Il concetto di pertinenza non rilevante ai fini urbanistico edilizi

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 8 gennaio 2020, n. 132

La massima estrapolata:

Il concetto di pertinenza non rilevante ai fini urbanistico edilizi comprende esclusivamente le costruzioni di modesta entità, poste al servizio di un fabbricato principale, non utilizzabili se non in funzione di esso, e prive quindi di un autonomo valore economico.

Sentenza 8 gennaio 2020, n. 132

Data udienza 26 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7822 del 2013, proposto dai signori Gi. Pe. e Ma. An. Ma., rappresentati e difesi dagli avvocati Bi. Di Me. e Ma. Gr. Di Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. Pe. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Pa., elettivamente domiciliato presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);
per l’annullamento ovvero la riforma
della sentenza del TAR Campania, sede di Napoli, sezione VI, 22 febbraio 2013 n. 1014 che ha respinto il ricorso n. 210/2013 R.G. proposto per l’annullamento:
dell’ordinanza 29 novembre 2012 n. 245, notificata il 10 dicembre 2012 a Ma. An. Ma., con la quale il Dirigente dell’Area tecnica del Comune di (omissis) ha ordinato al responsabile del procedimento e ad un’impresa privata allo scopo individuata di procedere entro 48 ore dalla notifica dell’atto a demolire in quanto abusivo un manufatto di mq 18 e mt 2,70 di altezza, realizzato in mattoni, pietra e lamiere coibentate di copertura, realizzato in via (omissis), su terreno distinto al catasto al foglio (omissis) particella (omissis), di cui Gi. Pe. è proprietario e Ma. An. Ma. è usufruttuaria;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 26 novembre 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e udito per la parte ricorrente appellante l’avvocato Pa. Mi. in delega dell’avv. Ma. Gr. Di Sc.;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
– con l’ordinanza 29 novembre 2012 meglio indicata in premesse, il Comune intimato appellato -preso atto che tutto il proprio territorio è vincolato, ora ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, in base al decreto di vincolo paesaggistico D.M. 9 settembre 1952 pubblicato sulla Gazzetta ufficiale – GU 26 settembre 1952 n. 224- ha ingiunto ai sensi dell’art. 27 del T.U. 6 giugno 2001 n. 380 la demolizione in danno dei titolari del terreno, rispettivamente nudo proprietario e usufruttuaria, di un manufatto abusivo realizzato in via (omissis), su terreno distinto al catasto al foglio (omissis) particella (omissis) e costituito da una baracca deposito di mq 18 e mt 2,70 di altezza, realizzata in mattoni, pietra e lamiere coibentate di copertura. In particolare, il provvedimento dispone che la demolizione sia eseguita da una ditta privata a ciò incaricata e a spese dei privati interessati, entro un breve termine di 48 ore, dando atto che nello stesso termine la demolizione può essere compiuta anche dai proprietari stessi (doc. 1 in I grado ricorrenti appellanti, ordinanza);
– il proprietario e l’usufruttuaria hanno presentato domanda di accertamento di conformità con atto 27 dicembre 2012 (sentenza impugnata, p. 6 tredicesimo rigo);
– con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto contro tale ordinanza, ritenendo che essa integrasse in sintesi estrema un provvedimento dovuto, a fronte di una costruzione che avrebbe richiesto il permesso di costruire, e che la presentazione di istanza di accertamento di conformità non comportasse illegittimità dell’ordinanza stessa;
– i ricorrenti hanno proposto impugnazione contro questa sentenza, con appello che contiene sei motivi, nei termini che seguono;
– con il primo di essi, deducono violazione dell’art. 27 del T.U. 380/2001, per essere a loro avviso troppo breve il termine assegnato per procedere alla demolizione;
– con il secondo motivo, deducono violazione di norme non indicate con precisione, perché a loro avviso il Comune non avrebbe dovuto ordinare la demolizione dell’intera opera, a causa di recenti manutenzioni su di essa eseguite;
– con il terzo motivo, deducono la presunta possibilità di assentire l’opera, che non sarebbe vietata dal regime urbanistico di zona;
– con il quarto motivo, sostengono che l’opera non sarebbe suscettibile di demolizione, in quanto semplice pertinenza priva di carico urbanistico;
– con il quinto motivo, deducono ancora, secondo logica, violazione dell’art. 31 del T.U. 380/2001, perché a loro dire il Comune, prima di ordinare la demolizione, avrebbe dovuto verificare la sanabilità delle opere;
– con il sesto motivo, deducono infine una presunta illegittimità dell’ordinanza, nel senso che il TAR avrebbe dovuto censurare “il criterio della quantificazione del costo per la demolizione” (appello, p. 16 prime due righe del motivo).
– il Comune ha resistito, con memoria 19 aprile 2014, in cui ha eccepito l’inammissibilità del primo motivo di appello perché nuovo e dell’ultimo perché non rilevante, nonché la reiezione dei restanti;
– all’udienza del giorno 26 novembre 2019, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione;
– l’appello è infondato e va respinto, per le ragioni che seguono;
– il primo motivo, centrato sull’asserito carattere esiguo del termine accordato dall’ordinanza per ottemperarvi, è inammissibile, dovendosi accogliere la relativa eccezione formulata dal Comune. Infatti, a lettura del ricorso di I grado la questione non è in alcun modo affrontata nei motivi di impugnazione dedotti in quella sede, e quindi il motivo di appello che la solleva è nuovo, come tale non ammissibile;
– i motivi secondo, terzo e quinto vanno affrontati congiuntamente, in quanto connessi, dato che tutti prospettano varie verifiche -ampiamente intese- che il Comune, a dire dei ricorrenti appellanti, avrebbe dovuto compiere prima di ordinare la demolizione. Come tali, sono a loro volta infondati in base a quanto affermato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio con la sentenza 17 ottobre 2017 n. 9, secondo la quale il provvedimento con cui viene ingiunta, la demolizione di un immobile abusivo perché realizzato senza titolo alcuno, ove ne ricorrano i presupposti di fatto e di diritto, ha natura vincolata e non richiede motivazione quanto alle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, che impongono la rimozione dell’abuso. Di conseguenza, è evidente che l’amministrazione, prima di emettere l’ordinanza di demolizione, non è in alcun modo tenuta a compiere le ulteriori verifiche prospettate dalla parte, e quindi non deve né considerare eventuali manutenzioni dell’opera, che ovviamente non incidono sul suo carattere di abuso, né valutare l’eventuale possibilità di sanatorie, che oltretutto solo l’interessato potrebbe richiedere;
– è infondato anche il quarto motivo, centrato sul presunto carattere di pertinenza, e quindi di costruzione liberamente realizzabile, del manufatto per cui è causa. E’ noto infatti che per costante giurisprudenza il concetto di pertinenza non rilevante ai fini urbanistico edilizi comprende esclusivamente le costruzioni di modesta entità, poste al servizio di un fabbricato principale, non utilizzabili se non in funzione di esso, e prive quindi di un autonomo valore economico; esula invece da tale concetto un deposito come quello per cui è causa, senz’altro suscettibile di autonomo utilizzo, anche considerato che non si dice di quale bene principale esso dovrebbe essere pertinenza; esso quindi necessita di permesso di costruire, in quanto aumenta il carico urbanistico: così per tutte C.d.S. sez. II 22 luglio 2019 n. 513 e sez. V 13 ottobre 1993 n. 1041, quest’ultima pronunciata in base a norme identiche a quelle oggi vigenti. La conclusione suddetta non muta anche tenendo conto della perizia di parte, redatta da certo geom. Bu. (doc. 10 in I grado ricorrenti appellanti), che si limita a descrivere l’opera ed anzi dà atto che si tratta di un manufatto durevole;
– il sesto motivo di appello è infine inammissibile perché del tutto generico: esso si limita a sostenere, come si è detto, che il TAR avrebbe dovuto censurare “il criterio per la quantificazione del costo per la demolizione” nonché il criterio dell’affidamento del relativo incarico, aggiungendo che “oramai la demolizione è un affare per chi riceve l’incarico”, ma al di là di questo rilievo extragiuridico, sul quale evidentemente non è possibile pronunciarsi in questa sede. non spiega in alcun modo quali norme nella specie sarebbero state violate;
– le spese seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 7822/2013), lo respinge.
Condanna i ricorrenti appellanti in solido a rifondere al Comune intimato appellato le spese di questo grado di giudizio, spese che liquida in Euro 3.000 (tremila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Raffaello Sestini – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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