La confessione non può avere ad oggetto il titolo sotteso a un rapporto di credito

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 gennaio 2024| n. 656.

La confessione non può avere ad oggetto il titolo sotteso a un rapporto di credito

La confessione non può avere ad oggetto il titolo sotteso a un rapporto di credito, in quanto il dichiarante non può avere consapevolezza della rilevanza giuridica dello stesso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso efficacia confessoria alla dichiarazione – resa dal creditore opposto in sede di interrogatorio formale – secondo cui l’assegno bancario posto a fondamento del decreto ingiuntivo era stato emesso dal debitore opponente a garanzia della restituzione di un prestito concesso in favore di altro soggetto, anche in considerazione del fatto che tale circostanza non valeva, di per sé, ad escludere la sussistenza dell’obbligo di restituzione in capo al debitore medesimo).

Ordinanza|8 gennaio 2024| n. 656. La confessione non può avere ad oggetto il titolo sotteso a un rapporto di credito

Data udienza  26 ottobre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Prova civile – Confessione – In genere oggetto – Titolo di un rapporto di credito – Esclusione – Fondamento – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere – Rel.

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23459/2020 R.G. proposto da:

De.Ra., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato PU.AL. (Omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato GI.FE. (Omissis)

– ricorrente –

contro

Di.Ra., Di.Ni., elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio dell’avvocato NU.LO. (Omissis) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NU.AG. (Omissis)

– controricorrenti –

nonché contro

Di.Vi.

– intimato –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 7637/2019 depositata il 05/12/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/10/2023 dal Consigliere GIUSEPPE CRICENTI.

La confessione non può avere ad oggetto il titolo sotteso a un rapporto di credito

RITENUTO CHE

1. – Di.Vi. ha ottenuto un decreto ingiuntivo (per 131.273,97 Euro) nei confronti di De.Ra., sulla base di un assegno bancario, emesso da costui a suo favore: secondo il Di.Vi. l’assegno era stato rilasciato a garanzia di un prestito fatto in precedenza al De.Ra.

1.1. – Il De.Ra. ha proposto opposizione con l’argomento che il titolo non garantiva un prestito personale, ma un finanziamento di due società, e che l’assegno serviva all’acquisto di una abitazione da costruire, non realizzata; che comunque il Di.Vi. non aveva interesse ad agire, non avendo mai posto all’incasso l’assegno; che vi era da considerare un successivo accordo (del 19.2.2007) con cui il rapporto a cui l’assegno era relativo sarebbe stato oggetto di transazione novativa.

2. – Il Tribunale di Roma ha accolto in gran parte le difese del De.Ra., ed ha ritenuto che non vi fosse interesse ad ottenere decreto ingiuntivo sulla base di un assegno mai portato all’incasso e che il contratto successivo era nullo.

3. – Questa decisione è stata riformata dalla Corte di Appello di Roma, secondo cui invece c’era interesse ad agire e secondo cui l’accordo del 19.2.2007 non poteva essere novativo in quanto non era riferito a quello avente ad oggetto l’assegno.

4. – Questa decisione è qui impugnata con nove motivi, illustrati da memoria, dal De.Ra.

Resistono con controricorso gli eredi del Di.Vi.

La confessione non può avere ad oggetto il titolo sotteso a un rapporto di credito

CONSIDERATO CHE

I giudici di appello hanno ritenuto che l’accordo del 19.2.2007 non fosse in alcuna relazione con quello del 5.2.2007, cui era riferibile l’assegno in quesitone: ciò in quanto questo non era richiamato da quello; il contenuto dei due atti dimostrava che essi erano riferiti a rapporti completamente diversi; le somme di cui, in entrambe le scritture, il Di.Vi. era creditore erano diverse.

II che significava che quell’accordo non poteva essere invocato a dimostrare che l’obbligazione assunta con l’assegno (e scrittura relativa) era venuta meno in ragione di altra e diversa obbligazione.

Inoltre, secondo i giudici di appello, il Di.Vi. aveva interesse ad agire, poiché, da un lato, l’incasso dell’assegno era subordinato ad una condizione sospensiva (che non si realizzasse la costruzione per colpa del costruttore), e dunque in pendenza di tale condizione non poteva essere utilizzato, per altro verso, verificatasi la condizione, l’incasso è stato tentato, ma inutilmente. Va preliminarmente tenuta in considerazione una questione posta dai controricorrenti: essi sostengono di non essere passivamente legittimati, in quanto hanno rinunciato alla eredità del Di.Vi., già nel 2016.

Va tuttavia replicato che la questione sembra essere posta qui per la pima volta, e che non risulta che, in appello, il difetto di legittimazione passiva sia stato fatto valere, e avrebbe potuto esserlo atteso che la rinuncia alla eredità sarebbe avvenuta nel corso di quel giudizio, ed anzi al suo inizio. Ciò detto.

5. – I primi tre motivi attengono ad una questione comune: quella della confessione fatta dal Di.Vi. quanto alle ragioni di quell’assegno, ed alla ammissione che il titolo non era stato emesso a fronte di credito verso il De.Ra., ma verso le società.

5.1. – Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.

Lamenta che i giudici di appello non hanno tenuto in alcuna considerazione la confessione del Di.Vi., resa nell’ambito dell’interrogatorio formale: ad espressa domanda, infatti, costui ha risposto che l’assegno è stato emesso dal De.Ra. a “garanzia del recupero dei soldi dati alla società Geriacom” ed inoltre che l’assegno in questione corrispondeva alla somma che il Di.Vi. aveva concesso alla società Geriatrica @5Cr@, prima, ed alla Geriacom, poi, per le villette che doveva realizzare. Dunque, era in atti confessione di cui i giudici di merito non avrebbero tenuto conto. Ed in ciò avrebbero violato il precetto degli articoli 115 e 116 c.p.c. che invece impone al giudice di tenere conto delle prove legali assunte nel giudizio.

5.2. – Con il secondo motivo denunzia violazione, oltre che degli articoli 115 e 116 c.p.c. altresì dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 2730 e 2733 c.c.

Lamenta che i giudici di merito, oltre a non aver tenuto conto della confessione, avrebbero altresì ritenuto esistente il debito in assenza di prova da parte del creditore, che aveva l’onera di fornirla. Inoltre, avrebbero attribuito valore di prova alle dichiarazioni del Di.Vi. contenute nella scrittura del 5.2.2007, cosi violando gli articoli 2730 e ss. c.c.

5.2. – Con il terzo motivo denunzia omesso esame.

Esso è un’alternativa o un’aggiunta agli altri due, risultando prospettato che nel fatto di avere omesso la valutazione dell’interrogatorio formale e dunque della confessione che ne sarebbe scaturita, oltre che violazione di legge v’è omesso esame di quella prova: quella omissione, ossia, rileva, oltre che come violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., altresì come omesso esame di un fatto decisivo.

I motivi sono in parte inammissibili e in parte infondati. Con essi si assume l’omessa considerazione di una prova legale, ossia della confessione scaturita dall’interrogatorio formale: tutte le argomentazioni fatte con questi tre motivi presuppongono che da quell’interrogatorio formale sia derivata una confessione, di cui, in quanto prova legale, avrebbe dovuto tenersi conto. In realtà, non è affatto detto che si tratti di una confessione, poiché l’ammissione del fatto che il prestito era stato concesso alle società e non al De.Ra. intanto non è ammissione di un fatto sfavorevole, poiché quel fatto è titolato (ossia il credito è per un certo titolo e non per un altro) ed è noto che le dichiarazioni titolate non sono confessorie, in quanto il dichiarante non può avere consapevolezza della rilevanza giuridica del titolo del suo credito o del suo debito. Ma, soprattutto, l’ammissione che il prestito era stato fatto alla società, non comporta ammissione (che non risulta da quanto riportato) che ad essere obbligata alla restituzione sia la società, anziché il De.Ra., e ciò in quanto è ben possibile che quest’ultimo abbia garantito per quella. In altri termini, non risulta, da quanto riportato, che il Di.Vi. abbia ammesso che ad essere obbligata alla restituzione era la società, beneficiaria del prestito, anziché il De.Ra. e, si ripete, se lo avesse fatto, sarebbe stata non già ammissione di un fatto sfavorevole, ma giudizio su un obbligo giuridico, che non ha valore confessorio.

Infine, è inammissibile la censura nella parte in cui assume che la Corte di Appello ha erroneamente attribuito importanza alla scrittura del 5.2.2007, contenente, si suppone, una dichiarazione favorevole al creditore, in quanto non è noto il contenuto di tale scrittura, che non viene affatto riportato.

Comunque sia, si tratterebbe della interpretazione della volontà delle parti, che, come è costante principio di diritto, è accertamento in fatto qui non censurabile.

6. – Quarto e quinto motivo attengono entrambi al rapporto tra le due scritture (quella del 5.2.2007 e quella del 19.2.2007) invocate in giudizio.

6.1. – Con il quarto motivo il ricorrente denunzia violazione degli articoli 1362 c.c. e seguenti.

La Corte di Appello ha ritenuto che la scrittura del 19.2.2007 non fosse novativa di quella del 5.2.2007, ma costituisse un accordo dal contenuto e dalle finalità diverse, ossia riferito ad un debito diverso da quello descritto dalla precedente scrittura privata, e dunque ha escluso che quest’ultima potesse essere stata novata.

Il ricorrente ritiene che i giudici di merito non hanno tenuto in considerazione una clausola contenuta nel contratto in questione in cui si affermava che “la presente scrittura comprende ed annulla ogni altra scrittura intercorsa tra le parti”, segno della efficacia novativa della precedente stipulazione.

Ritiene il ricorrente che è stato, in particolare, violato il canone della interpretazione letterale, da cui si ricava, prima che da ogni altro, l’intenzione delle parti.

6.2. – Con il quinto motivo il ricorrente propone la medesima censura sotto il profilo del difetto di motivazione.

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I motivi sono infondati. La Corte di Appello ha dedotto la diversità delle due scritture, e l’autonomia dell’una rispetto all’altra, sulla base di una serie plurima di canoni interpretativi: la circostanza che nella seconda non si facesse menzione alcuna della prima, che la somma era diversa significativamente, che i debiti erano verso soggetti diversi; ed ha concluso dunque che il contenuto era completamente autonomo e diverso.

Ora, il ricorrente non dice perché l’interpretazione letterale, ossia il tenore della clausola, debba prevalere sui plurimi e diversi canoni interpretativi cui ha fatto ricorso la corte di merito e perché debba essere in grado di smentirli, ma si limita a dire che di quel canone non si è tenuto conto.

Inoltre, proprio per quanto si è detto, risulta che la motivazione è sufficiente: se ne ricavano le ragioni della decisione, e non può dunque considerarsi nulla.

7. – Il sesto ed il settimo motivo attengono alla medesima questione: quella dell’interesse del Di.Vi. ad ottenere un decreto ingiuntivo, pur non avendo mai portato all’incasso l’assegno.

7.1. – Con il sesto motivo il ricorrente denunzia plurime violazioni di legge, ossia degli articoli 100,101, 115, 116 c.p.c. e 1175 1197 c.c., oltre che omesso esame.

Con il settimo motivo denunzia violazione degli artt. 1353 e 2697 c.c.

In sostanza, la tesi della Corte di Appello era che l’assegno, fino ad un certo momento, non è stato portato all’incasso in quanto l’accordo era che tale incasso fosse condizionato alla mancata costruzione di un immobile. Poiché la costruzione non s’è fatta – per colpa del costruttore – l’assegno è stato portato all’incasso solo successivamente.

Il ricorrente contesta a questa ricostruzione, intanto, la circostanza che la condizione negativa (non si realizza l’opera, la costruzione) non si è in realtà verificata (e dunque l’opera è sta costruita), e poi quella per cui il tentativo successivo di incasso è avvenuto nel corso del giudizio di appello, ed i documenti che dimostrano tale incasso non erano da considerarsi ammissibili.

I motivi sono inammissibili. Il primo postula un accertamento in fatto non ripetibile qui: che la condizione si sia verificata ed in che termini.

Il secondo nemmeno riporta il contenuto di tali documenti, e non dice quando sarebbero stati introdotti ed in che termini, a fronte di un accertamento, quello del secondo grado, in cui si dà atto che un tentativo di incasso venne fatto, ma inutilmente, essendo l’assegno tornato indietro al presentatore.

8. – L’ottavo motivo è in realtà un “non motivo”, risultando con esso dal ricorrente operato un mero rinvio a quanto prospettato nei primi quattro motivi.

9. – Con il nono motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 112 c.p.c. e 342 c.p.c.

La questione è la seguente.

Il Di.Vi. aveva, con appello incidentale, posto la questione della nullità del secondo accordo, ma lo aveva fatto in modo assolutamente generico, cosi violando la regola della necessaria specificità dei motivi.

I giudici di appello si sono astenuti dal rilevare tale inammissibilità.

Il motivo è inammissibile. I giudici di appello, infatti, hanno dichiarato assorbito quel motivo, ossia hanno ritenuto che, siccome l’accordo del 19.2.2007 è autonomo, non novativo di quello altro che qui interessa, ossia dell’accordo del 5.2.2007, non se ne tiene conto, e dunque, nullo o meno che sia, non ha importanza decidere il motivo di appello incidentale: quello che, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile.

Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella misura di 5.000,00 Euro, oltre 200,00 Euro di esborsi, ed oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, in favore dei controricorrenti Di.Ra., Di.Ni.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.

Roma 26 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il dì 8 gennaio 2024.

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