Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 26 marzo 2019, n. 13105.

La massima estrapolata:

In materia di stupefacenti, in caso di coltivazione di marijuana l’aggravante dell’ingente quantità si configura qualora il principio attivo superi di 4mila volte il valore massimo in milligrammi, fermo restando comunque la valutazione discrezionale del giudice.

Sentenza 26 marzo 2019, n. 13105

Data udienza 8 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. MONTAGNI Andr – Rel. Consigliere

Dott. TORNESI Daniela – Consigliere

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/10/2017 della CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Montagni Andrea;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Epidendio Tomaso che ha concluso chiedendo il rigetto.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Bari, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di condanna resa dal G.i.p. del Tribunale di Foggia, all’esito di giudizio abbreviato, in data 17.11.2016, nei confronti di (OMISSIS), in ordine alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 73 e 80 rideterminava la pena originariamente inflitta e confermava nel resto. Al prevenuto si contesta di aver coltivato 1630 piante di marijuana, dalle quali erano ricavabili 475.093 dosi medie singole droganti.
La Corte territoriale rilevava l’infondatezza delle censure afferenti alla valenza probatoria da assegnare alla consulenza tecnica espletata dal laboratorio scientifico dei Carabinieri sul campione di piante in sequestro, in considerazione della scelta processuale effettuata dall’imputato, che aveva chiesto la definizione del giudizio allo stato degli atti, nelle forme del rito abbreviato.
Sotto altro aspetto, il Collegio evidenziava che le conclusioni rassegnate dal consulte tecnico della difesa risultavano coincidenti con le indicazioni del Laboratorio dell’Arma che aveva effettuato gli accertamenti tecnici, sia per quanto concerne la determinazione del principio attivo, sia per il numero di dosi medie ricavabili dal quantitativo di sostanza stupefacente in sequestro.
2. Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore.
Con il Primo motivo la parte deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80. L’esponente precisa che la contestazione non riguarda la fattispecie della coltivazione, bensi’ la ritenuta configurazione dell’ingente quantita’, a fronte di discordanti consulenze tecniche, confluite nel fascicolo processuale.
Il ricorrente osserva che le piante sequestrate nel mese di (OMISSIS) sono state malamente conservate, tanto da rendere impossibile per la difesa l’effettuazione di accertamenti tecnici successivi. Sottolinea che gia’ in data (OMISSIS) i Carabinieri avevano evidenziato lo stato di decomposizione delle piante, di talche’ la difesa non avrebbe potuto effettuare accertamenti mirati sul principio attivo, anche ove programmati prima del mese di (OMISSIS), come in effetti avvenuto.
Il deducente rileva che, considerando l’accertamento tecnico di cui si tratta come irripetibile, lo stesso avrebbe dovuto essere eseguito secondo la procedura di cui all’articolo 360 c.p.p.; di converso, sottolinea che ove si debba considerare come accertamento tecnico ripetibile, la difesa si e’ trovata nella impossibilita’ pratica di ripetere le analisi, a causa della inosservanza delle disposizioni inerenti la conservazione dei reperti.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la carenza di motivazione, rilevando che i giudici non hanno chiarito i dubbi in merito alla effettiva configurazione della aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, stante l’impossibilita’ della difesa di esperire il proprio accertamento tecnico.
La parte richiama a poi le censure espresse dal consulente della difesa, rispetto all’operato del laboratorio dei Carabinieri. Rileva che l’accertamento e’ stato effettuato analizzando solo dieci piantine su 1630 in sequestro, moltiplicando poi il valore del principio attivo medio, per il numero totale delle piante; sottolinea che il THC e’ ricavabile solo dalle inflorescenze delle piantine femminili; e rileva che non e’ stato accertato se le piantine in sequestro siano tutte di genere femminile.
Sulla scorta di tali rilievi, l’esponente osserva che residua un ragionevole dubbio sul superamento effettivo della soglia quantitativa richiesta per la sussistenza della contestata aggravante.
Il ricorrente rileva che la Corte territoriale ha erroneamente affermato che la scelta del rito abbreviato comportava la rinunzia a sollevare doglianze afferenti all’accertamento tecnico effettuato. Sottolinea che al fascicolo e’ stata acquisita anche la richiamata relazione tecnica di parte, idonea ad assurgere ad elemento di prova in giudizio. Evidenzia che, errando, i giudici di merito non hanno considerato la consulenza depositata dalla difesa.
La parte sottolinea che l’osservanza del principio di offensivita’ impone di accertare in concreto la lesione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice; e considera che detto parametro di valutazione avrebbe dovuto essere impiegato anche per la verifica della sussistenza della circostanza aggravante dell’ingente quantita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso impone i rilievi che seguono.
2. Giova ricordare che la giurisprudenza di legittimita’ risulta consolidata nel rilevare che la scelta del rito abbreviato, procedimento cosiddetto “a prova contratta”, comporta che le parti accettano di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del “dibattimento”. Si e’ in particolare chiarito che i risultati della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero, su sostanze non soggette a modificazioni in tempi brevi e, pertanto, senza l’osservanza delle disposizioni di cui all’articolo 360 c.p.p. – non trattandosi di accertamento irripetibile – una volta inseriti nel fascicolo del P.M. sono legittimamente utilizzabili ai fini della decisione, a norma dell’articolo 440 c.p.p., al pari di tutti gli altri atti di indagine svolti (Sez. 6, n. 2999 del 18/11/1992 – dep. 26/03/1993, Cornacchia, Rv. 19359901; Sez. 2, n. 43726 del 11/11/2010 – dep. 10/12/2010, Paglino, Rv. 24922101).
Cio’ premesso, preme evidenziare che la giurisprudenza ha chiarito che il valore probatorio da assegnare, nel rito abbreviato, al materiale presente nel fascicolo del pubblico ministero, non implica l’accettazione dell’ipotesi di accusa, rispetto alla prova di sussistenza degli elementi costitutivi del reato, che grava comunque sulla parte pubblica. In applicazione di tale principio, la Corte regolatrice ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna, pronunciata in esito a giudizio abbreviato per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, che era fondata sui soli esiti del sequestro di modestissimo quantitativo di stupefacente, cui non aveva fatto seguito alcun accertamento tecnico per quantificare la percentuale e la quantita’ di principio attivo effettivamente presente nella sostanza (Sez. 3, n. 44420 del 26/09/2013 – dep. 04/11/2013, Dattilo, Rv. 25759601).
Ai fini di interesse, occorre altresi’ ricordare che la Suprema Corte non ha mancato di sottolineare che, nel rito abbreviato, il giudice deve tenere conto di tutti gli elementi acquisiti, idonei ad incidere sulla valenza probatoria di altri fonti di prova (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 40580 del 23/09/2002, Rv. 222970).
2.1. I principi di diritto ora sinteticamente richiamati, che il Collegio condivide e riafferma, consentono di procedere allo scrutinio congiunto delle doglianze affidate al primo ed al secondo motivo di ricorso.
Si osserva, primieramente, che l’accertamento tecnico effettuato sul campione costituito da dieci piante in sequestro, non si qualifica come accertamento tecnico non ripetibile. Lo stesso ricorrente, nel prospettare la questione in termini perplessi, evidenzia che le piante non erano immediatamente deperibili; tanto e’ vero che a distanza di quasi un mese dal sequestro i Carabinieri danno conto dell’avvio della fase di fisiologico deperimento delle piante medesime. Non risulta, pertanto, sindacabile l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, laddove la Corte territoriale ha osservato che la difesa avrebbe potuto attivarsi per effettuare le verifiche tecniche sulla campionatura acquisita, ben prima del successivo mese di novembre, posto che il sequestro della piantagione era avvenuto alla fine del mese di agosto, in piena stagione estiva.
Esclusa, per quanto detto, la violazione del disposto di cui all’articolo 360 c.p.p., resta da verificare se il percorso giustificativo della decisione sviluppato dalla Corte territoriale presenti le dedotte aporie di ordine logico, anche per la mancata valorizzazione delle indicazioni contenute nella consulenza tecnica di parte, acquisita agli atti del fascicolo.
Sul punto, deve rilevarsi che la Corte di Appello ha legittimamente valorizzato gli esiti delle consulenza tecnica svolta dal Laboratorio analisi dei Carabinieri, ex articolo 359 c.p.p., esiti che avevano condotto induttivamente a ritenere accertata la disponibilita’, in capo al prevenuto, di un quantitativo di principio attivo idoneo alla preparazione di n. 475.093 dosi singole droganti. E deve osservarsi che la Corte distrettuale non ha omesso di soffermarsi sulle indicazioni critiche espresse dal consulente tecnico della difesa. Invero, in sentenza si specifica che le doglianze del Dott. (OMISSIS) non contrapponevano un risultato diverso, rispetto a quello ottenuto dal laboratorio dei Carabinieri, con riferimento alla determinazione del principio attivo ed alla entita’ delle dosi medie ricavabili complessivamente.
Deve allora conclusivamente osservarsi che le suggestive considerazioni critiche espresse dal ricorrente non scalfiscono l’ordito argomentativo posto a fondamento della decisione impugnata, una volta chiarita l’insussistenza di alcun profilo di inutilizzabilita’ del compendio probatorio ed apprezzata la conducenza logica della motivazione sviluppata in sentenza.
L’ordine di considerazioni che precede induce allora a rilevare l’insidacabilita’ della valutazione effettuata dai giudici di merito, rispetto alla accertata consistenza del dato ponderare di riferimento, relativo alla complessiva sostanza stupefacente caduta in sequestro, tale da ritenere integrata la circostanza aggravante della ingente quantita’. E’ appena il caso di rilevare che il numero di dosi single droganti, invero, e’ tala da supere ampiamente i parametri giurisprudenziali indicati dal diritto vivente, anche alla luce dei piu’ recenti arresti giurisprudenziali. Si registrano invero decisioni ove si afferma che, in tema di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti del tipo “hashish”, l’aggravante della ingente quantita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, non e’ di norma ravvisabile quando la quantita’ di principio attivo e’ inferiore a 4000 volte (e non 2000, come gia’ affermato dalle Sezioni Unite) il valore massimo in milligrammi (valore – soglia), determinato per detta sostanza nella predetta tabella allegata al Decreto Ministeriale 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantita’ sia superata (Sez. 6, n. 36209 del 13/07/2017 – dep. 21/07/2017, Trifu e altri, Rv. 27091601).
3. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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