Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|4 aprile 2023| n. 9304.
Con riguardo ad immobili del tutto peculiari il danno patrimoniale da occupazione “sine titulo”
Con riguardo ad immobili del tutto peculiari (quali, ad esempio, monumenti dall’indiscutibile rilevanza storica), il danno patrimoniale da occupazione “sine titulo” può ritenersi dimostrato in virtù della prova presuntiva discendente dalle stesse particolari caratteristiche del bene. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva quantificato il danno per l’occupazione, a partire dal 1985, di una porzione di 160,40 mq. delle Mura Aureliane di Roma, in euro 399.664,83, condannando altresì gli occupanti a pagare al Comune l’ulteriore somma di euro 1.477,49 mensili, fino al rilascio della stessa).
Ordinanza|4 aprile 2023| n. 9304. Con riguardo ad immobili del tutto peculiari il danno patrimoniale da occupazione “sine titulo”
Data udienza 10 febbraio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’ O PUBBLICO INTERESSE – RETROCESSIONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 21943 del 2019 proposto da:
(OMISSIS) in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (in qualita’ di erede di (OMISSIS)), (OMISSIS) (in qualita’ di erede di (OMISSIS)), (OMISSIS) (in qualita’ di erede di (OMISSIS)), tutti elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocatessa (OMISSIS) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti principali –
contro
(OMISSIS), in persona della Sindaca pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso gli uffici dell’Avvocatura di (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale – e
(OMISSIS) in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (in qualita’ di erede di (OMISSIS)), (OMISSIS) (in qualita’ di erede di (OMISSIS)), (OMISSIS) (in qualita’ di erede di (OMISSIS)), rappresentati e difesi come sopra;
– controricorrenti al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 3987-2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/02/2023 dal Consigliere FRANCESCO MARIA CIRILLO.
Con riguardo ad immobili del tutto peculiari il danno patrimoniale da occupazione “sine titulo”
FATTI DI CAUSA
1. Il Comune di (OMISSIS) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti in qualita’ di eredi di (OMISSIS) – dopo aver dato atto della pendenza, a quel tempo, di un giudizio cominciato dai convenuti, davanti allo stesso Tribunale, volto ad ottenere la retrocessione delle porzioni immobiliari (di mq 109,73) di cui erano proprietari prima dell’esproprio, in quanto non utilizzate dal Comune per la realizzazione dell’opera pubblica – chiedendo la condanna dei convenuti al rilascio dei beni ed al risarcimento dei danni per illegittima occupazione, oltre rivalutazione ed interessi.
Espose il Comune, a sostegno della domanda, di aver espropriato con decreto del Prefetto della Provincia di Roma n. 16583 del 13 dicembre 1965, in danno di (OMISSIS), alcuni immobili di proprieta’ di quest’ultimo, adiacenti alle (OMISSIS), in prossimita’ dell’attuale (OMISSIS), per la sistemazione stradale prevista dagli strumenti urbanistici all’epoca vigenti. Aggiunse che, pur avendo avuto il provvedimento di esproprio un’attuazione pressoche’ integrale, i convenuti continuavano ad occupare, senza corrispondere alcun corrispettivo al Comune, alcune porzioni residue degli immobili di cui erano proprietari prima dell’espropriazione.
La domanda di rilascio aveva ad oggetto, tra l’altro, le porzioni delle (OMISSIS) (in totale di mq 160,40 convenzionali) che i convenuti detenevano senza titolo, avendo creato dei collegamenti tra gli immobili che occupavano (e di cui erano precedentemente proprietari) e le ulteriori porzioni delle (OMISSIS) da loro occupate. Il Comune chiese la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni cagionati dall’arbitraria occupazione di queste ulteriori porzioni e dall’illegittima effettuazione di lavori all’interno delle (OMISSIS).
Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, tranne (OMISSIS) in (OMISSIS) rimasta contumace, domandando, preliminarmente, la sospensione del giudizio ex articolo 39 c.p.c., in quanto gli immobili in questione erano oggetto dell’autonomo giudizio sulla retrocessione, ed eccependo, poi, l’inefficacia del decreto di esproprio, stante il lungo lasso di tempo trascorso. I convenuti chiesero poi che venisse accertato l’acquisto della proprieta’ di quelle porzioni immobiliari che, non costituendo beni demaniali, erano suscettibili di usucapione. Con riguardo, invece, alla domanda risarcitoria, preliminarmente eccepirono la prescrizione del relativo diritto e nel merito ne contestarono la fondatezza.
Il Tribunale accolse la domanda per quanto di ragione e condanno’ i convenuti al rilascio della parte di immobile costruita sopra lo sperone delle (OMISSIS) (per la quale, trattandosi di accessorio a bene demaniale, non avrebbe potuto invocarsi l’intervenuta usucapione) e della porzione di (OMISSIS), di mq 127,70 convenzionali, al cui interno era stato realizzato un passaggio, creando ambienti comunicanti in sequenza gli uni agli altri.
Il Tribunale condanno’ quindi i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni, liquidati in due diverse voci, l’una pari ad Euro 399.664,83 e l’altra pari ad Euro 221.020,39. Con la prima voce venne risarcito il danno per un’area della superficie convenzionale di mq 160,40, non oggetto della domanda di retrocessione, con gli interessi a decorrere dal 1985, posto che i convenuti avevano eccepito la prescrizione quinquennale e il Comune non aveva dimostrato l’esistenza di atti interruttivi. Con la seconda voce, invece, venne risarcito il danno per un’area della superficie convenzionale di mq 109,73 in relazione alla quale i convenuti avevano vittoriosamente concluso il giudizio di retrocessione. A proposito di questa seconda voce, il Tribunale ritenne che il risarcimento dovesse decorrere dal 1985 fino al 23 agosto 2003, data in cui era stata pronunciata la sentenza definitiva che aveva riconosciuto il diritto alla retrocessione (sentenza 5 agosto 2003, n. 11839, della Corte di cassazione).
In aggiunta, il Tribunale condanno’ i convenuti al pagamento dell’indennita’ da occupazione mensile, fissata in Euro 1.477,49 al mese, oltre interessi legali, in riferimento alla suindicata area di mq 160,40, decorrente dalla data di deposito della sentenza fino al rilascio effettivo di quelle porzioni immobiliari (ai sensi dell’articolo 1591 c.c.).
Il giudice di primo grado, infine, respinse la domanda di risarcimento dei danni proposta dal Comune sia per l’arbitraria effettuazione, da parte dei convenuti, di lavori all’interno delle (OMISSIS) sia per l’effettuazione di lavori necessari al ripristino, nonche’ per il danno all’immagine del Comune.
2. Avverso tale sentenza sono stati proposti separati appelli da parte di (OMISSIS) ed (OMISSIS), nonche’ con successivo atto da parte di (OMISSIS); deceduta quest’ultima nelle more del giudizio, si e’ costituita la sua erede (OMISSIS). Si sono poi costituiti nel giudizio di appello (OMISSIS), in qualita’ di erede di (OMISSIS), e (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS), i quali hanno aderito ai motivi di appello formulati dai loro familiari e hanno chiesto, previo rinnovo della c.t.u., la riforma della sentenza impugnata e l’integrale rigetto delle domande avanzate dal Comune di (OMISSIS).
Nel giudizio si e’ costituita anche (OMISSIS) (gia’ Comune di (OMISSIS)), proponendo un appello incidentale tardivo ed un appello incidentale condizionato.
Con sentenza del 12 giugno 2018 la Corte d’appello di Roma, dopo aver disposto la riunione dei due appelli principali, li ha rigettati entrambi e, accogliendo un solo motivo dell’appello incidentale tardivo di (OMISSIS) (nella parte in cui chiedeva che l’indennita’ di occupazione fosse corrisposta non gia’ fino al 23 agosto 2003, bensi’ fino alla data dell’impugnata sentenza del Tribunale), ha riformato in parte la sentenza impugnata, determinando nella maggior somma di Euro 273.411,61, oltre interessi dalla pronuncia di primo grado, il danno risarcibile relativo alla porzione immobiliare addossata alle (OMISSIS) oggetto di retrocessione in favore degli appellanti principali, regolando le spese.
Ai limitati fini che interessano in sede di ricorso, si rileva che la Corte territoriale ha trattato i motivi del gravame principale ritenendo in essi assorbiti quelli del secondo appello, perche’ sostanzialmente ripetitivi.
Ritenuta infondata la questione preliminare, posta dagli appellanti, per cui il Comune di (OMISSIS) non avrebbe esteso la domanda risarcitoria agli immobili oggetto di retrocessione nell’altro giudizio, limitando le proprie pretese risarcitorie ai soli immobili oggetto della domanda di rilascio, la Corte d’appello ha ritenuto infondata anche la questione di merito, posta nei gravami principali, sulla genericita’ delle opere da loro effettuate all’interno delle (OMISSIS), e ha aggiunto che gli appellanti non potevano vantare alcun interesse ad impugnare quel capo della pronuncia in cui non erano soccombenti, visto che la sentenza del Tribunale non aveva statuito sulle spese necessarie alla rimessione in pristino di tale locale delle (OMISSIS).
La Corte territoriale ha ritenuto infondata la doglianza degli appellanti principali relativa all’entita’ dei danni liquidati dal Tribunale per l’abusiva occupazione della porzione immobiliare addossata alle (OMISSIS) di mq 109,37 oggetto di retrocessione. Ha affermato il giudice d’appello, a questo proposito, la natura di sentenza costitutiva della pronuncia con cui si e’ statuito sul diritto potestativo di retrocessione e ha chiarito che l’effetto non puo’ essere retroattivo, dovendo valere a partire dalla statuizione definitiva sul punto ovvero dal concreto esercizio di tale diritto per come costituito. E poiche’ quella porzione immobiliare, benche’ oggetto di esproprio e poi di retrocessione, era sempre rimasta nel possesso degli appellanti principali, la sentenza ha stabilito che quella detenzione doveva considerarsi abusiva “fino alla statuizione definitiva sulla domanda di retrocessione”.
Esaminando tale questione, oggetto anche di uno dei motivi dell’appello incidentale tardivo di (OMISSIS), la Corte romana ha specificato che il diritto alla retrocessione dei beni espropriati, che ha natura di diritto potestativo, “porta all’emissione di una sentenza costitutiva che concretizza un nuovo atto di trasferimento dei beni immobili, con evidente irretroattivita’ della stessa pronuncia, emessa ex nunc”. Sulla base di questa premessa, la sentenza ha accolto il motivo di appello del Comune, rilevando che il risarcimento del danno relativo ai beni oggetto di retrocessione non poteva essere limitato, come aveva fatto il Tribunale, al periodo che va fino al 23 agosto 2003, data di pubblicazione della citata sentenza della Corte di cassazione, ma doveva essere calcolato tenendo presente che al momento del deposito della sentenza di primo grado la retrocessione non era, in effetti, avvenuta, perche’ il prezzo non era stato pagato. Per cui l’occupazione di quella porzione doveva ritenersi abusiva almeno fino al deposito della sentenza del Tribunale, cioe’ per un periodo di 22 anni, 6 mesi e 15 giorni. La relativa voce risarcitoria e’ stata quindi rideterminata nella somma, gia’ indicata, di Euro 273.411,61, oltre interessi.
La Corte d’appello, infine, ha rigettato i motivi quinto, sesto e settimo degli appelli principali, aventi ad oggetto la liquidazione del danno relativo alle porzioni di immobili non oggetto di retrocessione. Ha rilevato, a questo proposito, che il danno era stato determinato dal Tribunale in Euro 15.000 a metro quadrato con somma attualizzata al 1999, e quindi su valori medi tra la data di inizio della causa e quella di pronuncia della sentenza. In riferimento, poi, all’indennita’ di occupazione mensile dalla data della sentenza e fino al rilascio (sempre in riferimento alla superficie suindicata di mq 160,40), la sentenza ha osservato che tale indennita’ (pari ad Euro 1.477,49) aveva ad oggetto beni immobili occupati dagli appellanti “senza alcun titolo, malgrado la indiscussa natura di bene demaniale della storica cinta muraria della citta’”. Non sussisteva, quindi, “alcuna assenza di domanda di (OMISSIS)”, avendo quest’ultima chiesto il risarcimento a partire dall’occupazione del bene, avvenuta nel 1930, danno limitato a decorrere dal 1985 a causa dell’eccepita prescrizione. Quanto, infine, alla presunta eccessivita’ del quantum liquidato (settimo motivo), la Corte capitolina l’ha rigettato rilevando che la contestazione non teneva in alcun conto la grande durata dell’occupazione e la particolarita’ del bene storico in questione.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propongono ricorso principale (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS), (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS), e (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS), con un unico atto affidato a quattro motivi e affiancato da memoria.
Resiste (OMISSIS) con un controricorso contenente ricorso incidentale affidato a tre motivi.
I ricorrenti principali resistono con controricorso al ricorso incidentale di (OMISSIS).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullita’ della sentenza per omessa pronuncia sul gravame relativo alla prescrizione dedotto con l’appello, in violazione dell’articolo 112 c.p.c., per non aver la Corte territoriale esaminato il motivo di impugnazione relativo all’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno.
2. Con il secondo motivo del ricorso principale i ricorrenti propongono la medesima censura di cui al primo motivo, sotto il profilo della violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per omessa pronuncia sul motivo d’appello relativo all’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento dei danni.
3. Osservano i ricorrenti che il giudice d’appello, dopo aver ritenuto assorbiti i motivi del secondo gravame principale, in quanto sostanzialmente ripetitivi di quelli dedotti con il primo gravame principale, avrebbe omesso del tutto di pronunciarsi sulla domanda formulata, nel secondo appello principale, da (OMISSIS) in relazione all’omessa pronuncia del Tribunale sull’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni sollevata dai convenuti in primo grado, con cio’ violando l’articolo 112 c.p.c..
Secondo quanto sostenuto dai ricorrenti, nessuna richiesta risarcitoria avrebbe potuto avanzare il Comune di (OMISSIS), perche’ ampiamente prescritta, ai sensi dell’articolo 2947 c.c., in assenza di validi atti interruttivi.
4. Osserva la Corte che i due motivi, da trattare congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione tra loro esistente, sono privi di fondamento.
La Corte d’appello (pag. 5 della sentenza impugnata, terzultimo e penultimo capoverso) ha rilevato che la domanda di risarcimento dei danni era stata proposta dal Comune di (OMISSIS) a far data dal 1930 e che il Tribunale aveva limitato l’accoglimento della stessa entro il termine quinquennale della prescrizione, calcolando percio’ il risarcimento a decorrere dal 1985, posto che il giudizio era cominciato nel 1990. Gli stessi ricorrenti ne danno atto nel ricorso a pag. 5, ultimo capoverso. Tale decisione e’ corretta, perche’ il danno da occupazione temporanea costituisce illecito che si rinnova de die in diem.
La Corte d’appello, pur avendo ammesso che, come sostenuto dai ricorrenti, nel secondo appello principale era stata dedotta l’omessa pronuncia del Tribunale sull’eccezione di prescrizione (omessa pronuncia che, per le ragioni appena esposte, non c’e’, visto che il Tribunale aveva accolto tale eccezione), ha comunque confermato quanto statuito dal giudice di primo grado; per cui non puo’ parlarsi di omessa pronuncia, ma, tutt’al piu’, di rigetto implicito, derivante dal complesso delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata.
Non senza osservare che i motivi in esame, di per se’ non molto chiari nella formulazione, non consentono di comprendere quale ulteriore eccezione di prescrizione avrebbe dovuto essere accolta.
5. Con il terzo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 8 giugno 2001, n. 327, articoli 46 e 47, riguardo all’abusiva occupazione dei beni retrocessi.
I ricorrenti sostengono che la Corte d’appello avrebbe errato nel condannarli al risarcimento dei danni per l’illegittima occupazione dei beni oggetto di retrocessione, in quanto il fatto stesso che la Corte di cassazione abbia costituito, nel 2003, con sentenza, il diritto di retrocessione in loro favore dimostrerebbe che l’occupazione di quelle porzioni immobiliari era legittima.
In particolare, i ricorrenti censurano la sentenza del giudice di secondo grado sia nella parte in cui ha rigettato l’appello principale dei (OMISSIS), volto a contestare il carattere abusivo dell’occupazione, sia nella parte in cui ha accolto l’appello incidentale tardivo di (OMISSIS), teso a chiedere il risarcimento dei danni per occupazione abusiva di quella porzione immobiliare anche dopo la sentenza della Corte di cassazione, che aveva statuito la retrocessione dei beni, fino alla sentenza del giudice di prime cure nel presente giudizio. La censura osserva che l’intervenuta decadenza della dichiarazione di pubblica utilita’ fa venire meno il titolo giuridico di (OMISSIS) su quei beni, con conseguente infondatezza di ogni pretesa risarcitoria. Nella specie, poiche’ il giudizio per la retrocessione era cominciato nel 1973, il Comune non potrebbe lucrare un risarcimento per tutta la durata dello stesso, conclusosi con la sentenza n. 11839 del 2003 di questa Corte.
6. Ragioni di ordine logico impongono di esaminare questo motivo del ricorso principale insieme al primo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS), nel quale si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112 c.p.c., per aver omesso il giudice d’appello di pronunciarsi sul motivo di appello incidentale, contrassegnato con la lettera c) delle conclusioni, proposto dallo stesso Comune, con cui si chiedeva la condanna di tutti gli appellanti e di tutti gli altri convenuti nel giudizio di primo grado e dei loro eredi a corrispondere una somma di denaro mensile a titolo di indennita’ o di risarcimento dei danni per l’abusiva occupazione delle porzioni immobiliari di mq 109,73, poi oggetto di retrocessione, non solo fino alla pubblicazione della sentenza del Tribunale, ma anche fino all’effettivo rilascio degli immobili o alla concreta corresponsione del prezzo di retrocessione.
Ritiene il ricorrente incidentale che l’occupazione abusiva continui a perpetrarsi anche dopo la sentenza del Tribunale e che, di conseguenza, la Corte territoriale – avendo ritenuto abusiva l’occupazione dei (OMISSIS) per mancato pagamento del prezzo di retrocessione e dato che tale pagamento non era ancora stato eseguito, come ammesso anche dai ricorrenti principali – avrebbe dovuto accogliere anche quell’ulteriore motivo di appello, ampliando il relativo risarcimento. Cio’ in quanto il Comune dovrebbe essere considerato ancora proprietario fino a quando il prezzo di retrocessione non verra’ corrisposto.
7. Questi due motivi vanno evidentemente trattati insieme, perche’ hanno ad oggetto il medesimo problema, visto da angolazioni opposte.
I ricorrenti principali ritengono che, una volta intervenuta la pronuncia di accoglimento della domanda di retrocessione, l’originaria espropriazione diventerebbe retroattivamente illegittima, con conseguente infondatezza della relativa pretesa risarcitoria di (OMISSIS), nonostante la pacifica permanenza degli stessi ricorrenti nei beni originariamente espropriati.
(OMISSIS), viceversa, sostiene una tesi uguale e contraria, e cioe’ che l’obbligazione risarcitoria permarrebbe in capo agli espropriati, nonostante la sopravvenuta decisione irrevocabile di accoglimento della domanda di retrocessione, fino a quando il prezzo di quest’ultima non venga effettivamente pagato.
La Corte d’appello ha seguito una tesi intermedia, estendendo l’obbligazione risarcitoria – che il Tribunale aveva fatto terminare alla data del passaggio in giudicato della sentenza di questa Corte che rendeva irrevocabile l’accoglimento della domanda di retrocessione – fino al deposito della sentenza di primo grado.
7.1. I due motivi di ricorso ora sunteggiati pongono una serie di questioni concatenate.
In particolare, il problema di fondo sul quale questa Corte e’ chiamata a pronunciarsi consiste nello stabilire se la retrocessione si perfezioni con la pronuncia della sentenza definitiva che tale diritto riconosca, a prescindere dal pagamento del prezzo da parte dei privati, oppure se tale retrocessione non possa considerarsi perfezionata fin tanto che non venga pagato il relativo prezzo. Nel caso specifico, poi, la questione e’ resa piu’ complessa dal fatto che, mentre normalmente i privati che agiscono per la retrocessione hanno dismesso il possesso dei beni oggetto di espropriazione e attendono la retrocessione per ripristinarlo, nella vicenda che ci occupa e’ pacifico che i privati, cioe’ gli odierni ricorrenti principali, sono rimasti nel possesso di quella parte dei beni loro espropriati dei quali hanno poi ottenuto la retrocessione. Per cui si e’ posto ai giudici di merito il problema di stabilire fino a quando i privati debbano essere ritenuti occupanti illegittimi, con conseguente obbligo risarcitorio nei confronti di (OMISSIS).
7.2. Giova innanzitutto premettere che la presente causa e’ regolata, ratione temporis, dalle norme della L. 25 giugno 1865, n. 2359 (articoli 60-63), anche se il meccanismo delineato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 8 giugno 2001, n. 327, articoli 46 e 47 del, attualmente vigente, ne ripercorre, in sostanza, le medesime caratteristiche fondamentali.
Deve essere in proposito ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo stabilito che la retrocessione dei beni espropriati attua, nel concorso delle condizioni previste dalla legge, un nuovo trasferimento di proprieta’, con efficacia ex nunc, del bene espropriato e non utilizzato dall’espropriante, in conseguenza dell’esercizio del diritto potestativo dell’espropriato di ottenere il ritrasferimento mediante una sentenza costitutiva che modifichi la situazione giuridica posta in essere dal provvedimento espropriativo; ne consegue che il prezzo di retrocessione va determinato con riferimento al momento della pronuncia di retrocessione, costituendo essa il titolo di trasferimento del bene espropriato (cosi’ le Sezioni Unite, sentenza 8 giugno 1998, n. 5619, ribadita, tra le altre, dalla sentenza 24 maggio 2004, n. 9899, e dalle ordinanze 8 marzo 2018, n. 5574, e 23 settembre 2021, n. 25825).
La giurisprudenza, del resto, gia’ prima della decisione delle Sezioni Unite ora richiamata, aveva affermato che la retrocessione, lungi dal porre nel nulla il decreto di espropriazione, ne presuppone la perdurante operativita’, senza eliminarne gli effetti ma producendone di nuovi; effetti che si determinano, appunto, ex nunc nel momento in cui viene pronunciata la sentenza che, in difetto di accordo amichevole, tenga luogo della volonta’ delle parti e determini il relativo prezzo (sentenze 6 marzo 1992, n. 2715, e 20 febbraio 1998, n. 1776).
In piena sintonia con questa giurisprudenza e’ anche la gia’ citata sentenza n. 11839 del 2003 pronunciata nella vicenda odierna, nella quale questa Corte rigetto’ il ricorso proposto dagli eredi (OMISSIS), odierni ricorrenti principali, rendendo irrevocabile la sentenza 28 giugno 1999 della Corte d’appello di Roma che aveva determinato nella somma di lire 556.349.000 il prezzo della retrocessione.
7.3. Il consolidato principio giurisprudenziale ora ricordato, al quale l’odierna pronuncia intende dare ulteriore continuita’ e che e’ stato seguito anche dalla Corte d’appello di Roma, non risolve pero’ del tutto il problema in esame, che il Collegio ritiene debba essere affrontato avvalendosi dei principi generali contenuti nel codice civile, non essendoci alcuna specifica previsione sul punto ne’ nella L. n. 2359 del 1865 ne’ nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001.
E’ certo che la retrocessione non richiede necessariamente la pronuncia di una sentenza, posto che sia la L. n. 2359 del 1865, articolo 60, comma 2, sia il Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 48, comma 1, prevedono la possibilita’ che il prezzo sia determinato amichevolmente ovvero in via concordata tra le parti. Se pero’, com’e’ avvenuto nel caso di specie, tale accordo non c’e’ – tanto che gli eredi (OMISSIS) hanno dovuto promuovere un lungo giudizio per vedersi riconoscere il loro diritto alla retrocessione – la giurisprudenza suindicata stabilisce che in tal caso il prezzo debba essere determinato dal giudice nella sentenza; ed e’ quanto si e’ verificato anche nel caso odierno. Deve quindi muoversi dal presupposto secondo cui il passaggio in giudicato della sentenza che riconosce irrevocabilmente la fondatezza della domanda dei privati espropriati di ottenere la retrocessione tiene luogo, per cosi’ dire, del mancato accordo tra le parti; di talche’ il diritto insorge nel momento in cui tale passaggio in giudicato si perfeziona. Gli sviluppi successivi devono svolgersi nel rispetto delle regole generali, fra le quali in primo luogo quella contenuta nell’articolo 1376 c.c., secondo cui nei contratti con effetti reali “la proprieta’ o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”. E poiche’ non c’e’ stato un contratto con una manifestazione di consenso, la sentenza sostituisce a tutti gli effetti il mancato consenso; per cui l’effetto reale consegue alla definitivita’ della pronuncia (v. in tal senso gia’ la sentenza 27 gennaio 1998, n. 771).
D’altra parte, assumendo come riferimento, solo ai fini di un inquadramento sistematico della vicenda, le norme sul contratto di compravendita, al quale consegue il trasferimento della proprieta’ di una cosa o il trasferimento di un altro diritto (articolo 1470 c.c.), si ha che il pagamento del prezzo costituisce una delle obbligazioni del compratore (articolo 1498 c.c.), che pero’ non pospone ad un momento successivo il trasferimento della proprieta’ o del diritto in oggetto. Da un punto di vista giuridico, il vittorioso esperimento del diritto potestativo di retrocessione dei beni espropriati determina un nuovo trasferimento della proprieta’ del bene; da cio’ consegue l’obbligazione, per il privato, di pagare il prezzo stabilito in sentenza. Se tale obbligazione non viene adempiuta, il privato sara’ inadempiente, ma non per questo potra’ essere considerato un occupante illegittimo ai fini dell’obbligazione risarcitoria, perche’ il passaggio di proprieta’ si e’ ormai perfezionato e l’espropriazione giuridicamente non esplica piu’ alcun effetto.
Il Collegio non ritiene, pertanto, di poter condividere il remoto precedente di cui alla sentenza 3 settembre 1994, n. 7628 – unico, a quanto consta, ad aver affrontato il problema – secondo cui il riacquisto del diritto di proprieta’ si verrebbe a determinare solo dopo che, determinato il prezzo, esso sia stato pagato. Nella citata sentenza, infatti, tale conclusione non risulta motivata ex professo, posto che la decisione e’ centrata sull’affermazione, del tutto condivisibile, per cui la retrocessione ha effetto ex nunc; ma non pone alcuna argomentazione a supporto dell’ulteriore (non condiviso) passaggio.
Alla luce del complesso di tali considerazioni emerge come sia sostanzialmente irrilevante il problema, del quale le parti hanno pure lungamente dibattuto, dell’individuazione di chi sia “responsabile” del mancato pagamento del prezzo di retrocessione. La vicenda in esame, infatti, ha ad oggetto la necessita’ di stabilire il momento a partire dal quale gli odierni ricorrenti principali non possono piu’ essere considerati occupanti abusivi; e tale momento deve coincidere, come correttamente aveva stabilito il Tribunale di Roma, con la data del passaggio in giudicato della sentenza che stabilisce in via definitiva il riconoscimento del diritto alla retrocessione.
Consegue da quanto detto che il terzo motivo del ricorso principale e’ fondato nei sensi qui chiariti, perche’ (OMISSIS) avra’ diritto al risarcimento fino al momento in cui la retrocessione non sia divenuta irrevocabile e non dopo; mentre il primo motivo del ricorso incidentale deve specularmente essere rigettato.
8. Con il quarto motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione degli articoli 1226, 2043, 2056 e 2697 c.c., in relazione al danno da illegittima occupazione dei beni espropriati.
Il motivo censura il fatto che la sentenza impugnata abbia riconosciuto a favore del Comune un danno da occupazione abusiva senza porsi il problema dell’effettiva dimostrazione dello stesso. Viene richiamata, su questo punto, la giurisprudenza anche recente che esclude la configurabilita’ di un danno in re ipsa in relazione all’occupazione abusiva di beni immobili, specificando che il Comune non avrebbe non solo provato il danno, ma neppure allegato la sua esistenza.
8.1. Il Collegio rileva, innanzitutto, che questo motivo non e’ chiarissimo nella sua formulazione, perche’ sembra porre in dubbio l’esistenza del diritto di (OMISSIS) al risarcimento del danno per tutti i beni oggetto di espropriazione. Dal testo della sentenza impugnata e dall’impostazione complessiva del ricorso principale deve ritenersi pacifico, invece, che la contestazione riguarda la condanna, pronunciata dal Tribunale e confermata dalla Corte d’appello, al pagamento della somma di Euro 399.664,83 per l’occupazione di un’area della superficie convenzionale di mq 160,40, non oggetto della domanda di retrocessione, nonche’ quella al pagamento dell’indennita’ da occupazione mensile, fissata in Euro 1.477,49 al mese, oltre interessi legali, in riferimento alla stessa area di mq 160,40, decorrente dalla data di deposito della sentenza fino al rilascio effettivo di quelle porzioni immobiliari (ai sensi dell’articolo 1591 c.c.). Tale deduzione si impone perche’ il danno relativo alla parte dei beni oggetto della retrocessione e’ stato oggetto del precedente motivo di ricorso.
Va poi rigettata l’eccezione, sollevata da (OMISSIS), secondo cui il motivo in esame sarebbe inammissibile per essere passata in giudicato la sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza dell’an del diritto al risarcimento del danno, avendo i privati asseritamente censurato soltanto l’esistenza di una prova sul quantum. L’eccezione, pure in astratto condivisibile, e’ destituita di fondamento nel caso specifico, poiche’ dal complessivo tenore della sentenza impugnata e degli atti difensivi delle parti risulta palese che la contestazione degli eredi (OMISSIS) era su questo punto globale, di talche’ non potrebbe ritenersi esistente un giudicato sull’an.
8.2. Cio’ premesso, la Corte ritiene che la censura sia priva di fondamento.
Com’e’ stato rilevato dai ricorrenti principali nella memoria difensiva di cui all’articolo 378 c.p.c., la questione posta dal motivo in esame e’ stata affrontata nella recente sentenza 15 novembre 2022, n. 33645, delle Sezioni Unite di questa Corte.
La citata decisione ha enunciato, tra l’altro, il principio di diritto secondo cui, in tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario e’ tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilita’ di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, e’ chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza. In caso di impossibilita’ di provare tale danno nel suo preciso ammontare, esso e’ liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato.
Le Sezioni Unite avevano in esame un caso in cui la controversia era tra due parti private. Tant’e’ che la stessa decisione ha avuto cura di precisare (v. punto 4.8. della motivazione) come la situazione sia diversa in relazione alla fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 42-bis, nella quale la determinazione forfettaria dell’indennizzo trova il suo fondamento nel rapporto “fra privato e pubblica amministrazione, istituzionalmente asimmetrico dal punto di vista del potere”. Il passaggio ora menzionato, pero’, non puo’ essere utilmente seguito ai fini della risoluzione del problema oggi in esame, perche’ le Sezioni Unite fanno chiaro riferimento ad un’ipotesi in cui e’ la Pubblica Amministrazione ad arrecare il danno al privato, mentre nella vicenda odierna la situazione e’ capovolta, perche’ e’ (OMISSIS) a lamentare il danno conseguente al protrarsi dell’illegittima occupazione da parte dei privati. Devono quindi valere le regole generale di cui alla citata pronuncia, alla quale va data continuita’.
La sentenza impugnata, pero’, benche’ motivata in modo molto stringato (e non solo su questo punto), resiste alle censure dei ricorrenti in considerazione dell’assoluta particolarita’ della vicenda.
Non si sta discutendo, infatti, di un immobile qualsiasi per il quale il privato e’ tenuto a dimostrare l’effettiva esistenza di un danno conseguente all’occupazione senza titolo da parte del terzo. L’immobile in questione e’ costituito da un segmento del complesso delle (OMISSIS) della citta’ di (OMISSIS), monumento unico e di rilevanza storica indiscutibile, in relazione al quale si e’ protratta per un tempo lunghissimo – e, a quanto pare, dura ancora – una situazione di abusiva occupazione da parte degli odierni ricorrenti principali. La sentenza impugnata ha affermato, dimostrando piena consapevolezza del problema, la “particolare difficolta’ di elaborare un valore in assenza di parametri di riferimento (valori locatizi), non essendovi ovviamente un immobile simile oggetto di locazione”. Come correttamente ha osservato (OMISSIS) nel suo controricorso, e’ impensabile che le (OMISSIS) possano essere gestite e utilizzate come un immobile qualunque; cosi’ com’e’ evidente che un ente territoriale come (OMISSIS) non puo’ avviare trattative come un qualsiasi privato, e men che meno fino a quando il bene e’ occupato.
Ne consegue che, in considerazione della particolarita’ del bene, dell’estrema difficolta’ di dimostrare l’entita’ del danno economico derivante dall’occupazione senza titolo, della complessita’ delle procedure alle quali gli enti territoriali devono fare ricorso in simili casi e di tutti gli elementi della vicenda, globalmente considerati, il danno debba considerarsi dimostrato in modo sufficiente attraverso la prova presuntiva, che e’ implicitamente ma chiaramente individuata nella motivazione della Corte d’appello.
Dal che deriva il rigetto del quarto motivo.
9. Con il secondo motivo di ricorso incidentale (OMISSIS) lamenta nullita’ della sentenza, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4) c.p.c., per violazione dell’articolo 112 c.p.c., per aver omesso il giudice d’appello di pronunciarsi sul motivo d’appello incidentale, contrassegnato con la lettera d) delle conclusioni, proposto dallo stesso Comune al fine di chiedere la condanna, in solido, di tutti gli appellanti nonche’ di tutti gli altri convenuti nel giudizio di primo grado e dei loro eredi al pagamento di una somma da valutare equitativamente, ex articolo 1226 c.c., sia per l’arbitraria effettuazione di lavori di chiusura delle (OMISSIS) ed all’interno delle stesse sia per l’effettuazione dei lavori di ripristino dello status quo ante, nonche’ per il danno da lesione dell’immagine del Comune, cagionato dall’effettuazione di tali lavori ed opere abusivi.
Secondo il ricorrente incidentale, la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi su questo motivo di appello. Nonostante la testimonianza e la c.t.u. nel corso del giudizio di primo grado abbiano confermato che tutti i convenuti, sfruttando l’aderenza dell’immobile da loro occupato con le (OMISSIS), abbiano ricavato ulteriori superfici, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non provato il danno da parte del Comune e nel non quantificarlo in via equitativa ex articolo 1226 c.c.; e la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla censura dallo stesso Comune proposta in relazione a questo punto.
9.1. Il motivo e’ fondato.
E’ vero, come osservano i ricorrenti principali nel controricorso al ricorso incidentale, che la sentenza sembra aver affrontato il punto nel secondo e terzo capoverso di p. 4 della motivazione.
La Corte rileva, pero’, che, anche volendo trascurare l’estrema stringatezza dei passaggi ivi contenuti, trascritti nel controricorso degli eredi (OMISSIS) – stringatezza che non consente di capire affatto di quali beni e di quale domanda si stia parlando – resta il fatto decisivo che quella parte della motivazione ha ad oggetto gli appelli principali, cioe’ quelli dei privati espropriati. Dal testo residuo della motivazione non risulta, invece, che la Corte d’appello si sia occupata del diverso problema – che (OMISSIS) aveva posto come motivo di appello incidentale (lettera d) – costituito dalla domanda di risarcimento dei danni per l’arbitraria effettuazione di lavori di chiusura e di modifica dell’interno delle (OMISSIS) asseritamente compiuti dagli odierni ricorrenti principali, nonche’ del danno all’immagine arrecato.
La domanda era stata esaminata e rigettata dal Tribunale, ma l’appello incidentale non risulta aver avuto una risposta, quale che sia; ne’ puo’ parlarsi di rigetto implicito, perche’ le argomentazioni utilizzate non consentono di fare riferimento a simile ipotesi.
L’omissione di pronuncia impone, dunque, l’accoglimento del motivo in esame.
10. Con il terzo motivo del ricorso incidentale si lamenta, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4) c.p.c., violazione dell’articolo 112 c.p.c. per aver la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta di stralcio ritualmente formulata nel giudizio d’appello.
Il Comune di (OMISSIS) chiede la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta di stralcio, formulata nel giudizio d’appello, della documentazione tardivamente depositata nel giudizio d’appello in data 21 dicembre 2015, unitamente alle comparse di costituzione e risposta, nonche’ nell’ulteriore documentazione depositata, anch’essa tardivamente, all’udienza del 24 febbraio 2016.
10.1. Il motivo e’ inammissibile.
Osserva la Corte che, anche volendo trascurare l’irritualita’ del modo col quale la questione e’ stata posta (v. ricorso incidentale di (OMISSIS) a p. 24, dove si sta rispondendo, in effetti, al terzo motivo del ricorso principale), la censura e’ del tutto generica in quanto priva di specificita’; e comunque non vi e’ prova certa del fatto che la questione sia stata posta davvero nel giudizio di merito.
11. In conclusione, sono rigettati i motivi primo, secondo e quarto del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale; e’ dichiarato inammissibile il terzo motivo del ricorso incidentale; sono accolti il terzo motivo del ricorso principale, nei sensi di cui in motivazione, e il secondo motivo del ricorso incidentale.
La sentenza impugnata e’ cassata in relazione e il giudizio e’ rinviato alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione personale, la quale decidera’ il merito attenendosi al seguente principio di diritto:
“In materia di espropriazione per pubblica utilita’, qualora venga accolta la domanda giudiziale di retrocessione proposta dal privato espropriato, con determinazione del relativo prezzo, l’effetto reale del trasferimento della proprieta’ si determina ex nunc nel momento del passaggio in giudicato della sentenza che accoglie tale domanda e a prescindere dal pagamento del relativo prezzo. Ne consegue che, ove il privato espropriato sia rimasto nel possesso del bene durante lo svolgimento della procedura di espropriazione e del successivo giudizio di retrocessione, il mancato pagamento, da parte sua, del prezzo stabilito in sentenza costituisce inadempimento, ma non impedisce il venire meno del carattere abusivo di tale occupazione ai fini del risarcimento del danno spettante alla Pubblica Amministrazione”.
Al giudice di rinvio e’ demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta i motivi primo, secondo e quarto del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale; dichiara inammissibile il terzo motivo del ricorso incidentale; accoglie il terzo motivo del ricorso principale, nei sensi di cui in motivazione, e il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.
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