Comunicazioni di cancelleria ex artt. 136 c.p.c. e 45 disp. att. c.p.c.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 29 ottobre 2018, n. 27402

La massima estrapolata:

Benché le comunicazioni di cancelleria debbano avvenire, di norma, con le forme previste dagli artt. 136 c.p.c. e 45 disp. att. c.p.c. (consegna del biglietto effettuata dal cancelliere al destinatario ovvero notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario), esse possono essere validamente eseguite anche con modalità equipollenti, sempreché risulti la certezza dell’avvenuta consegna.

Sentenza 29 ottobre 2018, n. 27402

Data udienza 30 gennaio 2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 12616-2013 proposto da:
(OMISSIS) ex articolo 86 c.p.c., (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1211/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/01/2018 dal Consigliere Dr. RAFFAELE SABATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE SERGIO che ha concluso per il rigetto del ricorso, in subordine per l’accoglimento del secondo motivo per quanto di ragione e per il rigetto dei restanti motivi del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega dell’Avvocato (OMISSIS), difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 1/8/1996 (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno dedotto aver i germani (OMISSIS), Antonio, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con atto a rogito del notaio (OMISSIS) del 2/8/1995 sciolto la comunione ereditaria tra loro esistente del comune genitore (OMISSIS) formando cinque quote e comprendendo nell’asse ereditario anche un’area derivata dalla particella (OMISSIS), poi ricompresa nella quota attribuita a (OMISSIS), in realta’ non rientrante nell’asse.
1.1. Gli attori hanno esposto che l’area in questione originasse da un arbitrario frazionamento della particella (OMISSIS), la quale era inserita nella comunione incidentale, ancora indivisa, esistente tra gli aventi causa di (OMISSIS), tra cui era compreso (OMISSIS). (OMISSIS), pertanto, era titolare di una quota indivisa della particella (OMISSIS), e non di un’area determinata.
1.2. Hanno chiesto quindi nei confronti di (OMISSIS) dichiararsi la nullita’ della divisione, il regolamento dei confini e il risarcimento del danno.
1.3. La parte convenuta ha resistito eccependo il difetto di legittimazione attiva degli attori per mancata produzione dei titoli.
1.4. Nel corso del giudizio gli attori hanno promosso querela incidentale di falso avverso l’atto pubblico di divisione, sul presupposto della non corrispondenza, al vero delle dichiarazioni in esso contenute, in particolare con riferimento alla titolarita’ in capo a (OMISSIS), dichiarata dai suoi eredi condividenti, di una quota ideale di 750/1000 della particella (OMISSIS), facendo poi derivare da tale premessa l’attribuzione ai medesimi condividenti di una quota reale corrispondente alla particella (OMISSIS), derivata dalla 43, di are 15,77.
1.5. Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sospeso il giudizio di merito, con sentenza depositata il 9/2/2007 ha dichiarato inammissibile la querela di falso, argomentando che il notaio si fosse limitato al mero recepimento delle dichiarazioni delle parti, senza accertare direttamente l’effettiva corrispondenza delle dichiarazioni di successione presupposte alle reali titolarita’ dei beni oggetto della divisione; mancava pertanto, secondo il primo giudice, la fede privilegiata, non trattandosi. di dichiarazioni o accertamenti direttamente riferiti al notaio, per cui la querela era inammissibile.
2. La predetta decisione e’ stata appellata, invocandosi: la nullita’ della sentenza per omessa partecipazione del p.m. al giudizio; l’erronea interpretazione della domanda operata dal primo giudice, che non aveva valutato la divergenza tra le dichiarazioni delle parti, ricevute dal notaio, ne’ i titoli di provenienza; l’erronea limitazione dell’indagine alle sole dichiarazioni di successione; l’erronea
valutazione delle conclusioni del che aveva archiviato il
procedimento penale relativo ai fatti oggetto del giudizio, posto che il tribunale non aveva valutato che anche un comportamento colposo puo’ dar luogo a un atto falso; l’omessa valutazione dell’inadempimento del notaio, che avrebbe dovuto eseguire le verifiche sull’effettiva titolarita’ dei beni oggetto di divisione; la contraddittorieta’ della decisione nella parte in cui, dopo aver ritenuto ammissibile la querela di falso, aveva tuttavia affermato che la prova della fondatezza della domanda avrebbe potuto essere fornita dagli attori con ogni mezzo; l’erroneo diniego dell’ammissione dei mezzi istruttori invocati dagli attori.
2.1. Con sentenza depositata il 4/4/2012 la corte d’appello di Napoli ha respinto l’eccezione di nullita’ per omessa partecipazione del p.m. in primo grado, argomentando: che detta partecipazione non e’ obbligatoria ma soltanto eventuale, essendo obbligatorio il mero avviso al p.m. che lo metta in grado di partecipare; che detto avviso risultava dalle annotazioni a margine del verbale di udienza del 4.8.2006 e del 23.10.2006; che comunque l’intervento del p.m. si esplicherebbe in concreto nell’udienza ex articolo 223 c.p.c. e nelle formalita’ di deposito dell’originale dell’atto contestato, adempimenti nella specie non avutisi in quanto la querela non concerneva il documento in quanto tale, ma la ipotizzata contraddizione esistente tra le risultanze di esso e i titoli di provenienza dei condividenti. Pertanto, secondo la corte territoriale, il tribunale aveva correttamente ritenuto inammissibile la querela.
2.2. Considerato poi che in sede di appello era stata proposta la domanda, nuova rispetto al primo grado, di accertamento della nullita’ del contratto di divisione, che non costituiva oggetto del giudizio incidentale di falso, ma di quello principale rimasto sospeso, la corte ha ritenuto inammissibile l’appello.
3. Hanno proposto ricorso per la cassazione di detta sentenza (OMISSIS) ed (OMISSIS), affidandosi a tre motivi illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso.
(OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo mezzo si lamenta la violazione degli articoli 70, 71, 101, 102, 112, 156, 158, 221, 222 c.p.c. e ss., nonche’ l’omessa, illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo.
1.1. Nell’ambito della doglianza, con un primo gruppo di censure, costituenti in effetti un autonomo motivo, i ricorrenti sostengono che la corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che le annotazioni a margine dei verbali di udienza di prime cure dimostrassero l’avvenuto avviso al p.m. Non sarebbe infatti spiegato in cosa consisterebbero tali annotazioni; a quale soggetto esse sarebbero riferibili; in base a quale norma esse potrebbero essere ritenute sufficienti a provare l’avviso. I ricorrenti lamentano anche che la sentenza farebbe riferimento a un ipotetico smarrimento del fascicolo di prime cure, che tuttavia non risulterebbe dagli atti, nonche’ avrebbe omesso di valutare se il primo giudice avesse rispettato l’articolo 222 c.p.c., ipotizzando una diversa disciplina processuale della querela di falso avente ad oggetto falsita’ materiali del documento, rispetto a quella avente ad oggetto piuttosto falsita’ ideologiche.
1.2. Con un secondo profilo di censura, costituente anch’esso motivo autonomo, invece, i ricorrenti lamentano che la corte d’appello avrebbe in effetti omesso anch’essa la dovuta informativa al p.m. per il procedimento pendente innanzi a se’, con conseguente nullita’ della sentenza di appello.
1.3. Le doglianze, in quanto proposte ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono inammissibili, in quanto in effetti la parte ricorrente si duole di argomentazioni relative a errores in procedendo, onde le motivazioni che sorreggono le argomentazioni stesse sono parte integrante delle censure per violazione di norme processuali.
1.4. Quanto alle doglianze riferite a violazioni di norme (senza che rilevi la circostanza che sia stato erroneamente invocato anche il parametro relativo a norme sostanziali ex n. 3 della citata disposizione di rito, non in rilievo nel caso in esame), le stesse ammissibili in quanto, diversamente “da quanto assume la parte controricorrente, adeguatamente menzionati nel ricorso i passaggi impugnati della sentenza della corte d’appello – sono infondate. Invero, deve richiamarsi che il giudizio di falso di cui trattasi, sia in primo grado che in appello, non e’ mai pervenuto alla fase di accertamento del falso, essendosi limitato alla fase preliminare di ammissibilita’. In tal senso, va data continuita’ all’indirizzo (per il quale v. Cass. n. 22979 del 02/10/2017, n. 5902 del 23/04/2002 e n. 12444 del 20/09/2000) secondo cui l’intervento del p.m. nel giudizio di falso e’ necessario nella fase relativa all’accertamento del falso medesimo, ma non anche in quella preliminare, in cui si decide dell’ammissibilita’ dell’azione e della rilevaniza del documento, giacche’ soltanto con l’effettiva promozione di accertamenti della falsificazione denunciata si coinvolge il generale interesse all’intangibilita’ della pubblica fede dell’atto, che l’organo requirente e’ chiamato a tutelare. Di tanto e’ esplicito richiamo nella sentenza impugnata ove e’ detto che l’intervento del p.m., “connesso alla tutela della pubblica fede”, “si esplica, in concreto, nell’udienza di cui all’articolo 223 c.p.c.” che, mediante il deposito del documento, segna l’avvio dell’accertamento della falsita’, “adempimenti… omessi in quanto… la querela e’ stata correttamente ritenuta inammissibile” (pp. 3 e 4): Da cio’ deriva la mancanza di pregio di tutte le censure coacervate nel motivo, posto che ne’ in primo grado ne’ in appello (profilo quest’ultimo oggetto di un profilo di censura) era necessario l’intervento del p.m.
1.5. Solo per completezza, dunque, si possono esaminare alcuni aspetti investiti da critica. In ordine al primo gruppo di censure sopra riepilogate, a prescindere da quanto sopra rilevato circa la non necessita’ dell’intervento del p.m., si puo’ osservare che la sentenza impugnata ha, comunque, proceduto a retta applicazione dell’articolo 71 c.p.c., comma 1, per il quale il giudice, nelle cause in cui e’ obbligatorio l’intervento del p.m., semplicemente “ordina la comunicazione degli atti al pubblico ministero affinche’ possa intervenire” e, quindi, all’indirizzo interpretativo consolidato di questa corte per cui al fine dell’osservanza delle norme che prevedono l’intervento obbligatorio del p.m. nel procedimento per querela di falso a tutela di interessi generali per la pubblica fede, ai sensi dell’articolo 221 c.p.c., comma 3, non e’ necessaria la presenza di un rappresentante di tale ufficio nelle udienze, ne’ la formulazione di conclusioni, essendo sufficiente che il p.m., mediante l’invio degli atti, sia informato del giudizio e posto in condizione di sviluppare l’attivita’ ritenuta opportuna (Cass. n. 11223 del 21/05/2014, n. 22567 del 02/10/2013 e n. 25722 del 24/10/2008). Sono dunque prive di fondamento anche da tale punto di vista’ le opposte tesi sostenute dalla parte ricorrente.
1.6. Quanto, poi, alla contestazione operata dalla parte ricorrente dell’accertamento contenuto nella sentenza impugnata circa l’esistenza di due annotazioni contenute a margine dei verbali di udienza del 20/7/2006 e del 19/10/2006, l’accesso agli atti consentito a questa corte dalla natura processuale della doglianza mette in condizione di verificare in primo luogo l’esistenza di dette attestazioni in cancelleria, smentendosi i dubbi sollevati dai ricorrenti: esse si concretano in attestazioni mediante l’abbreviazione “f.a.” (fatto avviso), opportunamente datata, della, cui provenienza dalla cancelleria non e’ sollevato alcun dubbio specifico, genericamente dubitandosi della provenienza solo in questa sede di legittimita’. In secondo luogo, quanto alle ulteriori doglianze, va richiamato l’indirizzo di questa corte secondo cui, benche’ le comunicazioni di cancelleria debbano avvenire, di norma, con le forme previste dall’articolo 136 c.p.c. e articolo 45 disp. att. c.p.c. (consegna del biglietto effettuata dal cancelliere al destinatario ovvero notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario), esse possono essere validamente eseguite anche in forme equipollenti, sempreche’ risulti la certezza dell’avvenuta consegna. Cio’ consente di ritenere sufficienti prassi come quella della apposizione della dizione “fatto avviso” (breviter, come detto, “f.a.”) o “presa visione” (breviter, “p.v.”) con indicazione della data di trasmissione effettuata dal personale della cancelleria o di presa visione del destinatario (cosi’ Cass. n. 7238 del 29/03/2006 e, conformi, n. 19727 del 23/12/2003 e n. 6221 del 29/04/2002). Tali attestazioni sono ancor piu’ sufficienti nel caso di specie, in cui la comunicazione e’ stata rivolta al p.m., e non a una parte privata, organo cui – di norma – non sono necessarie comunicazioni con biglietto di cancelleria ma e’ sufficiente la comunicazione degli atti originali (in questo caso indicando il termine “comunicazione” la materiale trasmissione) tra l’ufficio giudicante e quello requirente (v. articolo 71 c.p.c. e, coerentemente, articolo 1 disp. att. c.p.c.), attivita’ di mera rilevanza interna agli uffici.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 2700 e 2722 c.c. nonche’ degli articoli 112, 221 e 345 c.p.c., nonche’ l’omessa, illogica e contraddittoria motivazione, per avere la corte territoriale ritenuto nuova la domanda di accertamento della nullita’ del contratto di divisione, omettendo di interpretare la domanda, che sarebbe stata tesa a verificare la falsita’ ideologica dell’atto contestato mediante il raffronto tra le dichiarazioni in esso contenute ed i titoli di provenienza dei beni oggetto della divisione. Secondo i ricorrenti, da tale raffronto emergerebbe la dolosa trasformazione di una quota ideale di un terreno in una porzione reale di detto bene, poi individuata catastalmente mediante un arbitrario frazionamento. In sostanza, la domanda di accertamento della nullita’ della divisione non si sostituirebbe, ne’ si aggiungerebbe, alla domanda di accertamento della falsita’, ma ne costituirebbe la logica conseguenza.
2.1. Il motivo, inammissibile per quanto gia’ sopra detto quanto alla censura relativa alla presunta carenza motivazionale, e’ infondato per quanto attiene alle doglianze per violazione di legge. Invero la sentenza impugnata ha dato retta applicazione all’articolo 2700 c.c. che, sotto la rubrica “efficacia dell’atto pubblico”, dispone chiaramente che “l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonche’ delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”. In questo senso, va data continuita’ ai precedenti consolidati di questa corte nel senso che, se l’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico e’ limitata ai fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza e alla provenienza delle dichiarazioni, l’attestazione del pubblico ufficiale non si estende mai all’intrinseca veridicita’ di esse (o dei relativi presupposti) o alla loro rispondenza all’effettiva intenzione delle parti (v. ad es. Cass. n. 11012 del 09/05/2013 e n. 25213 del 27/11/2014), le quali possono essere contrastate e accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, senza ricorrere alla querela di falso (v. ad es. Cass. n. 22903 del 29/09/2017); detta efficacia neppure si estende ai giudizi valutativi’dello stesso pubblico ufficiale ne’ attesta la validita’ del consenso (v. Cass. n. 3787 del 09/03/2012 e n. 9649 del 27/04/2006); in tal senso, non va invece data continuita’ all’orientamento giurisprudenziale di matrice penalistica, contrastante con la stessa lettera dell’articolo 2700 c.c., cui pare richiamarsi la parte ricorrente, secondo la quale l’efficacia dell’atto pubblico (in particolare, anche notarile, pur trattandosi di orientamento formatosi in materia di atti amministrativi basati su precedenti) si amplierebbe alla prova delle manifestazioni di volonta’ avutesi innanzi al rogante, nonche’ agli elementi descrittivi e ai presupposti anche impliciti dell’atto, quali la giuridica disponibilita’ e commerciabilita’ dei beni oggetto dell’atto (cosi’ ad es. Cass. pen. n. 50668 del 03/11/2016 e n. 24972 del 26/04/2012, che traggono spunto all’uopo dall’oggetto della prestazione d’opera del notaio in virtu’ dell’articolo 47 della legge notarile, che non si ridurrebbe al mero accertamento della volonta’ delle parti, cio’ che pero’ non spiega come si passi dal piano dell’eventuale inadempimento del professionista rispetto al cliente a quello della fidefacenza nei confronti della generalita’; v. in senso diverso ad es. Cass. pen. n. 35999 del 03/06/2008 e, nel testo, n. 22200 del 19/01/2017).
2.2. Quanto precede e’ sufficiente a smentire l’assunto delle ricorrenti, secondo le quali sarebbe possibile un impatto sulla veridicita’ delle dichiarazioni attestate dall’atto in conseguenza dell’eventuale “nullita’” connessa alla “trasformazione” di una quota ideale di un terreno in una porzione reale di detto bene; cio’ che esenta questa corte dall’esaminare gli ulteriori eventuali profili per cui il motivo debba essere disatteso, posto che il rigetto dell’appello sul punto, quale operato dalla corte territoriale, risulterebbe conforme al diritto anche ove si volesse tener conto – come innanzi – della prospettazione offerta dai ricorrenti in questa sede.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 2700 e 2722 c.c., nonche’ degli articoli 112 e 221 c.p.c. oltre omessa, illogica e contraddittoria motivazione, per avere la corte territoriale omesso di considerare che per la proposizione di querela di falso in sede civile non e’ necessaria la prova della coscienza e della volonta’ dell’immutazione del vero, ma e’ sufficiente che la dichiarazione non veritiera derivi da imperizia, leggerezza o negligenza..
3.1. L’esame del motivo e’ assorbito dal rigetto del precedente, in base al quale l’accertamento oggetto della domanda deve ritenersi esulare dall’oggetto della querela di falso.
4. In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna dei ricorrenti alle spese come in dispositivo. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 4.000 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater da’ atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis.

Avv. Renato D’Isa

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