Confisca ed il profitto derivante dal reato costituito da denaro

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|8 novembre 2021| n. 40068.

Confisca ed il profitto derivante dal reato costituito da denaro.

Qualora il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l’ablazione del denaro comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto fino alla concorrenza del valore del profitto medesimo e deve essere qualificata come confisca diretta e non per equivalente (si vedano le sezioni Unite, sentenza 27 maggio 2021, C.) (nella specie era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto di somme di denaro rinvenute sui conti correnti riconducibili agli indagati per plurime dichiarazioni fraudolente mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti; il tribunale, adito in sede di appello cautelare, aveva disposto la restituzione delle somme agli indagati sul rilievo della che le somme sequestrate non potevano ritenersi profitto suscettibile di sequestro a fini di confisca in quanto derivate da rimesse sui conti correnti effettuate in epoca successiva alla consumazione dei reati, risultando peraltro a tale epoca i conti correnti non ancora aperti o presentanti un saldo negativo; la Corte, invece, per le ragioni di cui in massima, accogliendo il ricorso del pubblico ministero, ha annullato con rinvio l’ordinanza).

Sentenza|8 novembre 2021| n. 40068. Confisca ed il profitto derivante dal reato costituito da denaro

Data udienza 22 settembre 2021

Integrale

Tag – parola: Confisca – Somme giacenti su conto corrente bancario nella titolarità degli indagati – Reati tributari – Rilevanza della presenza delle somme dopo la scadenza del termine per il versamento delle imposte – Configurabilità come profitto derivante dall’evasione fiscale – Erronea restituzione – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BOLOGNA;
nei confronti di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza in data 11.6.2020 del Tribunale di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Baldi Fulvio, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza in data 11.6.2020 il Tribunale di Bologna, adito in sede di appello cautelare, ha, in riforma del provvedimento di rigetto pronunciato dal GIP, disposto la restituzione in favore dell’istante (OMISSIS), quale legale rappresentante della s.r.l. (OMISSIS), indagato insieme ad (OMISSIS) per dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti in relazione alle dichiarazioni IVA degli anni 2013-2017, della somma di Euro 430.921,50, relativa all’importo dell’IVA dovuto per le annualita’ di imposta 2013, 2014 e 2015 oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto in ragione della mancanza delle condizioni di applicabilita’ della misura cautelare. Il Tribunale ha ritenuto, a fondamento dell’accoglimento della richiesta dell’istante, che le somme in questione non costituissero risparmio di spesa e dunque profitto suscettibile di sequestro funzionale alla confisca diretta dei reati in contestazione, in quanto derivati da rimesse effettuate dopo la scadenza dei termini rispettivamente previsti per il versamento delle suddette imposte, risultando i conti correnti attinti dalla misura cautelare non ancora aperti alla data di perfezionamento dei reati o presentando un saldo negativo.
2. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna articolando due motivi entrambi riferiti dal vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 240 c.p.p., comma 1, articolo 321 c.p.p., comma 2 e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 bis.
2.1. Con il primo motivo afferente al sequestro in via diretta delle somme corrispondenti al risparmio di imposta, eccepisce che, come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza Grubert e ancor piu’ chiaramente nella sentenza Lucci, la confisca del profitto quando si tratta del denaro o di altri beni fungibili e’ sempre diretta, senza che sia necessario tracciare la provenienza delle somme e il nesso di pertinenzialita’ con l’attivita’ illecita essendo sufficiente che si tratti di danaro facente parte del patrimonio dell’autore del reato in cui il profitto o il prezzo del reato, sia che si tratti di un’utilita’ positiva, sia che si tratti di un mancato decremento, si confonde con le restanti disponibilita’ economiche, perdendo qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilita’ fisica. Sulla scorta di tali principi il Procuratore della Repubblica contesta pertanto l’ordinanza impugnata nella parte in cui afferma che per qualificare il danaro come profitto del reato non basta che il danaro nella disponibilita’ dell’indagato, occorrendo escludere da esso le somme depositate sul conto corrente dopo la scadenza del termine di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, rilevando il contrasto con gli orientamenti giurisprudenziali fissati da questa Corte nel suo supremo consesso. Se infatti, si assume nel ricorso, all’epoca di consumazione del reato il patrimonio del contribuente era capiente rispetto al risparmio di spesa lucrato con l’omesso versamento dell’imposta, tale risparmio di spesa e’ automaticamente diventato posta attiva del patrimonio assoggettabile a confisca, confondendosi con qualunque altra posta attiva ancorche’ sopravvenuta che faccia parte dello stesso patrimonio; ne’ puo’ ritenersi, secondo il Procuratore ricorrente, che fuoriescano dal concetto di profitto le somme di cui sia stata dimostrata la provenienza lecita posto che, una volta verificatosi l’inadempimento fiscale, i flussi finanziari originariamente leciti diventano automaticamente illeciti, trasformazione questa che involge non solo tutti i cespiti preesistenti ma che si estende anche a quelli sopravvenuti.
2.2. Con il secondo motivo contesta in ogni caso che l’indagato abbia assolto all’onere di dimostrare la provenienza lecita delle somme in suo possesso, ovverosia che il danaro attinto dal sequestro provenisse da terzi e comunque da fonti non collegabili neppure indirettamente con la condotta criminosa, essendosi la difesa limitata a provare o la non accensione dei conti correnti o il loro saldo negativo al tempo del commesso delitto: dimostrazione questa che non consente affatto di escludere che gli accrediti successivi provenissero da rimesse apportate dalla movimentazione di altri conti societari o da provviste riconducibili alla medesima impresa. Assume che, invece, per poter considerare l’onere probatorio ritualmente assolto, occorreva fornire la prova, a carico dello stesso indagato, che gli importi sopravvenuti non derivassero da movimentazione di danaro che la societa’ gia’ possedeva all’epoca del perfezionamento dell’illecito tributario posto che il ragionamento seguito dal Tribunale della liberta’, nel prescindere dalla prova relativa alla provenienza delle provviste, arriva ad avallare le condotte di chi, per evitare provvedimenti ablativi, accenda continuativamente nuovi conti correnti sui quali far transitare il risparmio di imposta lucrato per effetto dell’inadempimento fiscale. Assume percio’ che le conclusioni tratte dai giudici dell’appello cautelare contrastino anche con i principi espressi da questa Sezione con la sentenza Barletta del 2017 e Ratio del 2018, secondo le quali incombe sul contribuente l’onere di dimostrare la provenienza da terzi o da attivita’ estranee a quelle di impresa delle somme attinte da sequestro, nonche’ con la sentenza n. 23038/2020 che ribadisce che il sequestro finalizzato alla confisca diretta e’ legittimo anche sulle somme accreditate sui conti correnti o sui depositi posteriormente al momento della commissione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve ritenersi in relazione al primo motivo, avente natura assorbente rispetto alla disamina del secondo, meritevole di accoglimento.
La vexata questio relativa alla natura del sequestro e, per esso, della confisca delle somme giacenti su conto corrente bancario, – generata dalla distinzione tra la confisca diretta, volta a colpire il bene che rappresenta il beneficio derivato al suo autore dal compimento dell’illecito, ovverosia il prezzo o il profitto, e quella per equivalente che, operando solo ove non sia possibile disporre la prima, attinge i beni rinvenuti nella disponibilita’ economica dell’agente i quali, senza alcuna pertinenzialita’ con il delitto, abbiano un valore pari al prezzo o al profitto dell’illecito – e’ stata affrontata e risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte nella recente pronuncia del 27.5.2021. Muovendo dalla peculiare caratteristica del danaro, configurante un bene per sua natura fungibile destinato a confondersi con le consistenze di uguale natura facenti gia’ parte del patrimonio del destinatario, il supremo consesso ha ritenuto, come si evince dall’informazione provvisoria (ud. 27.5.2021, nella causa rg.20290/2020), che allorquando la confisca venga eseguita “mediante l’ablazione del danaro comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto fino alla concorrenza del valore del profitto derivante da reato debba essere qualificata come confisca diretta e non per equivalente”. Sulla scorta di tale approdo, cui questo Collegio aderisce, deve percio’ ritenersi che le somme depositate sul conto corrente nella titolarita’ degli indagati dopo la scadenza del termine per il versamento delle imposte, cosi’ come quelle in giacenza su conti correnti aperti dopo tale data, costituiscono, indipendentemente dalla prova del nesso di strumentalita’ con i reati sottesi all’emissione della misura cautelare, il profitto derivante dall’evasione fiscale, traducendosi l’omissione contributiva comunque in una locupletazione ingiusta, quanto meno in termini di mancato decremento.
L’ordinanza impugnata, che ha disposto la restituzione delle somme attinte dal disposto sequestro sul presupposto che si non si trattasse del cd. “profitto accrescitivo”, ovverosia di importi gia’ in possesso degli indagati al momento della consumazione dei reati in contestazione, deve essere conseguentemente annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Bologna.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Bologna.
Motivazione semplificata.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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