tratto il convincimento che il simbolo della fiamma tricolore rappresentasse, con carattere di generalità, patrimonio ideologico di tutta la destra autoritaria e nazionalistica italiana, anziché il segno identificativo di uno dei due partiti).

Ordinanza 16 giugno 2020, n. 11635

Data udienza 18 ottobre 2019

Tag – parola chiave: Personalita’ (diritti della) – Identita’ personale – Nome (nozione) – Tutela – In genere partito politico – Tutela ex art. 7 c.c. – Ammissibilità – Fondamento – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 1411/2017 proposto da:
(OMISSIS) in Liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, e (OMISSIS), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 265/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, del 25/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/10/2019 dal Cons. Dott. DE MARZO GIUSEPPE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 25 febbraio 2016 la Corte d’appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto le domande proposte dall’associazione (OMISSIS) (d’ora innanzi, (OMISSIS)) e dalla (OMISSIS) (d’ora innanzi, (OMISSIS)), intervenuta volontariamente in secondo grado, quale successore a titolo particolare della prima, nei confronti dell’associazione (OMISSIS) (d’ora innanzi, (OMISSIS)), nonche’ personalmente nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), al fine di ottenere l’accertamento del diritto all’uso esclusivo della denominazione (OMISSIS), dell’acronimo (OMISSIS) nonche’ dell’emblema costituito dalla “(OMISSIS)”, con conseguente inibitoria all’utilizzo di siffatti segni distintivi.
2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che la disciplina dei segni distintivi politici e le correlate forme di tutela devono essere ricavate dai principi generali vigenti in materia di diritto all’identita’ personale; b) che ai partiti politici, come, in generale, alle associazioni non riconosciute, viene dalla giurisprudenza riconosciuto il diritto esclusivo al nome e alla cessazione dell’uso indebito ad opera di terzi, in una prospettiva di carattere personale che si distingue dalla tutela dei segni distintivi di impresa; c) che, pertanto, ferma la protezione del marchio, quando il soggetto politico svolga attivita’ di carattere commerciale (oggi anche alla luce del Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, articolo 8, comma 3, recante il codice della proprieta’ industriale: c.p.i.), il diritto all’identita’ personale del medesimo soggetto e’ retto da una disciplina caratterizzata dai principi di incedibilita’ ed irrinunciabilita’; d) che, d’altra parte, un determinato partito, se non puo’ cedere il proprio nome ad altro partito, se non sul presupposto di una continuita’ trasformativa aggregativa, non puo’ neppure impedire al secondo, ove questo si richiami allo stesso filone ideologico, di far uso della relativa denominazione storica, che non appartiene al partito stesso, ma alla dottrina politica alla quale entrambi si richiamano; e) che, analogamente alla distinzione tra marchio forte e marchio debole, deve ritenersi, in definitiva, che, in campo politico, la capacita’ distintiva di denominazioni come “sociale”, “socialista”, “comunista”, “nazionale”, “internazionale”, “italiano”, “democratico”, “popolo”, “popolare” e simili sia debole, in quanto esse evocano riferimenti molto comuni nel settore caratteristico di operativita’; f) che l’associazione attrice aveva dismesso la denominazione che pretendeva di inibire alla controparte, avendo assunto quella, diversa, di “(OMISSIS)”, in tal modo esprimendo una svolta radicale rispetto al passato; g) che le parole del leader dell’associazione attrice e le comunicazioni immesse nel sito del partito rappresentavano una forma di ripudio ideologico, anche se caratterizzato da qualche margine di ambiguita’; h) che, similmente a quanto accaduto a proposito dell’evoluzione del (OMISSIS), anche nel caso di specie veniva in rilievo una associazione non riconosciuta che, senza operare in ambito commerciale, si era limitata a riprendere l’ispirazione politica abbandonata dalle controparti, rinsaldando il ponte ideologico smantellato dalla trasformazione politica di (OMISSIS) in vista della sua convergenza nel (OMISSIS); i) che, in definitiva, la ripresa simbolica del nuovo soggetto non aveva alimentato alcuna confusione col precedente, dal quale cercava di distinguersi con cura, e, anzi, era stata accompagnata da cambiamenti anche grafici nell’uso dei segni, con l’aggiunta della denominazione “(OMISSIS)”; l) che analoghe conclusioni valevano per il simbolo della (OMISSIS) che, nel dopoguerra, dopo la messa al bando delle insegne fasciste, aveva espresso le tradizioni della destra autoritaria e nazionalistica italiana, cosi’ come il la (OMISSIS) avevano simboleggiato la tradizione comunista internazionale; m) che la percezione della potenziale confusione non deve essere apprezzata in termini analitici, ossia con riguardo ad ogni singola componente grafica e denominativa, ma in modo globale e sintetico, con la conseguenza che la semplice aggettivazione di (OMISSIS), con l’aggiunta della denominazione (OMISSIS), vale univocamente a distinguere il nuovo soggetto dal “fantasma del (OMISSIS) ormai disperso in (OMISSIS) e ivi deprivato di valenza identitaria”; n) che siffatte conclusioni erano confermate dall’intervento della Fondazione, la quale non e’ ne’ un partito politico, ne’ un successore universale di (OMISSIS), ma solo l’acquirente a titolo particolare di un preteso diritto immateriale, inidoneo ad assicurare il subentro della prima nella personalita’ di (OMISSIS), di cui, a norma dell’atto di costituzione, aveva soltanto raccolto la memoria storica, al fine di promuoverla e perpetuarla.
3. Avverso tale sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva. Le parti ricorrenti hanno depositato memoria, ai sensi dell’articolo 380-bis.1, c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 342 c.p.c., in ordine alla ritenuta ammissibilita’ dell’appello proposto dal (OMISSIS) – (OMISSIS), per avere la Corte territoriale omesso di considerare che nell’atto di gravame era assente una specifica enucleazione dei motivi di impugnazione come pure una censura rivolta direttamente al percorso argomentativo seguito dalla sentenza di primo grado.
La doglianza e’ infondata.
La valutazione dell’ammissibilita’ dell’appello va condotta, nel caso di specie, alla stregua dell’articolo 342 c.p.p., nel testo previgente alle modifiche apportate dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera 0a) conv. con modificazioni con L. 7 agosto 2012, n. 134, giacche’ il giudizio di secondo grado e’ stato introdotto con atto di citazione notificato il 6 ottobre 2008 (Decreto Legge n. 83 del 2012 cit., articolo 54, comma 2).
Cio’ posto, all’indomani della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 20 gennaio 2000, n. 16, la giurisprudenza di legittimita’ puntualmente ripercorsa in parte motiva da Cass., Sez. Un., 16 novembre 2017, n. 27199 – ha ribadito che “il requisito della specificita’ dei motivi di appello postula che alle argomentazioni della sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, finalizzate ad inficiare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza scindibili dalle argomentazioni che le sorreggono”, per cui e’ indispensabile “che l’atto di appello contenga sempre tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione” (Cass. 30 luglio 2001, n. 10401); con la conseguenza che la mancanza di specificita’ conduce all’inammissibilita’ dell’appello (Cass. 21 gennaio 2004, n. 967).
Si e’, al riguardo, ribadito che l’appello e’ una revisio prioris instantiae e non un novum iudicium e che la necessita’ dell’indicazione, da parte dell’appellante, delle argomentazioni da contrapporre a quelle contenute nella sentenza di primo grado serve proprio ad orientare entro precisi confini il compito del giudice dell’impugnazione, consentendo di comprendere con certezza il contenuto delle censure. Tutto questo, pero’, senza inutili formalismi e senza richiedere all’appellante il rispetto di particolari forme sacramentali (v., tra le altre, Cass. 31 maggio 2006, n. 12984, 18 aprile 2007, n. 9244, 17 dicembre 2010, n. 25588, 23 ottobre 2014, n. 22502, 27 settembre 2016, n. 18932, e 23 febbraio 2017, n. 4695; v. anche Cass. Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28057 e 9 novembre 2011, n. 23299).
In tale cornice di riferimento, proprio dai brani della motivazione della sentenza di primo grado e dell’atto di appello, quali riportati nel ricorso per cassazione, emerge evidente il senso della critica rivolta dall’appellante alla decisione del Tribunale, che aveva riguardo non alla sostanziale identita’ dei simboli, ma proprio alla ritenuta assenza di un ripudio degli stessi da parte di (OMISSIS).
E non casualmente proprio su questo punto e sull’asserito carattere “debole” del segno distintivo ruota la sentenza della Corte territoriale. 2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 111 Cost. e articolo 132 c.p.c., per avere la Corte territoriale negato ad (OMISSIS) e alla (OMISSIS) la tutela della propria identita’ personale, alla stregua di un ripudio del patrimonio storico, politico ed ideologico, che non aveva trovato alcun, pur minimo, conforto nelle risultanze probatorie.
3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento all’asserita assenza di continuita’ di tipo storico, politico ed ideologico tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), per avere la Corte territoriale omesso di valutare i molteplici elementi, evidenziati nel corso del giudizio, che dimostravano l’esatto contrario.
4. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica.
Essi sono fondati.
Con orientamento ormai consolidato e anche di recente ribadito da questa Corte (v., ad es., Cass. 14 febbraio 2020, n. 3819), il vizio di motivazione previsto dall’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dall’articolo 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, ne’ alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.
In particolare, in tema di valutazione delle prove e soprattutto di quelle documentali, il giudice di merito e’ tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass. 30 maggio 2019, n. 14762; v., anche sulla tipologia del vizio, Cass. 25 settembre 2018, n. 22598).
Ora, la decisione impugnata, a fronte di una contraria, argomentata sentenza di primo grado, conclude per l’esistenza di una svolta radicale idonea a dimostrare un ripudio ideologico, da parte di (OMISSIS), di denominazione e simbolo del (OMISSIS), trascurando del tutto di confrontarsi con i dati probatori – richiamati, in particolare, nel terzo motivo – che sembrano dimostrare il contrario e soprattutto non dando conto delle risultanze che giustificherebbero la conclusione raggiunta, se non attraverso un generico riferimento alle parole del leader di (OMISSIS) e alle comunicazioni immesse nel sito internet del partito in quanto non contestate.
Quali siano siffatte parole e comunicazioni non e’ approfondito in motivazione, cosi’ come non sono analizzate le pur rilevate “ambiguita’” che avrebbero accompagnato siffatta “rottura col passato”.
In definitiva, resta puramente assertiva l’affermazione secondo la quale il (OMISSIS) si sarebbe limitato a “riprendere l’ispirazione politica abbandonata dalle controparti, cosi’ come storicamente propugnata dal “vecchio” (OMISSIS)”.
5. Con il quarto motivo si lamenta, si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza per manifesta illogicita’, contraddittorieta’ e irragionevolezza della motivazione, con riguardo alla ritenuta assenza di confusioni di tipo personale tra il (OMISSIS) e (OMISSIS).
6. Con il quinto motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articolo 2 Cost., articoli 6 e 7 c.c., con riguardo al mancato riconoscimento della tutela dell’identita’ personale.
7. Il quarto e il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica.
Essi investono il secondo percorso argomentativo della sentenza impugnata, rappresentato dalla sostanziale assenza di una violazione del diritto esclusivo all’uso del simbolo e della denominazione, derivante sia dalla ritenuta estrema debolezza distintiva degli stessi sia dagli accorgimenti adoperati per evitare confusioni con il competitore. Sotto il primo profilo, al partito politico si applica, in linea generale, la disciplina valevole per l’associazione non riconosciuta.
Quest’ultima, quale centro di imputazione di situazioni giuridiche e, come tale, soggetto di diritto distinto dagli associati, beneficia della tutela della propria denominazione, che si traduce nella possibilita’ di chiedere la cessazione di fatti di usurpazione (ossia, di indebita assunzione di nomi e denominazioni altrui quali segni distintivi), la connessa reintegrazione patrimoniale, nonche’ il risarcimento del danno ex articolo 2059 c.c., comprensivo di qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione dei diritti immateriali della personalita’, compatibile con l’assenza di fisicita’ e costituzionalmente protetti, quali sono il diritto al nome, all’identita’ ed all’immagine dell’ente (Cass. 15 novembre 2015, n. 23401; Cass. 11 agosto 2009, n. 18218; Cass. 26 febbraio 1981, n. 1185).
Questa Corte ha gia’ avuto modo di precisare che “il nome della persona, fisica e giuridica, equiparandosi a quest’ultima l’associazione non riconosciuta, rientra nella previsione generale dell’articolo 7 c.c., che individua nel nome il segno di identificazione del soggetto in quanto tale, indipendentemente dalla natura del soggetto e dunque dalla eventuale posizione del soggetto in un mercato, ma in virtu’ del solo principium individuationis” (Cass. 28 gennaio 1997, n. 832, in motivazione).
Invero, al di fuori dello svolgimento dell’attivita’ imprenditoriale, la tutela dei segni distintivi contro il pericolo di confondibilita’ mira, non gia’ alla garanzia di interessi economici, bensi’ a proteggere quel complesso di valori e finalita’ perseguite dal gruppo attraverso la propria partecipazione alla vita collettiva.
In relazione ai partiti politici, in particolare, la tutela dell’identita’, riassunta nella denominazione e nei segni distintivi, rinviene il suo fondamento costituzionale negli articoli 2, 21 e 49 Cost., ed esprime l’esigenza di evitare, proprio in relazione al dibattito pubblico, confusioni, quanto agli elementi che li caratterizzano come centri autonomi di espressione di idee e di azioni.
In siffatta cornice di riferimento, si osserva che la sentenza impugnata, innanzi tutto, non indica da quali emergenze probatorie abbia tratto il convincimento che il simbolo della (OMISSIS) rappresenti graficamente e con carattere di generalita’ il patrimonio ideologico della destra autoritaria e nazionalistica italiana, anziche’ il segno identificativo del (OMISSIS), poi assunto, secondo quanto emerge dalla sentenza di primo grado, nel simbolo di (OMISSIS).
Inoltre, dopo avere esattamente richiamato il principio per il quale la confondibilita’ va apprezzata in termini non analitici, ma globali e sintetici, valorizza del tutto isolatamente il significato non distintivo dell’aggettivo “sociale”, quando la doglianza dell’odierna ricorrente non si fonda sul mero uso dello stesso, quanto nell’impiego della denominazione (OMISSIS), evocata dall’acronimo (OMISSIS).
Del pari, apodittica e’ l’affermazione che l’aggettivo “Nuovo” che precede (OMISSIS) e l’aggiunta di “(OMISSIS)” siano idonei ad evitare quei profili di confondibilita’ lamentati in ricorso.
8. Con il sesto motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c., in relazione al mancato riconoscimento del subentro della Fondazione nella personalita’ di (OMISSIS).
Anche il sesto motivo e’ fondato.
Richiamati i rilievi svolti supra sub 4, a proposito dei requisiti della motivazione, anche in questo caso si osserva che la conclusione della Corte territoriale, quanto al fatto che (OMISSIS) non sarebbe subentrata nella personalita’ di (OMISSIS), non e’ argomentata in alcun modo con riferimento alle clausole contenute nell’articolo 5 dell’atto costitutivo, riprodotto in ricorso, da cui emerge, sul piano letterale, che alla Fondazione, tra l’altro, compete il diritto esclusivo all’utilizzazione anche economica degli emblemi, dei simboli, dei loghi, oltre che della denominazione (OMISSIS).
9. In conseguenza dell’accoglimento dei motivi dal secondo al sesto di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, che provvedera’ anche alla regolamentazione delle spese di lite.

P.Q.M.

accoglie i motivi dal secondo al sesto del ricorso; rigetta il primo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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