Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 marzo 2023| n. 6338.
Il comproprietario può concedere in locazione la cosa comune nei limiti della propria quota ideale
Il comproprietario può concedere in locazione la cosa comune nei limiti della propria quota ideale, dal momento che il potere di disporre di quest’ultima – assicurato a ciascun partecipante alla comunione dall’art. 1103 c.c. – non è limitato dalla disposizione di cui all’art 1105 c.c., la quale regola il potere di amministrazione della cosa comune nella sua interezza.
Ordinanza|2 marzo 2023| n. 6338. Il comproprietario può concedere in locazione la cosa comune nei limiti della propria quota ideale
Data udienza 19 gennaio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Contratto di affitto agrario – Locazione della quota di bene comune – Legittimità della detenzione – Genericità delle censure – Logicità della motivazione – Inammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere
Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30432/2020 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutte rappresentate e difese, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. Esterini Giovanni, domiciliate per legge in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Liuzzo Scorpo Massimo, domiciliato per legge in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta – Sezione Specializzata Agraria – n. 67/2020, pubblicata in data 24 aprile 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 gennaio 2023 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina A. P..
Il comproprietario può concedere in locazione la cosa comune nei limiti della propria quota ideale
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo che, con sentenza n. 277/00 del Tribunale di Nicosia, era stato dichiarato cessato il rapporto di affitto agrario di fondi rustici intercorso con (OMISSIS) e che l’esecutivita’ della condanna di rilascio era stata condizionata all’emissione di polizza fideiussoria, convennero in giudizio il predetto chiedendone la condanna al risarcimento del danno loro procurato per ogni annata agraria compresa tra il 1997-1998 ed il 2008-2009, considerato che solo in data 20 aprile 2009, a seguito di azione esecutiva, avevano riottenuto alcuni dei fondi concessi, con esclusione di tre mappali, e che il convenuto nulla aveva corrisposto per il periodo di illegittima detenzione; chiesero, altresi’, che venisse accertato che la sentenza n. 277/00 si riferiva anche ai mappali non riconsegnati o, in subordine, che venisse dichiarata la risoluzione del contratto di affitto ed il convenuto venisse condannato al risarcimento del danno da abusiva occupazione. Le attrici avanzarono pure domanda di risarcimento del danno emergente patito a causa del deterioramento del fondo e del danno da lucro cessante per la perdita dei contributi comunitari legati al fondo.
Il (OMISSIS), costituendosi in giudizio, eccepi’ la prescrizione quinquennale dei diritti vantati dalle attrici e la infondatezza nel merito delle pretese avanzate, rilevando che, per i fondi in affitto oggetto di risoluzione giudiziale, la detenzione era stata legittima fino alla notifica della polizza fideiussoria cui era stato condizionato il rilascio, intervenuta il 13 febbraio 2008, e che aveva ripreso ad essere legittima a partire dal 25 febbraio 2009, data in cui (OMISSIS), comproprietario dei medesimi terreni, gliene aveva concesso in affitto la quota di cui era titolare; spiegando domanda riconvenzionale, chiese pertanto di accertare l’esistenza del contratto di affitto di quota indivisa.
In via di reconventio reconventionis, le attrici chiesero che il risarcimento del danno fosse calcolato fino al momento dell’effettivo rilascio, posto che il convenuto, opponendo il contratto di affitto concluso con (OMISSIS), aveva mantenuto il possesso di tutti i fondi.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva, rigetto’:
a) la domanda volta a far dichiarare che la sentenza n. 277/2000 avesse ad oggetto anche i fondi censiti al foglio n. (OMISSIS), particelle nn. (OMISSIS), nonche’ la domanda di risarcimento dei danni per l’occupazione di quei fondi;
b) dichiaro’ inammissibile la domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di affitto dei medesimi terreni, perche’ non preceduta dall’esperimento del tentativo di conciliazione e dalla preventiva contestazione delle mancanze, ai sensi della L. n. 203 del 1982, articolo 5, comma 3;
c) dichiaro’ improcedibile per carenza di interesse ad agire la domanda riconvenzionale di accertamento del contratto di affitto della quota dei terreni di proprieta’ di (OMISSIS);
d) condanno’ il convenuto al risarcimento, in favore delle attrici, ai sensi dell’articolo 1591 c.c., del danno dalle stesse patito per il periodo di illegittima detenzione dei fondi rustici, a partire dal 13 febbraio 2008, data di intimazione del precetto per rilascio con cui il convenuto era stato edotto che il 14 gennaio 2008 era stata emessa la polizza fideiussoria, e fino al 25 febbraio 2009, data del contratto di affitto intercorso tra il convenuto e (OMISSIS);
e) liquido’ detto danno sulla base di un canone di locazione calcolato dal c.t.u. in Euro 144,2 per ettaro, anche tenendo conto dei cd. “titoli”, premi e contributi pubblici disponibili;
f) rigetto’ la domanda spiegata dalle attrici in via di reconventio reconventionis.
Con successiva sentenza definitiva il Tribunale rigetto’ le domande di risarcimento dei danni che le attrici assumevano di avere subito a causa del deterioramento del fondo, oltre che la domanda di risarcimento dei danni da lucro cessante per la perdita dei contributi comunitari legati al fondo.
2. Interposto appello principale dalle (OMISSIS) ed appello incidentale condizionato da (OMISSIS) per la riforma del capo della sentenza non definitiva con cui era stata dichiarata improcedibile la domanda di accertamento della sussistenza del contratto di affitto della quota di cui era comproprietario (OMISSIS), la Corte d’appello di Caltanissetta ha condannato (OMISSIS) al risarcimento del danno patrimoniale da illegittima detenzione dei fondi per il periodo dal 21 novembre 1998 al 25 febbraio 2009, confermando nel resto le sentenze di primo grado.
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I giudici di appello hanno, in primo luogo, osservato che la sentenza condizionata alla prestazione della fideiussione aveva paralizzato esclusivamente la tutela esecutiva della pretesa alla restituzione del fondo, ma non il diritto di credito del concedente ad una somma pari al corrispettivo convenuto, salvo il risarcimento del maggior danno, come previsto dall’articolo 1591 c.c., di talche’ essendo incontestata l’utilizzazione dei fondi da parte di (OMISSIS), il dies a quo del debito ex articolo 1591 c.c. doveva farsi decorrere non dal 13 febbraio 2008, come ritenuto dal Tribunale, ma dalla data di cessazione del rapporto di affitto agrario, come accertata dalla sentenza n. 277/00, per cui il credito delle (OMISSIS) decorreva dall’11 novembre 1997, data di inizio dell’annata agraria 1997/1998. Considerato, tuttavia, che il credito, soggetto a prescrizione decennale, non era stato fatto valere dalle (OMISSIS) con il ricorso introduttivo del giudizio definito con la sentenza n. 277/00, la prescrizione operava sino al 21 novembre 1998, essendo stata interrotta dal solo atto di diffida e di messa in mora del 21 novembre 2008. La Corte territoriale ha pure accertato che, a seguito di opposizione proposta dal (OMISSIS) avverso l’esecuzione intrapresa in forza della sentenza n. 277/00, le germane (OMISSIS), in data 20 aprile 2009, erano state immesse dall’ufficiale giudiziario nel possesso dei fondi, ma che in quella sede il (OMISSIS) aveva opposto di non essere tenuto al rilascio del fondo, atteso che le quote ideali di comproprieta’ non appartenevano nella totalita’ alle (OMISSIS) e che egli deteneva il fondo in forza di nuovo ed autonomo contratto di affitto concluso in data 25 febbraio 2009 con (OMISSIS); l’immissione delle (OMISSIS) nel possesso del fondo doveva, quindi, intendersi effettuata nei limiti del titolo esecutivo costituito dalla sentenza n. 277/00 e, dunque, per le loro quote di comproprieta’, ed il dies ad quem dell’illegittima detenzione, da parte dell’appellato, doveva farsi coincidere con la data di stipula del contratto di affitto tra i (OMISSIS), momento dal quale le (OMISSIS) non potevano piu’ vantare un diritto al risarcimento del danno, ma solo una pretesa sui frutti del fondo nei limiti della loro quota, non esercitata in giudizio. Ha, inoltre, respinto il motivo di gravame con il quale le (OMISSIS) censuravano la quantificazione del canone di affitto come parametro di riferimento ai fini della liquidazione del danno ex articolo 1591 c.c., per il periodo di occupazione senza titolo, nonche’ quello con cui si lamentava che il Tribunale fosse incorso in un errore nel rigettare la domanda di risarcimento dei danni per il deterioramento del fondo e l’irreversibile perdita dei contributi comunitari.
3. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione avverso la decisione d’appello, con quattro motivi.
(OMISSIS) resiste con controricorso.
4. La trattazione e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Le ricorrenti hanno depositato memoria ex articolo 380-bis.1. c.p.c..
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti deducono “Nullita’ della sentenza ex articolo 360, n. 3 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 346 c.p.c., articolo 2945 c.c., articolo 2944 c.c., articolo 2943 c.c., comma 2”. Lamentano che, sebbene i giudici di appello abbiano correttamente affermato che il credito ex articolo 1591 c.c. fosse soggetto alla prescrizione decennale, hanno poi errato nel ritenere che l’unico atto interruttivo della prescrizione pervenuto nella sfera di conoscibilita’ del controricorrente fosse l’atto di messa in mora del 21 novembre 2008 e nel far decorrere da tale data il dies a quo del risarcimento del danno ex articolo 1591 c.c..
Spiegano, sotto un primo profilo, che l’eccezione di prescrizione non era stata validamente riproposta in appello dal (OMISSIS), sicche’ doveva intendersi rinunziata, e, sotto diverso profilo, che la prescrizione era stata comunque interrotta dalla proposizione della domanda di indennizzo per indebita detenzione, da loro proposta nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 277/00, sino al passaggio in giudicato di tale ultima sentenza.
1.1. Il motivo e’ in parte inammissibile e in parte infondato.
1.2. La censura e’ inammissibile, quanto al primo profilo di doglianza, per violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, perche’ le ricorrenti deducono che l’eccezione non sarebbe stata riproposta, ma omettono, da un lato, la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto dell’atto di costituzione nel giudizio di appello del (OMISSIS) evidenziante l’assenza di riproposizione, al fine di consentire a questa Corte di esaminare la doglianza contrapposta alle argomentazioni della sentenza impugnata senza accedere ad altri atti esterni al ricorso, e, dall’altro, non soddisfano l’onere di “localizzazione processuale” dell’atto su cui il ricorso si fonda (Cass., sez. 1, 01/03/2022, n. 6769; Cass., sez. U, 09/11/2021, n. 32673; Cass., sez. 3, 04/11/2021, n. 31796; Cass., sez. 6-5, 04/11/2021, n. 31590; Cass., sez. 6-5, 03/11/2021, n. 31377).
Peraltro, la sentenza impugnata indica precisamente la sede in cui l’eccezione e’ stata riproposta, avendo la Corte d’appello, sul punto, motivato che “l’eccezione di prescrizione e’ stata bensi’ riproposta in questo grado dall’appellato (cfr. pag. 3 della memoria di costituzione), ma con l’erroneo richiamo alla prescrizione quinquennale prevista dagli articoli 2947 e 2948 c.c…” e, pertanto, la censura assume un connotato revocatorio, che per cio’ solo la rende inammissibile, poiche’ doveva essere proposta con revocazione ex articolo 395 c.p.c., n. 4.
La Corte territoriale ha, dunque, del tutto correttamente, ritenuto rituale la mera riproposizione, da parte dell’appellato, dell’eccezione di prescrizione, considerato che in primo grado, in relazione alla domanda ex articolo 1591 c.c., il (OMISSIS) era risultato vittorioso, per essere stato riconosciuto un danno per ritardata restituzione limitatamente al periodo compreso tra il 13 febbraio 2008 ed il 25 febbraio 2009, come dallo stesso eccepito, e non per ogni annata agraria intercorsa tra il 1997/1998 ed il 2008/2009, come dalle ricorrenti richiesto, con la conseguenza che il controricorrente non aveva l’onere di proporre appello incidentale per far valere l’eccezione di prescrizione, che non puo’ intendersi rinunciata perche’ espressamente reiterata in secondo grado anche in sede di precisazione delle conclusioni.
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Neppure rileva che il controricorrente non avesse eccepito la prescrizione decennale, bensi’ quella quinquennale, dovendosi ribadire il principio secondo cui in tema di prescrizione estintiva, elemento costitutivo della relativa eccezione e’ l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di questa, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una “quaestio iuris” concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge; ne consegue che la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volonta’ di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioe’ attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al potere-dovere del giudice, di guisa che il riferimento della parte ad uno dei termini (prescrizione quinquennale o prescrizione ordinaria decennale) non priva il giudice del potere officioso di applicazione “di una norma di previsione di un termine diverso” (Cass., sez. U, 25/07/2002, n. 10955).
1.3. Anche l’altro rilievo mosso dalle ricorrenti non si sottrae alla declaratoria di inammissibilita’. In violazione del principio di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le ricorrenti, a supporto del tale doglianza, si sono limitate a richiamare a pag. 35 del ricorso gli atti difensivi che, secondo la loro prospettazione difensiva, dovrebbero supportare il motivo formulato, omettendo, tuttavia, di riportare in ricorso, quanto meno nelle parti rilevanti, il contenuto degli stessi atti e di specificare anche in quale sede processuale i documenti risultano prodotti; infatti, indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso e’ rintracciabile, sicche’ la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso, senza necessita’ di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico” (Cass., sez. 1, 10/12/2020, n. 28184).
Peraltro, anche a prescindere da tale assorbente rilievo, la censura, nella stessa prospettazione delle ricorrenti, si connota come errore revocatorio che avrebbe dovuto essere denunciato con il mezzo di cui all’articolo 395 c.p.c., n. 4, poiche’ la sentenza impugnata si fonda su un fatto processuale – ossia non essere stata la domanda ex articolo 1951 c.c. proposta nel giudizio poi definito con la sentenza n. 277/00 – che, secondo le ricorrenti, e’ privo di fondamento perche’ non trova riscontro negli atti processuali.
Poiche’ l’affermazione della sentenza e’ avulsa da ogni profilo valutativo, il mero errore di percezione prospettato dalle ricorrenti, consistito nell’avere la sentenza affermato una realta’ processuale in contrasto con quella effettiva, e’ da ricondurre nel vizio di cui all’articolo 395 c.p.c. (Cass., sez. 3, 20/12/2011, n. 27555).
2. Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano “Nullita’ della sentenza ex articolo 360 c.p.c., n. 4 – Motivazione apparente – Motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile – Violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 – Nullita’ della sentenza ex articolo 360 n. 3 – Violazione e falsa applicazione degli articoli 1102 e 1103 c.c.” e censurano la decisione laddove i giudici di appello hanno confermato il dies ad quem dell’illegittima detenzione del (OMISSIS), facendolo coincidere con la data di stipula del contratto di affitto tra quest’ultimo e (OMISSIS).
Deducono, segnatamente, che la sentenza e’ viziata da manifesta contraddittorieta’ e motivazione apparente perche’, pur avendo chiesto il risarcimento del danno da illegittima detenzione con riferimento alla quota dei fondi di loro proprieta’ e non gia’ con riferimento alla quota appartenente agli altri comproprietari, la Corte d’appello, con motivazione incomprensibile, ha respinto la domanda stabilendo quale dies ad quem del diritto al risarcimento la data di stipula del contratto di affitto di quota di fondo rustico intercorso tra (OMISSIS) e il controricorrente; ribadiscono, inoltre, che la sentenza contrasta con il disposto degli articoli 1102 e 1103 c.c., in quanto la quota indivisa di (OMISSIS) era insuscettibile di co-utilizzazione, senza pregiudizio per i diritti degli altri comproprietari. Aggiungono che la Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado laddove dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale avanzata dal controricorrente per ottenere il riconoscimento del contratto di affitto del 25 febbraio 2009, ma poi, in modo contraddittorio, ha, nel merito, ritenuto valido tale contratto, senza peraltro procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS).
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2.1. Il motivo e’ inammissibile, in quanto la violazione del disposto di cui all’articolo 132 c.p.c., n. 4, non risulta idoneamente censurata, dovendo il vizio emergere immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata e non fondarsi, come nel caso di specie, su atti e risultanze probatorie (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
La motivazione della sentenza qui impugnata, condivisibile o non, illustra, in realta’, le ragioni poste a fondamento del decisum ed indica l’iter logico seguito dalla Corte d’appello per pervenire al proprio convincimento, avendo essa ritenuto che l’odierno controricorrente, stipulando il contratto di affitto del 25 febbraio 2009 della quota indivisa, ha ottenuto la legittima detenzione del fondo, con la conseguenza che da quel momento e’ venuta a cessare la pregressa illegittima detenzione per la ritardata restituzione prevista dall’articolo 1591 c.c..
La motivazione non rientra, quindi, nelle gravi anomalie argomentative individuate dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 del 2014 e n. 22232 del 2016, perche’ essa non si pone al di sotto del “minimo costituzionale” e non viene meno alla finalita’ sua propria, che e’ quella di esternare “un ragionamento che partendo da determinate premesse provenga con un certo procedimento enunciativo, logico e consequenziale, a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi “(Cass., sez. U, n. 22232/16, cit.).
2.2. La motivazione neppure e’ affetta da contraddittorieta’ per il fatto che, dopo avere dichiarato l’improcedibilita’ della domanda riconvenzionale di accertamento del contratto di affitto della quota dei terreni di proprieta’ di (OMISSIS), ha poi riconosciuto l’esistenza di detto contratto, in quanto, come ben evidenziato dai giudici di appello, e’ stata accertata l’esistenza del contratto “non gia’ come fonte di diritti ed obblighi tra il comproprietario (OMISSIS) e l’affittuario, ma soltanto, incidenter tantum, come fatto storico idoneo ad individuare, nei rapporti tra le parti, in (OMISSIS) il detentore qualificato delle quote di comproprieta’ di (OMISSIS)”, e, quindi, il momento a partire dal quale la co-detenzione del fondo, da parte dell’appellato, era divenuta legittima.
2.3. La censura anche la’ dove si denuncia la violazione degli articoli 1102 e 1103 c.c., viola l’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, giacche’ non fornisce l’indicazione specifica degli atti su cui si fonda e, segnatamente, di quelli di cui si discorre nell’atto di appello e nelle note del (OMISSIS), atti dei quali vengono riprodotti in questa sede solo alcuni passi; le prospettazioni assunte in questi atti vengono, dunque, evocate senza il rispetto della norma de qua.
Con specifico riferimento al contratto del 25 febbraio 2009, e’, inoltre, incontestato in fatto che (OMISSIS), assumendo di essere proprietario pro indiviso dei fondi per cui e’ controversia, ha concesso in affitto all’odierno controricorrente soltanto la propria quota ideale, pari a 138/744 indivisi, come e’ consentito dall’articolo 1103 c.c., che ammette la locazione della quota di bene comune.
Invero, anche se la giurisprudenza di legittimita’ in un suo risalente precedente ha espresso un iniziale giudizio di inammissibilita’ della locazione della quota (Cass., 11/03/1942 n. 652), l’orientamento prevalente e’ senz’altro orientato per l’ammissibilita’ della locazione di quota (Cass. 13/02/1951 n. 350; Cass. 29/05/1954 n. 1768; Cass. 09/05/1961, n. 1077; Cass. 22/05/1982, n. 3143; Cass., sez. 3, 20/07/1991, n. 8110; Cass., sez. 3, 28/09/2000, n. 12870). E’ stato chiarito (Cass., sez. 3, 05/01/2005, n. 165) che, quando il potere di disposizione sulla cosa appartiene a piu’ soggetti nella forma della comunione in senso specifico ex articolo 1100 c.c., tutti possono, rinunciando al godimento diretto, concederla in locazione a terzi ed anche a taluno soltanto dei contitolari; allo stesso modo, il comproprietario puo’ concedere in locazione la cosa comune anche nei limiti della propria quota ideale. Con la precisazione che l’articolo 1105 c.c., secondo il quale tutti i partecipanti alla comunione hanno diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune, non limita l’autonomo potere di disposizione di ciascun partecipante alla comunione sulla sua quota ideale della cosa comune (articolo 1103 c.c.), per cui gli atti dispositivi della quota medesima e la amministrazione di essa riguardano solo il singolo titolare.
Il giudice di merito ha, quindi, fatto buon governo delle suddette disposizioni di legge, laddove ha affermato che il contratto di affitto del 25 febbraio 2009 legittima (OMISSIS) a detenere il fondo nei limiti della quota ideale ad esso concessa in godimento.
E’ ben vero, come si sostiene in ricorso, che il contratto di affitto ha legittimato l’odierno controricorrente alla sola detenzione della quota di proprieta’ del concedente, ma non anche alla detenzione della quota di proprieta’ delle ricorrenti, nel cui compossesso queste sono state reimmesse, secondo la ricostruzione della vicenda fattuale operata dalla Corte d’appello, dall’ufficiale giudiziario in data 20 aprile 2009. Va, tuttavia, considerato che le parti ricorrenti, con l’atto introduttivo del giudizio, hanno chiesto il risarcimento del danno da ritardata restituzione dei fondi, sul rilievo che l’affittuario si fosse reso inadempiente all’obbligo di rilascio derivante dal contratto di affitto, cosicche’, invocando l’articolo 1102 c.c., che regola i rapporti tra condomini ed i limiti all’uso della cosa comune, ed adducendo che l’attivita’ di allevamento svolta dal (OMISSIS) impegna l’intero fondo, precludendo alle stesse qualsiasi utilizzo del bene, introducono questioni fondate su un diverso titolo, come tali inammissibili.
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3. Con il terzo motivo si denuncia “Nullita’ della sentenza ex articolo 360 c.p.c., n. 4. – Motivazione apparente – Motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile – Violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4”.
Le ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte d’appello non abbia accolto il motivo di gravame in punto di quantificazione del canone di affitto quale parametro di riferimento nella liquidazione del danno risarcibile ex articolo 1591 c.c. per il periodo di occupazione senza titolo e che non abbia disposto la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, pur a fronte delle censure mosse alle valutazioni espresse nella c.t.u. espletata.
Il motivo per come formulato e’ inammissibile perche’ non riconducibile al vizio evocato, che deve desumersi dal testo della sentenza e non da altri atti o documenti. La censura svolta, in realta’, si risolve in una sollecitazione a rivalutare la quaestio facti, perche’ esclusivamente rivolta a contrastare le risultanze della c.t.u., tra l’altro evocata senza il rispetto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
Come costantemente affermato da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, e’ necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa gia’ dinanzi al giudice di merito e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisivita’ e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolve nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimita’ (Cass., sez. 1, 15/01/2021, n. 643; Cass., sez. 1, 03/08/2017, n. 19427; Cass., sez. 1, 03/06/2016, n. 11482; Cass., sez. 1, 17/07/2014, 16368).
La doglianza svolta dalle ricorrenti risulta, quindi, inadeguata perche’ omette di trascrivere le argomentazioni svolte dal consulente tecnico d’ufficio e le critiche ad esse mosse, quanto meno nelle parti rilevanti e decisive.
4. Con il quarto motivo si deduce “Nullita’ della sentenza ex articolo 360 c.p.c., n. 4 – Motivazione apparente – Motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile – Violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4” e si lamenta che la Corte d’appello, nel confermare il rigetto della domanda di risarcimento dei danni per il deterioramento del fondo e l’irreversibile perdita dei contributi comunitari legati allo stesso, con motivazione apodittica, avrebbe ritenuto inammissibile il motivo di gravame perche’ non intercettava “le ulteriori rationes decidendi” a cui aveva fatto ricorso il Tribunale. A supporto della censura sostengono che con l’atto di appello avevano espressamente censurato la decisione del Tribunale, evidenziando che il giudice di primo grado era stato indotto in errore dal c.t.u., che aveva, tra l’altro, negato che il (OMISSIS) avesse alterato l’equilibrio idrogeologico dei luoghi e causato danno di perdita irreversibile di terreno agricolo per erosione, e richiamano le memorie autorizzate del 29/1/2013, del 31 marzo 2013 e le relazioni extragiudiziarie del consulente di parte. Ribadiscono, inoltre, che avevano diritto di percepire contributi comunitari (P.O.R. Misura F2) anche nella qualita’ di proprietarie e che non hanno potuto conseguire detti contributi perche’ il (OMISSIS) ha a sua volta fruito dei P.O.R. Misura F1, mutando la destinazione del fondo da ficodindieto e seminativo a pascolo.
4.1. Il motivo e’ inammissibile per violazione del principio di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto si richiamano atti difensivi di cui non si riporta in ricorso il contenuto e per i quali si omette di indicare in quale fase del giudizio siano stati depositati.
4.2. In ogni caso, la Corte d’appello, dopo avere specificato che il motivo di appello atteneva esclusivamente alla perdita dei contributi comunitari e non investiva anche tutte le altre ragioni su cui poggiava la sentenza del Tribunale, ha posto in rilievo che, anche in relazione all’unica ratio decidendi intercettata dal motivo d’appello, le odierne ricorrenti si confrontavano solo con un passo della motivazione della decisione di primo grado; ha poi dato comunque risposta adeguata alle doglianze di merito svolte con riguardo ai contributi comunitari – con cui si addebitava al Tribunale di avere affermato, da una parte, che le ricorrenti non avrebbero potuto conseguire il contributo per la misura F2 perche’ non rivestivano la qualita’ di imprenditori agricoli e, dall’altra, di avere omesso di considerare che tale qualita’ non era stata da loro acquisita proprio a causa dell’illegittima detenzione del fondo da parte di (OMISSIS) – ponendo in rilievo che le appellanti avevano fatto valere un danno da perdita di chances, non sussistente. A tale proposito la Corte ha puntualizzato che il Tribunale, richiamando fonti comunitarie e nazionali che disciplinavano la misura denominata F2 intervento b) – conversione dei seminativi in pascolo, prevista dal POR Sicilia 2000/2006, aveva precisato che il Decreto dell’Assessore Regionale dell’agricoltura e delle Foreste n. 291/2001, contenente “Disposizioni attuative della Misura F Agroambiente prevista dal Piano di sviluppo rurale Reg. CE n. 1257/99”, aveva previsto che gli aiuti comunitari erano riservati agli imprenditori agricoli secondo la definizione di cui all’articolo 2135 c.c., che condizione indispensabile per l’ammissione era la disponibilita’ delle superfici oggetto di aiuto per tutta la durata dell’impegno assunto e che nei casi di proprieta’ indivisa doveva essere comprovata la titolarita’ unica della gestione dell’impresa agricola da parte del richiedente, condizioni queste che non erano state dimostrare dalle (OMISSIS) “nemmeno come proiezione possibile nel caso in cui le appellanti avessero esercitato il loro compossesso, se non altro perche’ non erano e non sono proprietarie esclusive del fondo, per di piu’, concesso in affitto pro quota all’appellato, da uno dei comunisti, con il citato contratto di affitto del 25 febbraio 2009”; cosi’ concludendo che il motivo, anche se ammissibile, doveva comunque essere disatteso.
Il giudice di merito ha, quindi, evidenziato, con argomentazioni che illustrano in modo chiaro ed esaustivo il ragionamento seguito per la formazione del proprio convincimento, che le odierne ricorrenti non avevano attinto con le critiche rivolte alla sentenza di primo grado le diverse rationes decidendi e che le circostanze dedotte per sorreggere la domanda di danno da mancato accesso ai contributi comunitari erano generiche ed inidonee a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso, il che porta a ritenere insussistente la violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente.
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D’altro canto, qualora si assuma che una pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati con modalita’ sufficientemente specifiche, puo’ ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli articoli 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, qualora uno o piu’ dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di una o piu’ di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilita’ logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata (Cass., sez. L, 21/10/2019, n. 26764); ma tali vizi non sono stati neppure dedotti con il mezzo in esame.
5. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, trattandosi di processo esente dal pagamento del contributo unificato (Cass., sez. U, 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 6.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
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