Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 dicembre 2022| n. 35844.

Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

In tema di compravendita di animali, la persona fisica che acquista un animale da compagnia (o d’affezione), per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, va qualificato a tutti gli effetti “consumatore”, così come va qualificato “venditore”, ai sensi del codice del consumo, chi, nell’esercizio del commercio o di altra attività imprenditoriale, venda un animale da compagnia che, a sua volta, in quanto “cosa mobile” in senso giuridico, costituisce “bene di consumo”. Ne consegue che la denuncia del difetto della cosa venduta è soggetta, ai sensi dell’art. 132 del Codice del Consumo, al termine di decadenza di due mesi dalla data di scoperta del difetto (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta in seguito all’acquisto di un cane di razza bulldog inglese risultato affetto da una broncopolmonite con pleurite pericardite, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata in quanto la corte d’appello, nel rigettare la domanda risarcitoria accolta in primo grado, aveva ritenuto, in applicazione dell’art. 1490 cod. civ., tardiva la denunzia del vizio effettuata dal ricorrente alla controparte venditrice)

Ordinanza|6 dicembre 2022| n. 35844. Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

Data udienza 21 ottobre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Vendita di animali da compagnia – Boom dell’acquisto da parte di privati di animali di affezione – Privato considerato consumatore con applicazione del relativo codice – Risarcimento per il buldog inglese venduto con la pleurite – Art. 1496 cc

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9040/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonche’ contro
(OMISSIS) SNC
– intimata –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 5746/2017 depositata il 13/09/2017;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/10/2022 dal Consigliere LUCA VARRONE;

 

Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi il Tribunale di Roma la societa’ (OMISSIS) al fine di sentirli condannare in solido, a titolo di responsabilita’ contrattuale o extra contrattuale, al risarcimento dei danni subiti, quantificati nella complessiva somma di Euro 5200 a titolo di spese mediche, danni e riduzione del prezzo, in relazione all’acquisto di un cane di razza bulldog inglese che, sin dal momento della vendita, era affetto da malattia diagnosticata come broncopolmonite con pleurite pericardite.
Secondo l’attore, la societa’ convenuta, che gestiva un allevamento, era inadempiente per aver consegnato un animale affetto da un vizio tale da renderlo inidoneo all’uso cui era destinato o tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore, mentre il dottor (OMISSIS), nell’esercizio della propria attivita’ professionale di veterinario, era stato negligente per aver diagnosticato all’animale una banale influenza, invece della ben piu’ grave patologia riscontrata.
2. Si costituivano in giudizio i convenuti contestando quanto dedotto, eccependo la tardivita’ della denunzia del vizio e chiedendo il rigetto della domanda.
3. Il giudice di primo grado, disposta consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva la domanda e condannava i convenuti in solido al risarcimento dei danni nella misura complessiva di Euro 4800 oltre interessi e rivalutazione sul rilievo che la societa’ convenuta fosse incorsa in un inadempimento di natura contrattuale e che il veterinario fosse incorso in responsabilita’ di natura aquiliana.
4. La societa’ (OMISSIS) proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
5. (OMISSIS) resisteva chiedendone il rigetto.
6. La Corte d’Appello di Roma accoglieva l’impugnazione e, in riforma integrale della sentenza, rigettava le domande proposte da (OMISSIS) nei confronti degli appellanti. In particolare, la Corte d’Appello riteneva fondato e assorbente il secondo motivo di appello concernente l’erronea valutazione della tempestivita’ della denunzia del vizio. Il giudice di primo grado aveva ritenuto di superare l’eccezione di decadenza in quanto la stessa societa’ convenuta aveva ammesso di aver riportato il cane presso l’allevamento 15 giorni dopo l’acquisto perche’ affetto da apparente rinite. In tale occasione, l’attore aveva denunziato che l’animale era ammalato, fatto ammesso dalla parte convenuta. Il cane era stato visitato presso l’allevamento ed ivi erano stati prescritti farmaci.

 

Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

La Corte d’Appello, premesso che gli animali devono essere considerati beni mobili, che il loro commercio e’ disciplinato dal codice civile e che sul venditore grava l’obbligo di garantire che l’animale sia esenti da vizi, riteneva applicabile alla fattispecie l’articolo 1490 c.c.. Secondo la Corte d’Appello nel caso specifico non era stata data alcuna prova che la patologia contratta dall’animale avesse determinato una sua definitiva incapacita’ funzionale, essendosi la parte appellata limitata a dedurre che la lunga e grave malattia patita, per di piu’ sin dai primi mesi di vita, aveva compromesso la solida struttura fisica dell’animale, rendendolo piu’ delicato e bisognoso di una vita meno provante di quella di cane da guardia per la quale era stato acquistato. Peraltro, il vizio, per essere coperto dalla garanzia, doveva esistere al momento del contratto. Pertanto, pur ammessa la natura invalidante della malattia contratta dall’animale, doveva osservarsi che il vizio era costituito dalla tracheobronchite che il consulente aveva dichiarato essere verosimilmente di natura infettiva e complicata da patogeni secondari tipo Herpes e corona respiratori.
6.1 In caso di eccezione di decadenza per vizi era il compratore onerato della prova della tempestivita’ della denuncia da effettuarsi entro otto giorni dalla scoperta del vizio. L’attore non aveva articolato in citazione alcuna prova in tal senso, ne’ aveva insistito per la stessa in sede di precisazione della conclusione, ne’ poteva valere quanto detto al giudice di primo grado circa il fatto che l’allevamento aveva ammesso l’esistenza del vizio, in quanto a quella data erano gia’ decorsi 15 giorni mentre per il termine per la denunzia era di otto giorni. Doveva pertanto dimostrarsi che i primi sintomi della malattia si fossero manifestati nei sette giorni dopo l’acquisto, ma di cio’ non vi era alcuna prova.
Secondo la Corte d’Appello, pertanto, mancava la prova circa la tempestivita’ della denuncia. Ad analoghe considerazioni doveva pervenirsi anche in applicazione della giurisprudenza secondo la quale il termine per la denuncia dei vizi, nel caso di vendita di animali, decorre da quando i sintomi siano divenuti inequivocabili. Nella specie, in occasione del ricovero dell’animale il 30 dicembre 2016, il veterinario responsabile della struttura sanitaria aveva diagnosticato una broncopolmonite con pleurite pericardite ma la denuncia rappresentata dalla raccomandata a firma dell’avvocato (OMISSIS), datata 27 febbraio 2007, era stata inviata alla societa’ ben oltre il termine di otto giorni prescritto dalla legge.

 

Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

6.2 Il giudice di primo grado, con riferimento alla posizione del (OMISSIS), aveva affermato che l’attore non aveva allegato di aver concluso un contratto d’opera professionale. Pertanto, raggiunta la prova che il (OMISSIS) aveva prescritto l’antibiotico Avalox curativo della diagnosticata rinite, non avvedendosi della piu’ grave patologia sofferta all’animale, doveva essere ritenuto responsabile del danno patrimoniale sofferto dall’attore a titolo di responsabilita’ extra contrattuale. Il comportamento causativo del danno, secondo il Tribunale, era consistito in un’errata diagnosi nella somministrazione di una cura inefficace.
6.3 Secondo la Corte d’Appello doveva ritenersi accertato che, dopo la prescrizione dell’antibiotico risalente orientativamente alla data del 22 dicembre, il (OMISSIS) non aveva avuto piu’ occasione di visitare o essere notiziato delle condizioni dell’animale. Non vi era alcuna prova dell’inidoneita’ delle prescrizioni farmaceutiche tanto che lo stesso consulente aveva induttivamente accertato che il cucciolo aveva contratto la tracheobronchite infettiva proprio perche’ dopo l’acquisto era stata consigliata su carta intestata all’allevamento la terapia antibiotica finalizzata alla cura della patologia riscontrata. Lo stesso consulente della parte appellata aveva affermato che la terapia somministrata dal dottor (OMISSIS) dopo la visita non era scorretta, ma non ben puntualizzata, mancando una ricetta valida in cui l’antibiotico fosse descritto nella posologia. Pertanto, la mancata adozione di piu’ massicci interventi terapeutici nei giorni successivi non poteva dirsi causativa dell’aggravamento dell’animale in quanto solo un esame diretto da parte del veterinario avrebbe potuto consentire una modifica o un rafforzamento della cura prescritta. In difetto di un intervento clinico dell’appellante (OMISSIS) in epoca successiva al 22 dicembre non poteva affermarsi la negligenza o responsabilita’ dello stesso per una cura inidonea. Doveva disporsi pertanto la restituzione delle somme pagate dal (OMISSIS) in esecuzione della sentenza impugnata.
7. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi.
8. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
9. Entrambe le parti costituite, con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, hanno insistito nelle rispettive richieste.

 

Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 1496 e 1495 c.c. e dell’articolo 132 del Decreto Legislativo n. 207 del 2005. Pretesa tardivita’ della denuncia del vizio. Insussistenza.
Secondo il ricorrente la Corte di Appello di Roma nel sancire la tardivita’ della denuncia del (OMISSIS) avrebbe errato in quanto, anche qualora fosse coincisa con la nota del 27 febbraio 2007 e non con il ritorno del ricorrente presso l’allevamento a pochi giorni dall’acquisto, la denunzia dal vizio sarebbe comunque intervenuta tempestivamente, dovendosi applicare al caso di specie l’articolo 132 del Decreto Legislativo n. 207 del 2005 che fissa in due mesi il termine per la denuncia e a mente del quale qualora i difetti di conformita’ si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene si presume che questi esistessero gia’ a tale data e il compratore non ha l’onere di provare che il difetto esistesse gia’ prima dell’acquisto.
1.2 Il primo motivo di ricorso e’ fondato.
Di recente, questa Corte in vicenda analoga, ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di compravendita di animali, la persona fisica che acquista un animale da compagnia (o d’affezione), per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attivita’ imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, va qualificato a tutti gli effetti “consumatore”, cosi’ come va qualificato “venditore”, ai sensi del codice del consumo, chi, nell’esercizio del commercio o di altra attivita’ imprenditoriale, venda un animale da compagnia che, a sua volta, in quanto “cosa mobile” in senso giuridico, costituisce “bene di consumo”. Ne consegue che la denuncia del difetto della cosa venduta e’ soggetta, ai sensi dell’articolo 132 c. cons., al termine di decadenza di due mesi dalla data di scoperta del difetto” (Sez. 2, Sentenza n. 22728 del 25/09/2018, Rv. 650374 – 01).
A fini di completezza si riporta in sintesi la motivazione della pronuncia ora citata. In tale occasione si e’ detto che: “l’articolo 810 c.c. definisce i beni come “le cose che possono formare oggetto di diritti”; e il diritto civile indubbiamente, sulla scia della tradizione romanistica, considera gli animali come mere “cose mobili”, beni giuridici che possono costituire “oggetto” di diritti reali (cfr. articoli 812, 816, 820, 923, 924, 925, 926, 994, 1160, 1161, 2052 c.c.) ovvero di rapporti negoziali (cfr. articoli 1496, 1641, 1642, 1643, 1644, 1645 c.c.). Gli animali, percio’, possono costituire oggetto di compravendita (articolo 1470 c.c.); e lo stesso codice civile disciplina specificamente la compravendita di animali nell’apposita fattispecie di cui all’articolo 1496 c.c. (denominata appunto “Vendita di animali”).

 

Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

La diffusione degli animali da compagnia in fasce sempre piu’ larghe di popolazione ha dato luogo, in tempi recenti, ad un fenomeno commerciale di non poco rilievo e si sono prospettate, con riferimento al commercio di animali d’affezione (su cui specificamente l’articolo 8 della richiamata Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia), problematiche di tutela giuridica un tempo ignote.
La disciplina codicistica della compravendita e’ stata profondamente incisa dalla normativa sopravvenuta introdotta a tutela del consumatore; a partire dal Decreto Legislativo n. 2 febbraio 2002 n. 24, che, recependo le direttive Europee in materia di beni di consumo, ha inserito nuovi articoli nel codice civile (articolo 1519 bis e segg. c.c.) finalizzati a garantire al consumatore un maggiore grado di protezione; fino al successivo Decreto Legislativo n. 6 settembre 2005 n. 206 (c.d. codice del consumo), che ha stralciato le nuove disposizioni dal codice civile per collocarle nell’ambito di una autonoma legge organica posta a tutela del consumatore. Orbene, non e’ dubbio che l’interpretazione dell’articolo 1496 c.c. (su cui Cass., Sez. 3, n. 604 del 06/03/1971, relativamente alla gerarchia tra le norme applicabili) non puo’ rimanere cristallizzata al tempo della adozione del codice civile, ma deve tener conto dell’evoluzione del sistema normativo nel suo complesso e, in particolare, della sopravvenuta disciplina posta a tutela del consumatore e del suo riflesso sulle norme codicistiche che regolano la compravendita.
L’articolo 135, comma 2, del codice del consumo stabilisce che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano “per quanto non previsto dal presente titolo”; e che l’articolo 1469 bis c.c., introdotto dall’articolo 142 del codice del consumo, stabilisce che le disposizioni del codice civile contenute nel titolo “Dei contratti in generale” “si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni piu’ favorevoli per il consumatore”. Esiste, dunque, nell’attuale assetto normativo della disciplina della compravendita, una chiara preferenza del legislatore per la normativa del codice del consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo “sussidiario” assegnato alla disciplina codicistica (relativa tanto al contratto in generale che alla compravendita): nel senso che, in tema di vendita di beni di consumo, si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (articoli 128 e segg.), potendosi applicare la disciplina del codice civile solo per quanto non previsto dal codice del consumo.
L’articolo 128 del codice del consumo stabilisce che, ai fini dell’applicazione delle norme contenute nel capo I del titolo III dello stesso codice dal titolo “Della vendita dei beni di consumo”, per “bene di consumo” si intende “qualsiasi bene mobile” e per “venditore” si intende “qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attivita’ imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1” (contratti di vendita, permuta, somministrazione, appalto etc.).
Ai sensi dell’articolo 3 del codice del consumo, per “consumatore” si intende poi “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attivita’ imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. E, in proposito, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha spiegato che la qualifica di “consumatore” di cui all’articolo 3 del Decreto Legislativo n. 6 settembre 2005, n. 206 – rilevante ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela di cui all’articolo 33 del citato Decreto Legislativo n. – spetta alle sole persone fisiche allorche’ concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attivita’ imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, dovendosi invece considerare professionista il soggetto che stipuli il contratto nell’esercizio di una siffatta attivita’ o per uno scopo a questa connesso (Cass., Sez. 6 – 3, n. 5705 del 12/03/2014; Sez. 6 – 1, n. 21763 del 23/09/2013).
Orbene, considerate le ampie nozioni di “consumatore”, di “bene di consumo” e di “venditore” adottate dal codice del consumo, non puo’ dubitarsi che la persona fisica che acquista un animale da compagnia (o d’affezione), per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attivita’ imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, vada qualificata a tutti gli effetti “consumatore”; e che vada qualificato “venditore”, ai sensi del codice del consumo, chi nell’esercizio del commercio o di altra attivita’ imprenditoriale venda un animale da compagnia; quest’ultimo, peraltro, quale “cosa mobile” in senso giuridico, costituisce “bene di consumo”. In altri termini, considerato che la disciplina del codice del consumo e’ prevalente – laddove e’ applicabile – su quella del codice civile e considerato che, alla stregua di quanto sopra osservato, la compravendita di animali da compagnia non e’, di per se’, esclusa dalla disciplina del codice del consumo, non v’e’ ragione per negare all’acquirente di un animale da compagnia la maggior tutela riconosciuta da tale ultimo codice quando risultino sussistenti i presupposti per la sua applicabilita’. E la maggior tutela, nel caso oggetto della presente controversia (con riferimento alla quaestio iuris al centro della materia del contendere), si coglie con riferimento al disposto dell’articolo 132 del codice del consumo, che, derogando alla disciplina dell’articolo 1495 c.c., stabilisce che il consumatore decade dalla garanzia per i vizi della cosa venduta, “se non denuncia al venditore il difetto di conformita’ entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto”. A tutela del consumatore – ove un consumatore vi sia – deve applicarsi, dunque, non il breve termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta del vizio previsto dall’articolo 1495 c.c., ma il piu’ lungo termine di due mesi dalla scoperta previsto dall’articolo 132 del codice del consumo.

 

Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

La perfetta sovrapponibilita’ della fattispecie in esame impone l’accoglimento del primo motivo di ricorso con l’affermazione dei medesimi principi di diritto affermati dalla sentenza n. 22728 del 2018: “La compravendita di animali da compagnia o d’affezione, ove l’acquisto sia avvenuto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attivita’ imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata dal compratore, e’ regolata dalle norme del codice del consumo, salva l’applicazione delle norme del codice civile per quanto non previsto”; – “Nella compravendita di animali da compagnia o d’affezione, ove l’acquirente sia un consumatore, la denuncia del difetto della cosa venduta e’ soggetta, ai sensi dell’articolo 132 del codice del consumo, al termine di decadenza di due mesi dalla data di scoperta del difetto”.
Resta assorbita la questione posta dalla parte controricorrente secondo la quale la Corte d’Appello avrebbe affermato l’insussistenza del vizio prima ancora della tardivita’ della sua denuncia.
La Corte d’Appello, infatti, nel giudizio di rinvio dovra’ esaminare la fattispecie – nei limiti della domanda e delle allegazioni della parte attrice – facendo applicazione della complessiva disciplina del codice del consumo che prevede un piu’ ampio sistema di garanzie e rimedi a tutela del consumatore rispetto a quelle gia’ contenute e regolate nel codice civile a favore del contraente non professionista nella vendita avente ad oggetto beni di consumo.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio concernente la pretesa tardivita’ della denuncia del vizio. Irragionevolezza, irrazionalita’ ed illogicita’. Violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.
Il ricorrente riesamina i fatti di causa per evidenziare l’irrazionale ricostruzione operata dalla corte d’appello con specifico riferimento alla tardivita’ della denuncia rientrando tra cui i vizi non rilevabile attraverso un abile sommario esame della cosa per il quale il termine per la denunzia decorre dal momento della scoperta e, dunque, allorche’ il compratore abbia acquisito la certezza oggettiva dell’esistenza del vizio.
La consegna del cucciolo dichiarato in buono stato di salute espone il venditore all’azione di garanzia senza alcun onere di denuncia a carico dall’acquirente se emerge che la condizione patologica dell’animale era conosciuta ed e’ stata occultata. L’animale aveva una tosse persistente fastidiosa al momento dell’acquisto, dunque, vi e’ stato un comportamento negligentemente omissivo del venditore. Il giudice dell’appello avrebbe errato nel ritenere il (OMISSIS) decaduto dalla garanzia per vizi in ragione di una presunta tardiva denunzia avendo la controparte ammesso di aver avuto contezza della patologia del cucciolo. L’allevamento medico e il veterinario avrebbero ammesso in piu’ di un’occasione che il ricorrente aveva lamentato la condizione di sofferenza del cucciolo di bulldog richiedendo l’intervento degli stessi nella diagnosi e cura di quello che l’acquirente ignorava essere un morbo di tale gravita’. Nessun’altra iniziativa l’acquirente avrebbe dovuto assumere dal momento che la denuncia dei vizi della cosa venduta non richiede speciali formalita’ ne’ formule sacramentali e puo’ essere effettuata con qualsiasi mezzo idoneo di trasmissione. D’altra parte, non poteva certo richiedersi all’acquirente una particolare competenza medica che avrebbe consentito di ricondurre il sintomo ad una specifica malattia. Peraltro, la diagnosi era stata espressa soltanto il 30 dicembre 2006, momento in cui l’acquirente aveva avuto certezza del vizio che comunque preesisteva manifestandosi per gradi ed in tempi successivi.
In conclusione, il ricorrente evidenzia le carenze argomentative e l’irrazionalita’ della sentenza impugnata, non sostenuta da adeguata motivazione nella parte in cui ha sancito la tardivita’ della denuncia del vizio.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo ai fini della decisione. Violazione e falsa applicazione degli articoli 1496 1495 c.c., 115 e 116 c.p.c. Insussistenza dell’onere di denunzia a carico dell’acquirente. Riconoscimento dell’esistenza del vizio.
La censura attiene ancora una volta alla sussistenza del sintomo sin dal momento dell’acquisto e alla sua negligente e mancata riconducibilita’ alla specifica patologia. Tale circostanza sarebbe stata del tutto obliterata dalla Corte d’Appello che avrebbe omesso qualsiasi indagine sul punto decisivo ai fini della definizione della controversia.

 

Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

3.1 II secondo e il terzo motivo di ricorso sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo.
4. Il quarto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti circa il carattere presuntivamente non negligente del comportamento posto in essere dal dottor (OMISSIS) e l’asserita assenza di danno.
La censura ha ad oggetto la ritenuta assenza di negligenza, imperizia e imprudenza imputabile al veterinario nella mancata diagnosi di patologia respiratoria che affliggeva il cucciolo sin dal momento dell’acquisto. Secondo il ricorrente la Corte d’Appello avrebbe ignorato la regola logica del rapporto di necessaria presupposizione o di esclusione o probabile consequenzialita’. Vi sarebbe dunque un salto logico nella motivazione della sentenza che tenderebbe ad interpretare le indicazioni del consulente tecnico materia in modo del tutto incoerente rispetto ai rilievi espressi in altra parte dell’elaborato peritale. La somministrazione dell’antibiotico, che rappresenta un elemento costitutivo del ragionamento deduttivo della Corte d’Appello, non costituirebbe un elemento sufficiente viste anche le complicanze dovute alla scarsa capacita’ immunitaria del cucciolo. Dunque, anche volendo escludere che l’elaborato peritale certifichi l’inadeguatezza della prescrizione del dottor (OMISSIS) a fronte della condizione patologica del cucciolo, certamente dovrebbe ritenersi insufficiente a giustificare l’adeguatezza delle cure predisposte. Sussisterebbero tutti i presupposti applicativi della responsabilita’ extracontrattuale del veterinario compreso il danno.
4.1 Il quarto motivo di ricorso e’ inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio denunciabile e’ limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata cosi’ sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’articolo 360 n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorieta’ delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio e’ deducibile quale violazione della legge processuale ex articolo 132 c.p.c.).
Nella specie il ricorrente non indica alcun fatto specifico omesso dalla Corte d’Appello e decisivo ai fini della decisione. La censura, pertanto, si risolve in un’inammissibile richiesta di rivalutazione in fatto della condotta posta in essere dal (OMISSIS) al fine di affermare la sua responsabilita’ extracontrattuale nella cura del cucciolo di cane.
La Corte d’Appello, con ampia ed esaustiva motivazione, ha escluso tale responsabilita’ evidenziando che il “contatto” intercorso tra il veterinario e il cane del (OMISSIS) si e’ verificato in un’unica occasione nella quale, peraltro, il (OMISSIS) ha prescritto anche cure adeguate alla patologia dell’animale. Risulta evidente, pertanto, l’inammissibilita’ del motivo in esame.
5. Il quinto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione dell’articolo 91 c.p.c. in relazione alla liquidazione delle spese di lite.
La censura attiene alla liquidazione delle spese del doppio grado di giudizio a carico del (OMISSIS) con una liquidazione piu’ alta della media tariffaria senza motivazione della ragione dello scostamento.
5. Il quinto motivo di ricorso e’ assorbito dall’accoglimento del primo, spettera’ alla Corte d’Appello provvedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio in ragione della soccombenza.
6. In conclusione la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il quarto, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

Compravendita di animali e la denuncia del difetto della cosa venduta

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il quarto, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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