Comportamenti fisicamente non violenti e reato di maltrattamenti in famiglia

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 22 luglio 2019, n. 32781.

Massima estrapolata:

Anche comportamenti fisicamente non violenti, che si arrestano alla soglia della minaccia, possono essere penalmente rilevanti ai fini del reato di maltrattamenti in famiglia (articolo 572 del Codice penale) se si collocano «in una più ampia e unitaria condotta abituale idonea a imporre alla vittima un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile».

Sentenza 22 luglio 2019, n. 32781

Data udienza 11 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. GIORDANO Emilia – rel. Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del g. 11/6/2018 del Tribunale di Ravenna;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale Dott. ANGELILLIS Ciro, che conclude per la conversione del ricorso in appello;
udito per (OMISSIS) il difensore, avvocato (OMISSIS), che chiede dichiarare l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Ravenna ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza emessa, emessa all’esito di rito ordinario, con la quale (OMISSIS) e’ stato assolto, perche’ il fatto non sussiste, dal reato di maltrattamenti in famiglia (articolo 572 c.p.) in danno della convivente, (OMISSIS), con condotta accertata in (OMISSIS) in data antecedente e successiva al giorno (OMISSIS). Denuncia erronea applicazione della legge penale, con riguardo alla nozione di maltrattamenti. Rileva, dopo ampia ricostruzione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato e degli altri testi escussi, che le condotte accertate sono state ricondotte, operandone una lettura riduttiva e frazionata, a comportamenti tipici della fine di una relazione ovvero in termini di condotte dettate da gelosia ossessiva ma trascurandone il contenuto violento, agito, oltre che attraverso atti ricorrenti atti di minaccia, mediante controllo maniacale della compagna (attraverso telefonate, controlli con GPS, estenuanti interrogatori notturne, telecamere nascoste, controllo dell’igiene personale) ed atteggiamenti di disprezzo, denigrazione della compagna, coinvolgendo anche le figlie minori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato e si impone l’annullamento della sentenza impugnata con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Bologna, ai sensi dell’articolo 569 c.p.p., comma 4.
2. Il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte nella individuazione della nozione di maltrattamenti escludendo, tuttavia, la natura vessatoria dei comportamenti agiti dall’imputato dei quali ha offerto una sommaria descrizione soffermandosi, in particolare, su alcuni episodi descritti dalla persona offesa.
Secondo la ricostruzione compiuta nella sentenza impugnata le continue telefonate e i messaggi inviati dall’imputato – che effettuava numerose chiamate anche video alla compagna per verificare dove e con chi si trovasse pretendendo l’invio di messaggi video per verificare l’attendibilita’ della donna, accompagnate da minacce di morte a lei ed al suo potenziale amante – non avevano rilevanza penale perche’ qualificabili come episodi di gelosia, e comportamenti tipici della fine di una relazione sentimentale.
Rileva il Collegio che, come osservato dal pubblico ministero ricorrente, si tratta di una lettura riduttiva e, comunque, non esaustiva ai fini della individuazione della condotta di maltrattamenti che, a prescindere dal movente e dalla collocazione delle condotte in un momento anche critico del rapporto di coppia, individuazione che comporta la necessita’ di compiere un’approfondita analisi in fatto volta alla puntuale ricostruzione della dinamica del rapporto interpersonale, per un apprezzabile periodo temporale, e con particolare riguardo alla qualita’ ed intensita’ di condotte ingiuriose, violente ed aggressive in danno della partner.
Tali condotte, nel caso in esame, hanno connotato il rapporto familiare coinvolgendo anche le figlie minori della coppia come involontarie spettatrici, ma, soprattutto, si caratterizzano, secondo il resoconto sviluppato nel ricorso ma anche sulla scorta della descrizione contenuta nella sentenza impugnata, per la qualita’ ed intensita’ dell’offesa alla persona ed alla personalita’ della vittima.
Anche comportamenti fisicamente non violenti, che si arrestano alla soglia della minaccia, raggiungono la soglia della rilevanza penale ai fini del reato di cui all’articolo 572 c.p., quando si collochino in una piu’ ampia e unitaria condotta abituale idonea ad imporre alla vittima un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile. E’, dunque, essenziale, ai fini della ricostruzione del reato di maltrattamenti di cui all’articolo 572 c.p., l’accertamento della abitualita’ e ripetitivita’ della condotta lungo un ambito temporale rilevante senza che la valutazione di offensivita’ possa arrestarsi a fronte di condotte che non culminino in veri e propri atti di aggressione fisica.
Nell’ambito di un rapporto interpersonale caratterizzato da forme di invadenza della vita sociale ed intima della persona offesa e di comportamenti minatori quali quelli evincibili dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, il comportamento dell’imputato non puo’ essere ricondotto, per deprivarlo di idoneita’ offensiva, a quello della medialita’ che rispecchi le reazioni dell’uomo comune animato da gelosia verso la partner, secondo la valutazione espressa dal Tribunale.
Anche questo criterio di giudizio si appalesa superficiale e inadeguato, se calato nelle dinamiche familiari ove i moventi personali ed intimi assumono preponderante rilievo come causa prossima e diretta di condotte illecite e rispetto alle quali rileva, ai fini della ricostruzione della condotta materiale e della sua offensivita’, l’accumulo di violenza, anche a bassa tensione come quella che si esprime attraverso comportamenti minacciosi non eclatanti ma che denota la carica criminogena dell’agente per l’ineludibile riflesso che tale carico produce sul vissuto della vittima e che si traduce proprio in quel surplus di vessatorieta’ che contraddistingue il reato in esame.
I comportamenti di controllo della vita sociale e intima della persona offesa (i controlli telefonici e video per verificare dove si trovasse e le ulteriori inammissibili indagini sulla persona che il pubblico ministero ha illustrato nell’atto di appello) non perdono la loro valenza invasiva e la loro carica di vessatorieta’ sol perche’ determinati dalla gelosia e, viceversa, tali atti implicano la necessita’ di un attento scrutinio della loro ricorrenza perche’ gravemente lesivi della privacy dell’individuo e dimostrano, per la scarsa considerazione e rispetto della parte offesa, una volonta’ e condotta di prevaricazione, e correlativa soggezione della persona offesa, elementi che costituiscono il dato caratterizzante la figura delittuosa di cui all’articolo 572 c.p..
3.Conclusivamente, ritiene il Collegio che la valutazione argomentativa svolta nella pronuncia impugnata si caratterizza per plurimi aspetti di incompletezza, nella parte in cui da’ conto dei positivi comportamenti accertati, escludendone la rilevanza ed e’ frutto di un’applicazione superficiale della disposizione incriminatrice quale enucleata dai consolidati approdi ermeneutici in materia, solo formalmente richiamati ma poi disattesi nel loro significato quali canoni di valutazione della condotta. Il movente soggettivo (la gelosia) non puo’ rilevare ne’ ai fini dell’indagine sull’elemento soggettivo del reato (nella fattispecie costituito dal dolo generico) ne’ dell’imputabilita’ dell’imputato, peraltro mai messa in dubbio dalla stessa difesa e, pertanto, lungi dal potersi considerare una scriminante o un’attenuante, dovra’ essere valutato ai fini dell’intensita’ del dolo e dell’entita’ della sofferenza e del danno inflitto alla persona offesa.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Bologna, ai sensi dell’articolo 569 c.p.p..

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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