Confisca per equivalente in caso di sentenza di condanna per un reato tributario

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 26 marzo 2019, n. 13070.

La massima estrapolata:

La confisca per equivalente in caso di sentenza di condanna per un reato tributario deve essere sempre prevista, anche in assenza di indicazione dei beni da sottoporre a vincolo. Inoltre la richiesta dell’imputato affinché non compaiano in sentenza le proprie generalità e quelle della società da lui rappresentata, nel caso in cui la pronuncia venga riprodotta per finalità di informazione giuridica su riviste, deve essere depositata prima dell’udienza in cui viene definito il giudizio altrimenti è tardiva e quindi inammissibile.

Sentenza 26 marzo 2019, n. 13070

Data udienza 29 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1. Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Ancona;
2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 05/02/2018 della Corte d’appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso proposto da (OMISSIS) e per l’annullamento con rinvio limitatamente alla confisca, in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Ancona;
udito, per il ricorrente, l’avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso presentato nell’interesse dell’imputato ed il rigetto del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Ancona.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 5 febbraio 2018, la Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pesaro, all’esito di giudizio abbreviato, ha dichiarato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) per il reato continuato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, commesso negli anni 2010, 2011, e 2012, e lo ha condannato, ritenuto piu’ grave il fatto commesso nel 2011, concesse le circostanze attenuanti generiche e applicata la diminuente per il rito, alla pena complessiva, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione; ha respinto la richiesta del Pubblico ministero di disporre la confisca dei beni, anche per equivalente.
L’imputazione aveva originariamente ad oggetto le dichiarazioni dei redditi della societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.”, di cui era legale rappresentante (OMISSIS) , depositate il 26 settembre 2009 per il 2008, il 22 settembre 2010 per il 2009, il 20 settembre 2011 per il 2010 ed il 28 settembre 2012 per il 2011. L’accusa contestava a(l’imputato di aver annotato in contabilita’ ed incluso nella dichiarazioni dei redditi fatture provenienti dalla societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.” per operazioni inesistenti, relative all’acquisto di “bancali”, per importi pari, in totale, ad Euro 590.037,07 per l’anno 2008 (dichiarazione 2009), ad Euro 187.260,16 per l’anno 2009 (dichiarazione 2010), ad Euro 231.950,12 per l’anno 2010 (dichiarazione 2011), e ad Euro 69.775,61 per l’anno 2011 (dichiarazione 2012).
Il giudice di primo grado, in estrema sintesi, ha assolto l’imputato osservando che la societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.” aveva una struttura operativa, macchinari per il trasporto dei “bancali” e dipendenti, e che la natura di “societa’ cartiera” della ditta individuale ” (OMISSIS)”, presso la quale ufficialmente la ” (OMISSIS) s.r.l.” si riforniva, non dimostra automaticamente la fittizieta’ dei rapporti tra quest’ultima e la societa’ di cui era legale rappresentante l’imputato.
Il giudice di secondo grado, all’esito di rinnovazione istruttoria compiuta mediante l’assunzione di prove testimoniali, ha ritenuto la colpevolezza dell’imputato per le dichiarazioni presentate negli anni 2010, 2011, e 2012, e la prescrizione per la dichiarazione presentata nell’anno 2009, ravvisando l’esistenza di plurimi indizi da cui desumere la fondatezza delle accuse. Ha poi escluso l’esistenza dei presupposti per disporre la confisca, in ragione della mancata individuazione dei beni sui quali il provvedimento ablatorio sarebbe destinato ad operare.
2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona e l’avvocato (OMISSIS), quale difensore di fiducia dell’imputato.
L’avvocato (OMISSIS), inoltre, ha depositato motivi nuovi e memorie.
Dei motivi e delle memorie si procedera’ ad una sintesi nei limiti strettamente necessari per la motivazione, a norma dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
3. Il ricorso del Procuratore generale formula un unico motivo, con il quale denuncia violazione di legge, avendo riguardo alla statuizione di rigetto della richiesta di confisca.
Il ricorrente premette che, in giurisprudenza, sono ravvisabili due orientamenti rilevanti in materia. Secondo il primo, richiamato dalla sentenza impugnata, e sostenuto in particolare da Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Rv. 265844, possono essere aggrediti solo i beni presenti nella sfera di disponibilita’ dell’imputato, ma non anche i beni futuri. Secondo l’altro indirizzo, invece, la confisca per equivalente puo’ avere ad oggetto anche beni che entrino successivamente al provvedimento impositivo nel patrimonio dell’imputato; si citano, specificamente, Sez. 6, n. 33765 del 23/05/2015, Rv. 265012, e Sez. 2, n. 5801 del 19/11/2016, dep. 2017, Rv. 269367.
Nell’esprimere adesione a questo secondo orientamento, il ricorrente osserva che, se la confisca per equivalente puo’ avere ad oggetto anche beni futuri, essa deve poter avere ad oggetto anche beni individuati in sede di esecuzione, e che, comunque, la tesi contraria all’ammissibilita’ dell’ablazione di beni non ancora esistenti nel patrimonio dell’imputato frusterebbe la finalita’ dell’istituto, funzionale a privare il reo dell’illecito profitto e a consentire il recupero di questo da parte dell’erario.
4. Il ricorso originario presentato nell’interesse di (OMISSIS) e’ articolato in nove motivi, preceduti da un’ampia premessa.
In premessa, il ricorrente, tra l’altro, rappresenta che: a) i “bancali” sono tavole di legno grezze ed inchiodate che servono per evitare danni ai prodotti metallici in occasione del loro trasporto; b) la ditta dell’imputato ha sempre fatto uso di “bancali”; c) la tesi dell’imputato e’ stata accolta sia nel giudizio tributario, sia nel procedimento incidentale relativo all’applicazione del sequestro preventivo, e da parte tanto del Tribunale del riesame quanto della Corte di cassazione (Sez. 3, n. 18698 del 14/01/2016); d) la sentenza di primo grado, pervenuta ad esito assolutorio, e’ stata pronunciata sulla base degli stessi atti valutati nel giudizio tributario e nel giudizio incidentale sul sequestro preventivo.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 603 c.p.p., comma 3, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera a), avendo riguardo alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Si deduce che la sentenza impugnata ha illegittimamente disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e l’assunzione di prove dichiarative, nonostante la sentenza di primo grado non richiami alcuna prova dichiarativa, e l’appello del Pubblico ministero non censuri alcuna valutazione di prova dichiarativa.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’articolo 603 c.p.p., comma 3, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera a), avendo riguardo alla assenza di motivazione in ordine alla necessita’ di disporre la rinnovazione del dibattimento.
Si osserva che, secondo la giurisprudenza, e’ necessaria una specifica motivazione in ordine alla decisivita’ della prova da assumere quando il giudice di appello dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (si citano Sez. 7, n. 22878 del 28/04/2017, e Sez. 5, n. 8187 del 04/12/2017, dep. 2018).
4.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla ricostruzione del fatto, anche per travisamento della prova in particolare con riferimento alle dichiarazioni rese in udienza dai testimoni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e alla memoria depositata il 5 febbraio 2018.
Si deduce che la sentenza valorizza i dati costituiti dal mancato rinvenimento di giacenze di “bancali” nel 2013 e dall’incremento di acquisiti di tali beni nel periodo 2008/2011, allorche’ la ” (OMISSIS) s.r.l.” risulta aver avuto rapporti con la ” (OMISSIS) s.r.l.”, sebbene: a) questi acquisiti fossero cessati dal 2011, come la stessa decisione riconosce; b) l’incremento di acquisti del 2008 sia da attribuirsi all’ampliamento del volume d’affari determinato dalle Olimpiadi svoltesi a Torino in quell’anno, e il decremento dell’uso di bancali a partire dal 2011 sia stato spiegato dai testimoni con un diverso sistema di consegna ai clienti, caratterizzato dal cd. “reso”, ossia dalla richiesta alle ditte rifornite dalla ” (OMISSIS) s.r.l.” di restituire i “bancali”, al fine di contenere i costi ed i prezzi, secondo una strategia aziendale imposta dalla generale crisi economica.
4.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla ricostruzione del fatto, per contraddizione con le conclusioni raggiunte nella sentenza della Corte di cassazione, Sez. 3, n. 18698 del 2016, cit.
Si contesta che gli elementi di prova valutati dalla sentenza impugnata sono gli stessi sottoposti all’esame dei giudici del procedimento incidentale in tema di sequestro preventivo, e quindi anche della Corte di cassazione, la quale con sentenza Sez. 3, n. 18698 del 2016 ha dichiarato l’inammissibilita’ del ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Pesaro che, in sede di riesame, aveva revocato la misura cautelare reale disposta dal G.i.p..
4.5. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla ricostruzione del fatto, per travisamento delle dichiarazioni dell’imputato.
Si assume che la sentenza impugnata attribuisce alle memorie prodotte all’udienza di discussione del 5 febbraio 2018 un significato diverso da quello reale: invero, nelle memorie non si sostiene che il materiale ceduto dalla ” (OMISSIS) s.r.l.” alla ” (OMISSIS) s.r.l.” fosse sicuramente proveniente da terzi, i quali non fatturavano le forniture, ma solo che questa ipotesi e’ plausibile come quella secondo cui era la ” (OMISSIS) s.r.l.” a produrre direttamente la merce. Si aggiunge che l’effettuazione di operazioni in “nero” non costituisce un problema per “societa’ cartiere”.
4.6. Con il sesto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla ricostruzione del fatto, per travisamento della prova in particolare con riferimento alle dichiarazioni rese in udienza dai testimoni (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Si deduce che la sentenza impugnata ha frainteso le dichiarazioni dei testi, quando ha ritenuto che le stesse escludono una capacita’ produttiva della ditta ” (OMISSIS) s.r.l.” tale da assicurare le forniture indicate nelle fatture contabilizzate da ” (OMISSIS) s.r.l.”, in quanto ha omesso di considerare che: a) la teste (OMISSIS) lavorava per la ” (OMISSIS) s.r.l.”, ma in un settore diverso; b) i testi (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno lavorato per la ” (OMISSIS) s.r.l.” per non piu’ di quattro mesi; c) i testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno confermato l’esistenza di un’organizzazione produttiva della ” (OMISSIS) s.r.l.”, e l’approvvigionamento continuo di “bancali” presso di essa da parte della ” (OMISSIS) s.r.l.”.
4.7. Con il settimo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla ricostruzione del fatto, per travisamento della prova in particolare con riferimento ai documenti relativi all’organizzazione della ” (OMISSIS) s.r.l.” ed alle dichiarazioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Si osserva che la sentenza impugnata ha omesso di considerare che: a) secondo le dichiarazioni di (OMISSIS), i “bancali” erano personalmente consegnati alla ” (OMISSIS) s.r.l.” da (OMISSIS); b) secondo le dichiarazioni del magazziniere (OMISSIS) e dell’addetto all’officina (OMISSIS), ma anche di clienti e di trasportatori nominativamente indicati, la ” (OMISSIS) s.r.l.” utilizzava “bancali” per effettuare le proprie consegne; c) secondo quanto indicato dalla stessa Guardia di Finanza, la ” (OMISSIS) s.r.l.”, a differenza della ” (OMISSIS)”, aveva una struttura operativa, con sede, dipendenti e macchinari per il trasporto dei “bancali”.
4.8. Con l’ottavo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla ricostruzione del fatto, per omessa valutazione delle testimonianze in riferimento alla effettivita’ delle consegne di “bancali” effettuate alla ” (OMISSIS) s.r.l.”.
Si censura che la sentenza impugnata ha omesso di considerare le numerose testimonianze di dipendenti e fornitori da cui si evince l’assoluta necessita’ per la ” (OMISSIS) s.r.l.” di disporre di “bancali” e l’impossibilita’ per la stessa, in quanto azienda metalmeccanica, di produrli.
4.9. Con il nono motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo alla ricostruzione del fatto, per contraddittorieta’ della motivazione con gli atti del procedimento, da essa specificamente richiamati.
Si contesta che l’indicazione relativa alle giacenze anteriori al 2008 e’ fondata esclusivamente sul dato esistente alla data del 31 dicembre 2007, attestante la presenza di 287 “bancali”, ma senza considerare le operazioni intermedie nel corso dell’anno 2007, non individuate in alcun modo, e, quindi, senza poter precisare l’esatto numero di “bancali” utilizzati in quell’anno, e che anche nell’informativa della Guardia di Finanza del 15 gennaio 2015 si riconosce che, “nell’anno 2014, la (OMISSIS) s.r.l. non si rifornisce di bancali, ma utilizza con la procedura “dell’imballaggio a rendere” quelli acquistati negli anni precedenti, diversamente da quanto accadeva fino al 2011″.
5. La memoria datata 25 giugno 2018, ed allegata al ricorso, oltre a richiamare i motivi indicati in tale atto di impugnazione, contesta le censure formulate nel ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Ancona in relazione al punto della confisca.
A tal proposito, si cita a sostegno della tesi della inammissibilita’ della confisca di beni futuri anche Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013, D’Addario, Rv. 256164, la quale ha osservato che il sequestro funzionale alla confisca per equivalente ha natura prettamente sanzionatoria e non e’ suscettibile di proiezione per il futuro.
6. La memoria datata 3 gennaio 2019 chiede l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, stante l’esistenza del contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione dell’ammissibilita’ della confisca in termini generici, senza espressa indicazione dei beni.
7. In data 11 gennaio 2019, sono stati depositati due motivi nuovi.
7.1. Con il primo dei due motivi nuovi, rubricato come decimo, si denuncia vizio di motivazione, avendo riguardo alla ricostruzione del fatto, per travisamento della memoria dell’imputato e delle prove testimoniali.
Si censura in particolare: a) il travisamento della dichiarazione contenuta nella memoria depositata il 5 febbraio 2018, gia’ dedotto con il quinto motivo del ricorso originario; b) il travisamento delle dichiarazioni testimoniali di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dipendenti della ” (OMISSIS) s.r.l.”, sia sulla necessita’ per la medesima societa’ di procurarsi “bancali”, in ragione delle consegne da effettuare e della mancata produzione degli stessi da parte dell’azienda, sia sulla presenza di “bancali” presso la sede della stessa; c) il travisamento per omissione delle dichiarazioni testimoniali di (OMISSIS), in ordine alla mancanza di conoscenza, da parte degli amministratori della ” (OMISSIS) s.r.l.”, dell’organizzazione della ” (OMISSIS) s.r.l.”, anche per la regolarita’ delle forniture, effettuate personalmente da (OMISSIS), sia sul numero di “bancali” presenti in azienda al momento dell’accesso della Guardia di Finanza; d) il travisamento delle dichiarazioni testimoniali di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dipendenti della ” (OMISSIS) s.r.l.”, nelle quali si afferma la produzione e comunque la presenza di bancali presso l’azienda, e si riferisce ad (OMISSIS) l’attivita’ di trasporto e di consegna degli stessi ai clienti.
Si allegano le trascrizioni dei verbali di udienza davanti alla Corte d’appello di Ancona del 23 ottobre 2017, nella parte relativa alle deposizioni delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS), dell’11 dicembre 2017, nella parte relativa alle deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e del 5 febbraio 2018, nella parte relativa alle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS).
7.2. Con il secondo dei due motivi nuovi, rubricato come undicesimo, si denuncia vizio di motivazione, avendo riguardo alla ricostruzione del fatto, per travisamento della memoria dell’imputato e delle prove testimoniali.
Si censura in particolare, e nuovamente, il fraintendimento della memoria difensiva del 5 febbraio 2018, e la mancata considerazione delle ragioni determinanti il forte decremento dell’acquisto dei “bancali” a partire dal 2011, e, ancor piu’ nel 2012, nel 2013, nel 2014 e nel 2015.
8. La memoria finale riepiloga gli accadimenti processuali, in particolare trascrivendo parte della sentenza di primo grado, sintetizzando i motivi di appello del Pubblico ministero, e trascrivendo integralmente la sentenza di secondo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto dall’imputato (OMISSIS) e’ complessivamente infondato, ma, in quanto non inammissibile, impone di rilevare la prescrizione con riferimento al reato commesso nel 2010, mediante deposito della dichiarazione ai fini delle imposte per l’anno 2009 in data 22 settembre 2010, e, conseguentemente, di rideterminare la pena complessiva.
Il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Ancona, invece, e’ fondato, nei limiti che si preciseranno, ed impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in relazione al profilo oggetto di censura, concernente l’omessa statuizione della confisca.
2. Per motivi di ordine logico-espositivo, si procedera’ ad esaminare dapprima le questioni poste nel ricorso di (OMISSIS) , e, poi, la questione dedotta dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Ancona.
3. Infondate sono le censure esposte nei primi due motivi del ricorso di (OMISSIS), le quali contestano la decisione della Corte d’appello di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ed all’assunzione di prove dichiarative, osservando sia che la sentenza di primo grado non richiama alcuna prova dichiarativa e l’appello del Pubblico ministero non censura alcuna valutazione di prova dichiarativa, sia che la rinnovazione e’ stata disposta senza specifica motivazione.
3.1. Due sono le questioni da esaminare: la prima concerne i limiti dei poteri istruttori del giudice di appello in un processo celebrato nelle forme del rito abbreviato; la seconda e’ relativa all’obbligo di motivazione del giudice di appello che dispone di ufficio la rinnovazione istruttoria.
3.1.1. La prima questione trova soluzione nel dettato di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 3, applicabile, come evidenziato tra l’altro gia’ da Corte Cost., sent. n. 470 del 1991, anche in sede di giudizio abbreviato.
Secondo questa disposizione, “la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e’ disposta di ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria”.
La disposizione appena indicata – ben distinta, anche topograficamente, da quella dettata dal successivo comma 3-bis, in forza del quale “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone rinnovazione dell’istruzione dibattimentale” – prevede, quindi, in linea generale, il potere del giudice di appello di disporre la rinnovazione istruttoria quando cio’ e’ da esso ritenuto assolutamente necessario.
In tale prospettiva, del resto, si muove la consolidata giurisprudenza di legittimita’. In particolare, secondo una decisione, in tema di giudizio abbreviato, il potere del giudice di appello di disporre d’ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione non e’ soggetto a limiti temporali e puo’ intervenire in qualunque momento e fase della procedura, purche’ sia garantito il diritto al contraddittorio (Sez. 3, n. 4186 del 21/09/2017, dep. 2018, I., Rv. 272459-01, in fattispecie relativa all’esame in appello di persona offesa le cui dichiarazioni, prima del giudizio di gravame, non erano state mai assunte nel contraddittorio delle parti). Altra pronuncia ha affermato che, in tema di giudizio abbreviato, al giudice di appello e’ consentito, a differenza che al giudice di primo grado, disporre d’ufficio tutti i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione, ivi compresi l’esame dell’imputato, il suo confronto con un testimone e l’espletamento di perizia, potendo le parti solo sollecitare i poteri suppletivi di iniziativa probatoria che spettano al giudice di appello (Sez. 5, n. 11908 del 23/11/2015, dep. 2016, Rallo, Rv. 266158-01). Secondo un ulteriore precedente, la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato non solo non impedisce al giudice di appello di disporre d’ufficio, a norma dell’articolo 603 c.p.p., comma 3, la rinnovazione dell’istruzione ritenuta assolutamente necessaria, ma, in particolare, non preclude allo stesso il potere di ordinare il riesame dei testi gia’ escussi dal giudice di primo grado (Sez. 1, n. 20486 del 16/04/2013, Cimpoesu, Rv. 256165-01).
I soli limiti che vengono individuati dalla giurisprudenza all’iniziativa istruttoria officiosa del giudice di appello nel rito abbreviato sono quello, espressamente fissato dal legislatore, dell’assoluta necessita’ e quello, di matrice sistematica, del divieto di esplorare temi istruttori nuovi rispetto a quelli risultanti dagli atti (cosi’ anche Sez. 3, n. 4186 del 2018, cit., non massimata sul punto, la quale si ricollega al principio assolutamente consolidato, enunciato, tra le tantissime, da Sez. 4, n. 34702 del 20/05/2015, Giorgi, Rv. 264407-01, e da Sez. 3, n. 20237 del 07/02/2014, Casalati, Rv. 259644-01, secondo cui, in tema di giudizio abbreviato, l’integrazione probatoria disposta dal giudice ai sensi dell’articolo 441 c.p.p., comma 5, puo’ riguardare anche la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilita’ all’imputato, atteso che gli unici limiti a cui e’ soggetto l’esercizio del relativo potere sono costituiti dalla necessita’ ai fini della decisione degli elementi di prova di cui viene ordinata l’assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori estranei allo stato degli atti formato dalle parti).
3.1.2. Posto il riconoscimento di ampi poteri istruttori officiosi del giudice di appello, puo’ esaminarsi la seconda questione, che riguarda l’obbligo di motivazione relativo al loro esercizio.
Come evidenziato dal ricorrente, secondo numerose decisioni di legittimita’, il giudice di appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, se ritenga di respingerla, puo’ anche motivare implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilita’ del reo (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, Coppola, Rv. 259893-01). Si tratta di enunciazioni formulate, in gran parte, in relazione a fattispecie in cui la Corte di cassazione ha concluso per l’inammissibilita’ o il rigetto di ricorsi in cui, in concreto, si contestava il rigetto dell’istanza di rinnovazione istruttoria. E’ possibile registrare, pero’, una recente pronuncia di annullamento con rinvio a fronte dell’avvenuto esercizio di poteri istruttori, fondata sul principio secondo cui il giudice d’appello, quando dispone la rinnovazione del dibattimento ha l’obbligo di motivare espressamente sulle ragioni che la impongono, sia che provveda in seguito alla sollecitazione di una parte, ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., comma 1, sia che la decisione sia presa d’ufficio, ai sensi del comma 3 del citato articolo; nel primo caso, la motivazione deve avere ad oggetto l’impossibilita’ di decidere allo stato degli atti, nel secondo l’assoluta necessarieta’ della rinnovazione (Sez. 5, n. 23580 del 19/02/2018, Campion, Rv. 273326-01).
Ad avviso del Collegio, l’orientamento indicato richiede una precisazione: la necessita’ di una motivazione esplicita deve essere considerata in funzione della tutela dell’effettivita’ del diritto di difesa e dell’esigenza di evitare scelte arbitrarie o comunque “incomprensibili” da parte del giudice.
Non a caso, in giurisprudenza, e’ stata ritenuta non in violazione di legge la motivazione di una Corte di appello che, a fronte di sentenza di condanna in primo grado, nel disporre l’assunzione delle dichiarazioni della persona offesa, mai esaminata in contraddittorio, si era limitata a segnalare l’esigenza di procedere all’esame testimoniale per essere “alcuni profili” del contributo narrativo della vittima “meritevoli di approfondimento”, osservandosi che queste indicazioni nell’ordinanza istruttoria richiamavano implicitamente quanto devoluto in seconda cura con gli atti di gravame (cosi’ la gia’ citata Sez. 3, n. 4186 del 21/09/2017, dep. 2018, I., non massimata sul punto).
In questa prospettiva, la decisione del giudice di secondo grado che, a fronte di un appello del Pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, dispone la rinnovazione istruttoria con riferimento a fonti di prova dichiarative gia’ presenti nell’incarto processuale perche’ acquisite nel corso delle indagini preliminari, relative ad indizi gia’ espressamente apprezzati in prima cura come rilevanti ma non sufficienti a sostenere la prospettazione accusatoria, e delle quali il Pubblico ministero ha denunciato espressamente nell’atto di gravame l’omessa valutazione, non puo’ dirsi ne’ relativa ai temi di prova estranei allo stato degli atti, ne’ “a sorpresa”, ne’, in alcun caso, arbitraria o irragionevole.
3.2. Tenendo conto di questi principi, immune da vizi deve ritenersi la decisione della Corte d’appello di procedere alla rinnovazione del dibattimento e di assumere in contraddittorio le prove dichiarative.
Nella specie, infatti, la sentenza di primo grado riconosce che esistono “indici di sospetto” in ordine alla effettiva entita’ delle forniture eseguite dalla ” (OMISSIS) s.r.l.” alla ” (OMISSIS) s.r.l.”, e che questi sono costituiti: “a) dal numero elevato di bancali acquistato negli anni dalla ” (OMISSIS)” sproporzionato sia rispetto al volume d’affari e alle presunte necessita’ di tale societa’, sia rispetto alla capacita’ produttiva della ” (OMISSIS)”; b) dall’entita’ dei costi sostenuti dalla ” (OMISSIS)” incongrui rispetto al volume d’affari della stessa societa’ (…)”. L’atto di appello del Pubblico ministero contesta espressamente, tra l’altro, la mancata valutazione della inesistenza di una struttura operativa della ” (OMISSIS) s.r.l.” per la produzione di “bancali”, nonche’ l’omessa valutazione delle dichiarazioni dei dipendenti della medesima ” (OMISSIS) s.r.l.”. La sentenza di secondo grado, nel dare atto delle deposizioni acquisite in contraddittorio nel giudizio di appello, segnala come le medesime persone erano state esaminate nella fase delle indagini preliminari e riporta il contenuto delle dichiarazioni rese in udienza dai testi addotti dalla difesa; la stessa, inoltre, utilizza il materiale istruttorio in questione proprio per approfondire il significato ed il “peso” di quegli elementi definiti “di sospetto” nella sentenza assolutoria di primo grado.
Di conseguenza, in considerazione delle attivita’ istruttorie specificamente disposte e del complessivo quadro processuale di riferimento (in particolare: contenuto della motivazione della sentenza di primo grado; contenuto dell’atto di appello; esistenza in atti di dichiarazioni rese in fase di indagine dai testi escussi in contraddittorio), la motivazione adottata, sebbene limitata al rilievo dell’assoluta necessita’ di procedere alla rinnovazione nei termini indicati, deve ritenersi dotata del contenuto minimo necessario, non risultando la decisione ne’ arbitraria o ingiustificata, ne’ funzionale ad attivita’ “esplorative” o comunque “a sorpresa”.
4. Complessivamente infondate sono anche le censure esposte nei motivi dal terzo al nono del ricorso di (OMISSIS) , nonche’ nei motivi nuovi presentati nell’interesse del medesimo, le quali contestano il travisamento della prova e comunque il vizio di motivazione, avendo riguardo al significato attribuito agli elementi istruttori richiamati nella sentenza impugnata, alle inferenze indiziarie desunte, ed alla contraddittorieta’ con le decisioni assunte in sede cautelare e nel giudizio tributario.
4.1. L’esame delle riferite censure pone, in linea di principio, tre questioni di carattere generale: quella concernente la nozione di “travisamento della prova” deducibile con ricorso per cassazione; quella sull’ambito applicativo della manifesta illogicita’; quella relativa ai vincoli nascenti da decisioni di altri giudici.
4.1.1. Per quanto attiene alla nozione di “travisamento della prova”, occorre rilevare, in primo luogo, che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, e che il Collegio condivide, la stessa ricorre nel caso dell’assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilita’” (cosi’, tra le tante: Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018, Piccirillo Costabile, in attesa di deposito; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406-01; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702-01).
In secondo luogo, va evidenziato che piu’ decisioni, altrettanto condivisibilmente, hanno affermato che il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purche’ specificamente indicati dal ricorrente, e’ ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilita’ della valutazione nel merito del risultato probatorio (cosi’ Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774-01, e Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207-01).
4.1.2. Con riferimento all’ambito applicativo della manifesta illogicita’, e’ utile precisare che la verifica del vizio di motivazione in sede di legittimita’ puo’ attenere sia alla cd. giustificazione interna, concernente la conducenza logica dei nessi tra le premesse di fatto e le conclusioni, sia alla cd. giustificazione esterna, relativa alla plausibilita’ razionale dei criteri di valutazione utilizzati a tal fine, ma trova un limite preciso: i giudizi sulla congruenza tra premesse e conclusioni e sulla scelta dei parametri di apprezzamento impiegati dal giudice di merito debbono essere verificati in termini di “accettabilita’ razionale”.
Invero, la Corte di cassazione, come osserva anche la Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale, deve poter censurare “motivazioni in cui si traggono conclusioni prive di giustificazione o incompatibili con le premesse, ovvero si adottano massime di esperienza contrastanti con “il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento””; il giudice di legittimita’, pero’, non puo’ certo sostituire i criteri di valutazione e le massime di esperienza utilizzati dal giudice di merito, ne’, secondo quanto si rileva espressamente in dottrina, puo’ pretendere di riformulare il giudizio di verita’ delle asserzioni poste a fondamento della decisione.
In questo senso si esprime l’orientamento consolidato della giurisprudenza. In particolare, secondo un precedente, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di illogicita’ manifesta della motivazione della sentenza consegue alla violazione di principi della logica formale diversi dalla contraddittorieta’ o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’articolo 192 c.p.p. ovvero alla invalidita’ o alla scorrettezza dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e le conclusioni (Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, dep. 2017, Sanfilippo, Rv. 271636-01). Altra pronuncia, poi, afferma che ricorre il vizio della mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza se la stessa risulti inadeguata nel senso di non consentire l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a cio’ che e’ stato oggetto di prova ovvero di impedire, per la sua intrinseca oscurita’ od incongruenza, il controllo sull’affidabilita’ dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Sez. 6, 7651 del 14/01/2010, Mannino, Rv. 246172-01).
4.1.3. Relativamente ai vincoli nascenti da decisioni di altri giudici, e’ utile esaminare in modo distinto la questione dei rapporti intercorrenti tra la decisione del giudice tributario e la decisione del giudice penale, e quella dei rapporti intercorrenti tra la decisione assunta in sede cautelare e quella da adottare in sede di giudizio di merito.
Con riferimento ai rapporti intercorrenti tra giudizio penale e giudizio tributario, costituisce principio consolidato quello dell’autonomia dei due procedimenti, anche in caso di decisione passate in giudicato, in ragione del dettato del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 20, ed in coerenza, si puo’ aggiungere, con le indicazioni provenienti dagli articoli 2, 3 e 479 c.p.p.. Invero, il principio e’ stato affermato essenzialmente in relazione al problema dell’accertamento del superamento della soglia di punibilita’ (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280-01). Non mancano, pero’, affermazioni di carattere piu’ generale, come ad esempio con riguardo al problema dell’accertamento dell’elusione fiscale (cfr. Sez. 2, n. 7739 del 22/11/2011, dep. 2012, Gabbana, spec. §§ 5.3, e 5.4., massimata per altro), ovvero enunciazioni del principio dirette ad affermare la configurabilita’ del reato tributario nonostante l’assenza di un positivo riconoscimento della pretesa in sede amministrativa o di giurisdizione tributaria (Sez. 3, n. 35786 del 15/02/2017, Furneri, Rv. 270728).
Per quanto concerne i rapporti tra decisioni assunte in sede cautelare e decisioni in sede di merito, e’ sufficiente rilevare che la Corte costituzionale, con sentenza n. 121 del 2009, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 405 c.p.p., comma 1-bis, secondo il quale il pubblico ministero, al termine delle indagini, deve formulare richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si e’ pronunciata per la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e non sono stati acquisiti, successivamente, altri elementi a carico dell’indagato. In particolare, merita di essere segnalato che, secondo i Giudici della Legge, la soluzione accolta dal legislatore si presentava come irragionevole per plurime ragioni. In primo luogo, si e’ segnalato che l’irragionevolezza discende dalla diversita’ tra le regole che presiedono alla cognizione cautelare – in cui si effettua un giudizio prognostico di tipo statico, basato su elementi gia’ acquisiti dal pubblico ministero e funzionali alla soddisfazione delle esigenze cautelari in atto e quelle che legittimano l’azione penale, ove la decisione si fonda su una valutazione di utilita’ del passaggio alla fase processuale che e’ di tipo dinamico e tiene conto anche di cio’ che puo’ ragionevolmente acquisirsi nel dibattimento. In secondo luogo, si e’ evidenziato che la norma trascura la diversita’ della base probatoria delle due valutazioni a confronto, poiche’, se il pubblico ministero fruisce del potere di selezionare gli elementi da sottoporre al giudice della cautela, le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale sono, invece, prese sulla base di tutto il materiale investigativo. In terzo luogo, si e’ rappresentato che la Corte di cassazione, quando si pronuncia in materia cautelare, non accerta in modo diretto la mancanza del fumus commissi delicti ma si limita a controllare la motivazione del provvedimento impugnato, con la conseguenza che l’eventuale annullamento di quest’ultimo non svela automaticamente l’inesistenza dei gravi indizi.
In conclusione, pertanto, puo’ affermarsi che nessun vincolo cogente discende per il giudice di merito, ai fini dell’accertamento della responsabilita’ di un imputato per un reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, da decisioni del giudice tributario o da pronunce emesse in sede cautelare, anche se pronunciate dalla Corte di cassazione.
Ovviamente, tale principio non toglie che l’affermazione di responsabilita’ debba essere necessariamente fondata su proposizioni argomentative immuni da vizi sotto il profilo logico e giuridico.
4.2. La sentenza impugnata ha ricostruito i fatti e dichiarato la colpevolezza del ricorrente sulla base di un ragionamento indiziario, all’esito di una rivalutazione dell’intero compendio istruttorio e dell’assunzione in contraddittorio delle dichiarazioni dei dipendenti della ” (OMISSIS) s.r.l.”, facente capo all’imputato, e della ” (OMISSIS) s.r.l.”, ossia la ditta che aveva emesso le fatture contestate come relative ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Punto di partenza della ricostruzione operata dalla Corte d’appello e’ il dato risultante dall’accertamento compiuto dalla Guardia di Finanza in ordine agli acquisti di “bancali” effettuati dalla ” (OMISSIS) s.r.l.” nel corso degli anni: si evidenzia che la ditta indicata risulta aver acquistato n. 377 “bancali nell’anno 2005, n. 387 “bancali” nell’anno 2006 e n. 287 “bancali” nell’anno 2007, per poi iniziare i rapporti con la ” (OMISSIS) s.r.l.” e comprare da questa n. 7.014 “bancali” nell’anno 2008, n. 7.257 “bancali” nell’anno 2009, n. 9.855 “bancali” nell’anno 2010 e n. 9.796 “bancali” nell’anno 2011, e, quindi, ritornare ad acquisti molto piu’ modesti. La sentenza impugnata, poi, rileva che: a) i costi esposti dalla ” (OMISSIS) s.r.l.” per gli acquisti di “bancali” erano incongrui rispetto ai ricavi dichiarati dalla medesima societa’; b) non sono risultate giacenze di magazzino di “bancali”, in occasione dell’accesso della Guardia di Finanza, tali da giustificare le quantita’ esposte nelle fatture in contestazione, pur a voler considerare il sistema del cd. “reso”; c) i dipendenti della ” (OMISSIS) s.r.l.” (si indicano (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) hanno complessivamente escluso che la ditta per la quale lavoravano potesse produrre “bancali” nella quantita’ esposta nelle fatture in contestazione, ed anzi, secondo le dichiarazioni di uno di essi (la teste (OMISSIS)), i “bancali” erano preparati tre o quattro volte l’anno; d) i testi indicati dalla difesa (si indicano (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) hanno riferito la presenza nei magazzini della ” (OMISSIS) s.r.l.” di un centinaio di “bancali”; e) la tesi prospettata dalla difesa, secondo cui la ” (OMISSIS) s.r.l.” poteva essersi procurata “bancali” in nero da rivendere alla ” (OMISSIS) s.r.l.”, e’ del tutto inattendibile sia perche’ implica la registrazione di tutti i ricavi e la mancata contabilizzazione di tutti i costi, sia perche’ non risultano tracce di pagamenti effettati da detta societa’ per acquistare da terzi, nonostante l’imponenza delle transazioni; f) l’imputato non ha fornito alcuna spiegazione dell’impiego o della sparizione di un numero cosi’ elevato di “bancali”.
La sentenza impugnata, ancora, ha dato spiegazione della non ostativita’ alla decisione di condanna sia dell’esito positivo del giudizio tributario per la ” (OMISSIS) s.r.l.”, sia delle decisioni favorevoli all’imputato nella sede cautelare. Da un lato, infatti, ha rappresentato che le fonti di prova utilizzabili nel giudizio tributario sono diverse da quelle cui si puo’ ricorrere nel giudizio penale, ed ha poi richiamato le plurime assunzioni di prova testimoniali effettuate nel giudizio di appello. Dall’altro, ha evidenziato che le decisioni emesse in sede i procedimento penale cautelare avevano valorizzato vizi di motivazione rilevabili.
4.3. Le conclusioni della sentenza impugnata debbono ritenersi immuni da vizi logici e giuridici.
In effetti, in considerazione dei principi giuridici precedentemente indicati e degli elementi di prova esposti dalla Corte d’appello, le censure formulate dal ricorrente nel ricorso e nei motivi nuovi non riescono ad evidenziare alcun travisamento della prova, ne’ omissioni, manifeste illogicita’ o contraddittorieta’ nella motivazione.
La sentenza impugnata non solo spiega circostanziatamente perche’ ritiene non vincolanti le decisioni del giudice tributario e le decisioni emesse in sede cautelare, ma svolge un discorso attento a tutti i profili fattuali rilevanti, quali risultano anche alla luce delle doglianze del ricorrente. In particolare, le critiche proposte con il ricorso e con i motivi nuovi, indicate analiticamente nel “ritenuto in fatto” della presente decisione, non si confrontano compiutamente con l’intero discorso giustificativo della sentenza impugnata e, piuttosto che evidenziare travisamenti di singole prove, o lacune o aporie motivazionali, tendono a proporre una diversa interpretazione delle risultanze istruttorie non consentita in questa sede.
5. Fondate, nei limiti di seguito presati, sono le censure formulate nel ricorso del Procuratore generale, il quale denuncia l’illegittimita’ del rigetto della richiesta di confisca per equivalente, giustificato con l’inammissibilita’ di un provvedimento ablatorio senza espressa indicazione dei beni da attingere.
5.1. E’ utile premettere che la confisca di cui si chiede l’applicazione ha ad oggetto il profitto del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, ed ha natura obbligatoria, sia secondo quanto prevedeva il L. 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 143, applicabile alle vicende in esame per ragioni di ordine temporale, sia secondo quanto dispone il vigente Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis, inserito dal Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 158, articolo 10.
Invero, l’articolo 1, comma 143, cit. recita: “143. Nei casi di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter c.p.”. Secondo il comma 1 di questa disposizione appena citata, in caso di condanna o di applicazione pena ex articolo 444 c.p.p. per i reati da esso previsti, “e’ sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non e’ possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilita’, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”; secondo il comma 3 del medesimo articolo 322-ter c.p., nelle ipotesi appena indicate, “il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato”.
5.2. In forza del dato normativo richiamato, nel caso di confisca avente ad oggetto il profitto del reato, la misura ablatoria per equivalente deve essere disposta solo quando non e’ possibile quella diretta.
In questo senso, del resto, univoche risultano le indicazioni della giurisprudenza di legittimita’, secondo la quale, in caso di reati tributari commessi dall’amministratore di una societa’, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente puo’ essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato (cfr., per tutte, Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018, Rubino, Rv. 272238-01, e Sez. 3, n. 43816 del 01/12/2016, dep. 2017, Di Florio, Rv. 271254-01, esplicative di indicazioni desumibili anche da Sez. U, n. 10651 del 30/01/2014, Gubert).
5.3. Confisca diretta, secondo l’insegnamento giurisprudenziale ormai ampiamente consolidato, e’ la confisca di somme di denaro.
In relazione alla confisca avente ad oggetto denaro, res per sua natura fungibile, poi, non sembra porsi alcun problema concernente la preventiva individuazione dei beni da sottoporre ad ablazione.
Invero, nel principio di diritto enunciato formalmente dalle Sezioni Unite nella sentenza Lucci si legge: “Qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilita’ deve essere qualificata come confisca diretta; in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato” (cosi’ Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, § 17).
Le Sezioni Unite, nell’illustrare le ragioni addotte a fondamento di questa conclusione, dopo aver richiamato espressamente Sez. U, n. 10651 del 30/01/2014, Gubert, come precedente cui si intende dare sostanziale continuita’, in particolare, hanno evidenziato: “Ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilita’ economiche dell’autore del fatto, ma perde – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilita’ fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d’essere – ne’ sul piano economico ne’ su quello giuridico – la necessita’ di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: cio’ che rileva e’ che le disponibilita’ monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo. Soltanto, quindi, nella ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro sorge la eventualita’ di far luogo ad una confisca per equivalente degli altri beni di cui disponga l’imputato e per un valore corrispondente a quello del prezzo o profitto del reato, giacche’, in tal caso, si avrebbe quella necessaria novazione oggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore (l’oggetto della confisca diretta non puo’ essere appreso e si legittima, cosi’, l’ablazione di altro bene di pari valore).” (§ 16.).
5.4. Di conseguenza, nel caso di confisca del profitto di un reato tributario, costituito da un valore economico espresso in termini monetari, il problema della individuazione dei beni da sottoporre ad ablazione a titolo di confisca per equivalente, ammissibile solo nei confronti dell’imputato e non anche a carico della societa’ o dell’ente, sorge solo quando non e’ rinvenuto denaro nella disponibilita’ di questi ultimi.
Cio’ posto, occorre rilevare che, in giurisprudenza, risulta ormai ampiamente prevalente l’orientamento secondo il quale, in tema di confisca per equivalente, il giudice della cognizione, nei limiti del valore corrispondente al profitto del reato, puo’ emettere il provvedimento ablatorio anche in mancanza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro e senza necessita’ della individuazione specifica dei beni da apprendere, avendo il destinatario la facolta’ di ricorrere al giudice dell’esecuzione qualora dovesse ritenersi pregiudicato dai criteri adottati dal P.M. nella selezione dei cespiti da confiscare (cosi’ Sez. 3, n. 20776 del 06/03/2014, Hong, Rv. 259661-01, concernente proprio fattispecie relativa a reati tributari, nonche’ Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014, dep. 2015, Giallombardo, Rv. 262893-01; tra le piu’ recenti non massimate, v. Sez. 3, n. 53627 del 20/06/2018, Malavolta, e Sez. 3, n. 40441 del 17/01/2018, Catini). Si e’ pure precisato che l’unica sentenza indicata come precedente difforme dall’Ufficio del massimario, Sez. 3, n. 31742 del 28/03/2013, Senzacqua, Rv. 256734-01, riguarda, in realta’, la diversa ipotesi in cui la motivazione era stata ritenuta insufficiente con riferimento all’entita’ del compendio da sottoporre a confisca, e, quindi, in relazione ad un problema di cognizione e non di esecuzione (cfr., per questi rilievi, Sez. 3, n. 47022 del 19/09/2018, Bersini, non massimata).
L’orientamento indicato risulta affermato, in particolare, “sul fondamentale rilievo che la confisca puo’ essere ordinata anche in assenza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro, purche’ sussistano norme che la consentano o la impongano, a prescindere dalla eventualita’ che, per l’assenza di precedente tempestiva cautela reale, il provvedimento ablativo della proprieta’ non riesca a conseguire gli effetti concreti che gli sono propri (Sez. 3, 04/02/20 13, n. 17066, Volpe, Rv. 255113)” (cosi’ Sez. 3, n. 20776 del 2014, Hong, cit.). Lo stesso, ad avviso del Collegio, trova sostegno anche nel dato letterale delle disposizioni in materia. Invero, l’articolo 322-ter c.p., comma 3, disposizione interamente richiamata dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, prevede che i beni, quando non costituenti direttamente il prezzo o il profitto del reato, debbano essere individuati “in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato”; sostanzialmente corrispondente e’ il dettato del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis. L’indicazione testuale, in altri termini, fa riferimento ai beni da sottoporre ad ablazione non in ragione dalle loro specifica identita’, bensi’ quali entita’ espressive di un valore patrimoniale, come tali perfettamente “fungibili”.
5.5. In considerazione di quanto precedentemente rappresentato, e di quanto si evince dalla sentenza impugnata, il problema dell’ammissibilita’ della confisca di beni futuri non puo’ costituire valido argomento per negare l’applicabilita’ della confisca, anche per equivalente, in relazione al profitto di un reato tributario.
Effettivamente, e’ corretta l’osservazione della difesa dell’imputato, secondo cui e’ dato rilevare indicazioni giurisprudenziali contrastanti in tema di confisca per equivalente di beni futuri (per la soluzione affermativa Sez. 2, n. 5801 del 09/11/2016, dep. 2017, Romano, Rv. 269367-01, e Sez. 6, 33765 del 23/07/2015, Chisso, Rv. 265012-01; per la soluzione contraria, Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Rv. 265844-01, e Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013, D’Addario, Rv. 256164-01).
Tuttavia, la confisca del profitto dei reati tributari – ritenuta applicabile, in quanto obbligatoria, anche dal giudice dell’esecuzione (per l’applicabilita’ della confisca per equivalente in sede di esecuzione cfr. Sez. 1, n. 23716 del 15/12/2016, dep. 2017, Soddu, Rv. 270112-01), nonche’ in sede di correzione di errore materiale (Sez. 3, n. 39081 del 17/05/2017, De Giudice, Rv. 270793-01, proprio in materia di reati tributari) – dovra’ essere eseguita, innanzitutto, in via diretta nei confronti dell’ente beneficiario delle condotte illecite, in relazione al denaro presso di questo rinvenibile, e, poi, per equivalente, sui beni dell’imputato. Solo in caso di insufficiente disponibilita’ di beni rinvenuti, si potrebbe porre il problema di applicare la confisca su beni futuri.
Di conseguenza, non risultano ostacoli a disporre, in linea di principio, la confisca per equivalente nei confronti dell’imputato, e, prima ancora, la confisca diretta del denaro nei confronti dell’ente beneficiario delle condotte illecite.
5.6. L’affermazione appena compiuta, peraltro, in considerazione del caso di specie, richiede due precisazioni.
Innanzitutto, il profitto del reato da confisca si individua non certo nell’importo delle fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti, bensi’ nell’importo corrispondente ai risparmi ed ai rimborsi d’imposta conseguiti per effetto del computo, in dichiarazione, di tali mendaci documenti.
In secondo luogo, poi, l’ablazione puo’ essere disposta esclusivamente per il profitto derivante dai reati per i quali e’ stata pronunciata sentenza di condanna irrevocabile, ovvero dai reati per i quali, pur essendo pronunciata al termine del processo sentenza di proscioglimento per prescrizione, e’ stata accertata la sussistenza ed e’ stata applicata la confisca contestualmente alla condanna.
Il limite appena indicato, in effetti, sembra desumibile – in linea generale, e salvo il caso di previsioni specifiche, come quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 2, la quale richiede semplicemente una “sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi e’ stata lottizzazione abusiva” – dall’articolo 578-bis c.p.p. Secondo questa disposizione, “quando e’ stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dall’articolo 240 bis c.p., comma 1 e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilita’ dell’imputato.”. Invero, la regola indicata, anche da un punto di vista testuale, sembra consentire, quando il giudice dell’impugnazione dichiara estinto il reato per prescrizione, solo la “conferma” di una confisca precedentemente disposta (“quando e’ stata ordinata (…)”) e non anche l’imposizione ex novo di tale misura.
6. In conclusione, in primo luogo, stante la infondatezza, ma la non inammissibilita’ del ricorso dell’imputato, la sentenza impugnata, deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla dichiarazione di responsabilita’ per le fatture emesse nell’anno 2009 ed utilizzate nella dichiarazione depositata il 22 settembre 2010, perche’ il reato e’ estinto per prescrizione, con conseguente eliminazione della relativa pena, fissata dalla Corte d’appello, all’esito della riduzione per il rito, in due mesi di reclusione. La pena finale, quindi, deve essere rideterminata in dieci mesi di reclusione, fermi restando ovviamente, i benefici gia’ concessi della sospensione condizionale della pena ex articolo 163 c.p. e della non menzione ex articolo 175 c.p..
In secondo luogo, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Ancona, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio in relazione all’omessa confisca.
Il giudice del rinvio, nel decidere su tale profilo, si atterra’ ai principi precedentemente enunciati. Lo stesso, quindi, procedera’ a valutare se sussistono, in concreto, i presupposti per l’applicazione della confisca diretta e, qualora questa non sia possibile, di quella per equivalente, con riferimento ai reati commessi mediante la presentazione delle dichiarazioni nel 2011 e nel 2012 utilizzando le fatture emesse, rispettivamente, negli anni 2010 e 2011; a tale scopo, determinera’ l’esatto ammontare del profitto confiscabile, da individuarsi nell’importo corrispondente ai risparmi ed ai rimborsi d’imposta conseguiti per effetto del computo in dichiarazione delle fatture per operazioni inesistenti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato riguardante le fatture emesse nell’anno 2009 utilizzate nella dichiarazione 2010, perche’ estinto per prescrizione, e ridetermina la pena per i restanti reati in mesi dieci di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso dell’imputato.
Annulla inoltre la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia con riguardo alla omessa confisca.

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