Colpa professionale medica e la cooperazione multidisciplinare

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|30 giugno 2021| n. 24895.

Colpa professionale medica e la cooperazione multidisciplinare.

In tema di colpa professionale medica, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario – compreso il personale paramedico – è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. Né può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l’abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata.

Sentenza|30 giugno 2021| n. 24895. Colpa professionale medica e la cooperazione multidisciplinare

Data udienza 12 maggio 2021

Integrale

Tag – parola: Professioni sanitarie – Colpa del medico – Intervento del medico – Attività precedente e contestuale svolta da un altro collega – Valutazione – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/02/2019 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;
lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8), del P.G. MARIA GIUSEPPINA FODARONI, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
letta la memoria difensiva del 9/4/2021 a firma dell’avv. (OMISSIS) nell’interesse della parte civile (OMISSIS) e le conclusioni, con allegata nota spese, del medesimo difensore in data 28/4/2021;
lette le note di discussione e le conclusioni dell’Avv. (OMISSIS) nell’interesse di (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

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RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, con sentenza del 21/12/2017 assolveva (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato loro ascritto perche’ il fatto non sussiste, mentre condannava (OMISSIS) alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 4 di reclusione, con la non menzione, oltre al risarcimento del danno cagionato alla parte civile costituita (OMISSIS) – rimettendo al giudice civile per la quantificazione e liquidando una provvisionale di 10.000 Euro, tutti imputati:
– per i delitti p. e p. agli articoli 113 e 590 c.p., articolo 583 c.p., comma 1, n. 2, perche’, in cooperazione colposa tra loro, mediante le condotte e i ruoli di seguito descritti, cagionavano a (OMISSIS) una lesione personale tale da porre in pericolo la vita della stessa (accertato dal personale medico dell’Ospedale (OMISSIS) ove giungeva in coma) e da cui derivava deficit udivo quale conseguenza della meningite pneumococcica, malattia non prontamente diagnosticata (in contrasto alle linee guida previste per la meningite dal Ministero della Sanita’ 2014 che prescrivono al fine di prevenire le gravi complicazioni che la diagnosi e le terapie siano tempestive) e non correttamente curata dal personale medico del Pronto Soccorso dell’Ospedale (OMISSIS) dall’atto dell’ingresso, alle ore 18.31 con codice di accesso giallo fino al trasferimento ad altro ospedale – Azienda Ospedaliera (OMISSIS) – alle ore 22,57 dello stesso giorno.
Colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e nella violazione delle regole dell’arte medica, per:
– (OMISSIS) (omissis);
– (OMISSIS), medico neurologo del (OMISSIS) che visita la Sig.ra (OMISSIS). solo alle ore 20.07. pur rilevando rigor nucale e decubito sul fianco, consiglia una terapia adatta a meningite (emocoltura e terapia antibiotica con Rocefin 4g, Ampital 4g e Decadron 8 mr ev) senza tuttavia controllare che la somministrazione farmacologi’ca venga effettivamente posta in essere, senza fare alcuna: dia-noi e senza prelevare del liquor per coltura, limitandosi a prescrivere antibiotico terapia (che non viene somministrato);
– (OMISSIS), medico del P.S. del (OMISSIS) che, pur apprendendo la prima diagnosi formulata dalla Dott.ssa (OMISSIS), non effettua la rachicentesi ne’ attua la terapia antibiotica generale disposta dal Dott. (OMISSIS), rivalutando, inoltre, al momento delle dimissioni della Sig.ra (OMISSIS), la priorita’ di Triage da codice rosso a codice giallo per tre volte (alle ore 22,09, 22,37 e 22,41) nonostante le condizioni critiche in cui versava tant’e’ vero che giunta poi all’Ospedale (OMISSIS) – ove giungeva in corna – la donna viene classificata in codice rosso.

 

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Con l’aggravante di aver cagionato l’indebolimento permanente di un senso.
In (OMISSIS).
– (OMISSIS) (omissis);
L’accusa, dunque, era inizialmente era elevata a carico di piu’ imputati e si basava sull’addebito per cui, intuita e sospettata gia’ all’ospedale (OMISSIS) la diagnosi di meningite sulla (OMISSIS), i diversi medici intervenuti non avrebbero fatto quanto richiesto dalle regole cautelari della scienza medica, cagionando in cooperazione colposa alla paziente una lesione personale dalla quale derivava un deficit uditivo.
L’istruttoria espletata in primo grado smentiva gli iniziali assunti accusatori con riferimento agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e, escludendo l’addebito a loro carico, giungeva ad assoluzione perche’ il fatto non sussiste.
In particolare, si perveniva a tale conclusione per il (OMISSIS), in quanto lo stesso formulava una prima diagnosi di meningite indicando ai medici presenti la somministrazione della terapia antibiotica e l’effettuazione dell’emocultura, indicazioni che non comparivano nella cartella clinica al momento della visita della paziente.
Tutti i testi escussi precisavano che le annotazioni nel verbale venivano effettuate dai medici curanti successivamente alla visita e alla somministrazione delle terapie.
Il (OMISSIS), a fronte della richiesta di spiegazioni, diceva di aver prescritto la somministrazione di terapia antibiotica solo oralmente e cio’ veniva ritenuto veritiero in quanto era ragionevole presumere che, avendo diagnosticato che si trattava di meningite, prescrivesse anche la somministrazione della terapia.
Si perveniva, invece a condanna per il (OMISSIS), imputandogli che avrebbe dovuto conoscere le terapie da attuare in quanto indicate nel protocollo, senza necessita’ di attendere le indicazioni del collega neurologo.
Non si imputava al (OMISSIS) neanche il fatto di non aver controllato e verificato l’operato del (OMISSIS).

 

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Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello il (OMISSIS), tramite il proprio difensore e la parte civile. E la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza impugnata, con sentenza del 12/2/2019, pronunciando sull’appello dell’imputato e della parte civile, dichiarava (OMISSIS) responsabile agli effetti civili del reato ascrittogli e lo condannava al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla parte civile, in solido con (OMISSIS), danni da liquidarsi in separato giudizio civile. Condannava gli imputati in solido alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per la rappresentanza e difesa nel giudizio d’appello nonche’ alle spese processuali del grado d’appello e confermava nel resto la sentenza di primo grado.
Rimaneva, dunque, confermata la penale responsabilita’ del (OMISSIS), cui il giudice di secondo grado, in assenza di appello della parte pubblica, affiancava la condanna al risarcimento dei danni a carico del (OMISSIS).
2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, (OMISSIS) e (OMISSIS), a mezzo dei propri difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
– (OMISSIS);
Con un primo motivo si deduce vizio motivazionale in relazione all’elemento soggettivo del reato;
Il ricorrente, dolendosi di un presunto decifit motivazionale dell’impugnato provvedimento, ricostruisce i fatti che hanno portato al processo, con un’analitica esposizione del decorso degli eventi durante l’accesso al Pronto Soccorso, dove l’imputato svolgeva il turno notturno, al fine di evidenziare l’assoluta diligenza, prudenza e perizia della condotta tenuta nell’approccio medico con la paziente.
In particolare, si evidenzia la qualifica di medico cardiologo del (OMISSIS), che prendeva in carico la paziente alle 20, allorquando iniziava il turno di notte presso il Pronto Soccorso. Il (OMISSIS), su suggerimento della Dott.ssa (OMISSIS) che gli affidava la paziente alla fine del proprio turno, contattava il neurologo reperibile Dott. (OMISSIS), che suggeriva, valutata la paziente e gli esami eseguiti, di inviare la (OMISSIS) presso una struttura dotata di reparto per malattie infettive.

 

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La difesa del (OMISSIS) insiste sul fatto che Dott. (OMISSIS), solo alle 22.30, in caso di mancato trasferimento della paziente, consigliava telefonicamente di eseguire emocolture e successiva terapia antibiotica con Rocefin 4 gr, Amplital 4 gr e Decadron 8 mg ev. Le emocolture – si legge in ricorso – non sono state eseguite per una semplice ragione temporale perche’ quando il (OMISSIS) aveva suggerito telefonicamente di eseguire le stesse e la terapia antibiotica, era gia’ stato trovato il posto – letto al (OMISSIS). E percio’, nell’interesse della paziente, e’ stato ritenuto piu’ opportuno un trasferimento il piu’ rapido possibile verso la struttura specializzata per consentire gli accertamenti e le cure specialistiche piu’ appropriate, considerato che l’inizio della terapia antibiotica sarebbe stato differito di un breve lasso temporale, con il grande vantaggio di potere eseguire gli accertamenti colturali senza interferenze terapeutiche. Pertanto, la terapia antibiotica – e’ la tesi che si sostiene-non e’ stata somministrata per non inficiare l’esito delle emocolture, avendo appunto gia’ trovato il posto letto al (OMISSIS). Le condizioni cliniche ed i parametri vitali della (OMISSIS) venivano continuamente monitorati ed apparivano stabilizzarsi. Alle ore 22.35 veniva richiesta consulenza anestesiologica per trasporto urgente protetto presso l’Ospedale (OMISSIS) ed alle 22.57 la paziente veniva finalmente trasferita in ambulanza, con codice rosso di gravita’ in uscita.
Si lamenta che la sentenza di secondo grado, pur evidentemente rettificando quella di primo relativamente alla posizione del (OMISSIS), suffragando quanto sempre sostenuto dal (OMISSIS) nel proprio esame, presenterebbe notevoli imprecisioni in punto di diritto. Argomenta la sentenza (pag.9) che ” (OMISSIS) non ha applicato il protocollo vigente presso il pronto soccorso del (OMISSIS) per la gestione della malattia, non ponendo in essere le regole ed i comportamenti doverosi prescritti. La prima condotta imposta dal protocollo e dalle linee guida previste per la meningite dal Ministero della Sanita’ nel 2014 e’ la somministrazione della terapia antibiotica”. Ma tale conclusione sarebbe sconfessata dalla stessa sentenza impugnata, che riconosce come il (OMISSIS) abbia prescritto solo alle 22.30, contattato telefonicamente, in caso di mancato trasferimento della paziente, di eseguire emocolture e successiva terapia antibiotica.

 

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La tesi che si ribadisce e’ che il (OMISSIS), medico cardiologo, ha ritenuto ragionevole e piu’ coerente, anche seguendo le indicazioni della dottssa (OMISSIS) che lo aveva preceduto, affidarsi all’unico specialista competente in quella circostanza, ovvero il neurologo di turno quella notte. (OMISSIS), in altri termini, al di la’ di ogni protocollo, confidava legittimamente nella consulenza ad hoc dello specialista, a maggior ragione stante la particolare tipologia del sospetto diagnostico, consulenza che e’ avvenuta in estremo ritardo, alle 22.30, quando gia’ un posto letto era stato trovato. E’ stata proprio questa mancanza di direttive da parte del collega che ha indotto l’odierno ricorrente a trasferire la paziente nel piu’ breve tempo possibile in una struttura idonea al trattamento piu’ appropriato (come di fatto e’ avvenuto).
Riconosce la sentenza impugnata (pag.9) che ” (OMISSIS) si e’ adoperato immediatamente e con molto impegno al fine di trasferire la paziente presso un idoneo reparto di malattie infettive”, tuttavia insiste nel sostenere che “avrebbe dovuto somministrare subito la terapia ed attuare quegli interventi urgenti e salva vita previsti dal protocollo dell’ospedale”.
Cio’ sarebbe vero, pero’, ribadisce il difensore ricorrente, se non vi fosse stato in loco uno specialista neurologo, ma non nel caso in esame, in cui l’affidamento del (OMISSIS) sulle competenze specialistiche del (OMISSIS) rende le condotte del primo completamente prive di qualsiasi profilo colposo. La consulenza neurologica del (OMISSIS), come ben riconosciuto dalla sentenza impugnata, e’ stata del tutto carente: non e’ stato messo a conoscenza il (OMISSIS) di linee guida redatte dalla neurologia da parte del neurologo che consigliava solo il trasferimento e non si e’ praticamente occupato del caso. Constatati i tempi prolungati per il trasferimento, causa difficolta’ e resistenze delle strutture consultate, solo dopo ripetute insistenze telefoniche da parte del (OMISSIS), il neurologo si e’ deciso a proporre terapia antibiotica, previa esecuzione delle emocolture, ma cio’ avveniva troppo tardi, alle 22.30, quando gia’ la paziente era in trasferimento.
Il suggerimento telefonico del (OMISSIS) – e’ la tesi proposta in ricorso – avveniva in prossimita’ del trasferimento della paziente presso un Centro dotato di tutti i requisiti sia diagnostici che terapeutici, e non solo empirici. Tale suggerimento, inoltre, non teneva conto del fatto che l’esecuzione delle emocolture avrebbe fatto perdere ulteriore tempo, non disponendo l’ospedale (OMISSIS) di un laboratorio per la rapida refertazione dell’esame.

 

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E si sostiene che bene ha fatto, a quel punto, il (OMISSIS) a non somministrare terapia antibiotica empirica che avrebbe interferito sulla diagnosi eziologica, in quanto nel giro di poche decine di minuti sarebbe stata effettuata la rachicentesi al (OMISSIS) e successiva terapia antibiotica mirata. Tale pratica clinica, posta in atto nell’interesse della paziente con impegno e professionalita’, seppure in un turno di Pronto Soccorso molto particolare per la giornata festiva e l’alta affluenza, ha di fatto prodotto risultati positivi, data l’alta mortalita’ della meningite.
Si ricordano in ricorso le conclusioni del prof. (OMISSIS), consulente della difesa che ha concluso nel senso che non e’ ragionevole ritenere che la gestione clinica della (OMISSIS) da parte del (OMISSIS), per meno di 3 ore ed in un caso di malattia esordita da oltre 3 giorni, possa aver cagionato un reale danno al decorso clinico della paziente. Al contrario, proprio grazie al costante impegno profuso dal (OMISSIS) nel cercare un trasferimento idoneo all’appropriato trattamento nel piu’ breve tempo possibile, ha permesso, tra molte difficolta’ operative, di assicurare alla (OMISSIS) un tempestivo trattamento specialistico in un centro dedicato.
Con un secondo motivo si deduce mancanza o contraddizione della motivazione della sentenza impugnata in punto di valutazione del danno riferito dalla (OMISSIS), con particolare riferimento al deficit uditivo quale conseguenza della nota meningite, in quanto l’impugnata sentenza, pur in presenza di specifico motivo di impugnazione, non ha argomentato alcunche’.
Per il ricorrente pare dato di comune esperienza medica che la somministrazione della terapia antibiotica posticipata di poche ore non avrebbe diminuito l’ipoacusia della paziente. In altri termini, non si comprenderebbe da dove si desuma la certezza che la somministrazione dell’antibiotico prima avrebbe diminuito l’ipoacusia ed il posticiparlo di poche ore l’avrebbe aumentata. Il tutto considerando un dato fondamentale, ovvero che l’esordio della sintomatologia era di 3 giorni prima delle contestazioni, trattandosi evidentemente di presentazione tardiva della malattia.
Ne’ apparirebbe dimostrata la circostanza che l’ipoacusia non preesistesse nella paziente, non avendo documentato la parte civile l’esito dell’esame audio-metrico precedente ai fatti.
Insomma, apparirebbe evidente un’assenza di correlazione tra la malattia meningite e l’eventuale lesione riferita, ipoacusia lieve.

 

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In particolare, considerando che l’ipoacusia e’ condizione molto comune negli anziani, sarebbe altamente plausibile una sua preesistenza.
Una terapia antibiotica, prescritta massivamente, puo’ verosimilmente provocare ipoacusia come effetto collaterale.
E quindi, tale presunto danno occorso alla (OMISSIS) pare non essere imputabile all’eventuale ritardo intraospedaliero (3 ore), ma ipoteticamente e piu’ verosimilmente al ritardo extraospedaliero (3 giorni).
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
– (OMISSIS).
Con un unico motivo viene dedotta mancanza, contraddittorieta’, manifesta illogicita’ della motivazione in relazione all’accertamento del danno subito dalla parte civile e alla conseguente condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio in solido tra gli imputati.
Quanto al danno subito dalla (OMISSIS) la cui reale entita’ non e’ stata esattamente dimostrata e sul quale sembra che anche la Corte abbia nutrito qualche perplessita’ (“indebolimento permanente dell’organo dell’udito o aggravamento dello stesso”: in quale delle due condizioni la signora (OMISSIS) si trova in realta’-)
Ricorda il ricorrente che nessun approfondimento e’ stato effettuato dal giudice di primo grado che ha ritenuto sufficienti le produzioni dei referti della parte civile, il primo datato giugno 2014 e il secondo settembre 2015. La consulenza Osculati – Pezzotta e’ del giugno 2015 nessuno puo’ escludere l’intervento di fattori causali alternativi o escludenti il peggioramento dell’udito cosi’ come non vi e’ alcun elemento che confermi che la condizione clinica certificata a giugno 2014 sia rimasta inalterata a distanza di 6 mesi, ovvero fino al 31/12/2014, data dell’accesso al P.S. dell’Ospedale (OMISSIS).
Se quindi il profilo del deficit uditivo sembra non avere una sua netta definizione resterebbe da considerare come evento lesivo il periodo di malattia da identificare con il tempo trascorso dalla paziente presso l’Ospedale (OMISSIS): non dimentichiamo, pero’, la gravita’ della patologia e il fatto che, indipendentemente dall’accuratezza e appropriatezza terapeutica, il recupero di una condizione di vita soddisfacente sarebbe stato lungo e necessitante di cure e terapie adeguate.

 

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Nell’esprimersi in ordine alla portata della posizione di garanzia assunta dal dottor (OMISSIS), la Corte d’Appello ha sostenuto l’assunto che “il compito del (OMISSIS) non fosse solo quello di visitare la paziente e di formulare una corretta diagnosi, ma anche di prescrivere la terapia, interessarsi della vicenda, somministrare i farmaci salvifici personalmente o controllare che altri lo facessero”.
Evidenzia il ricorrente che la giurisprudenza di legittimita’ citata dalla Corte territoriale (Sez. 4, n. 24068/2018) si riferisce proprio al caso di un paziente inviato dal medico di pronto soccorso, per un consulto, a un collega specialista in neurologia. E’ la stessa Cassazione, tuttavia, a sottolineare come il medico di pronto soccorso, avendo preso in carico il paziente, sia tenuto a “coordinare i risultati della consulenza neurologica con il complesso dei dati a propria disposizione”, considerato che “e’ preciso obbligo del medico gerente, che richieda una consulenza e che ne ottenga gli esiti, coordinare questi ultimi con il complessivo quadro sintomatico ed anamnestico in propria conoscenza, onde pervenire a diagnosi e terapia”.
La lettura fornita dal collegio dell’appello dell’impianto probatorio a sostegno della sentenza del tribunale di Milano, che aveva escluso ogni responsabilita’ in capo al neurologo (OMISSIS), appare per il ricorrente fortemente viziata da apoditticita’ e con un’interpretazione orientata a un appiattimento dei singoli apporti professionali. In particolare, la Corte territoriale ha fatto proprie le dichiarazioni dell’imputato (OMISSIS) secondo il quale il (OMISSIS), effettuato il consulto alle ore 20.13, avrebbe si’ confermato la diagnosi e suggerito il trasferimento in una struttura sanitaria adeguata ma non avrebbe indicato la corretta terapia farmacologica se non successivamente (alle 22.30 come da risultanze della cartella clinica). Il tribunale ha ritenuto altamente credibile la ricostruzione dei fatti fornita da (OMISSIS), che, a fronte della richiesta di spiegazioni del perche’ non risultasse scritta, nel verbale di dimissioni, alle ore 20.13 anche l’annotazione dell’antibiotico, ha spiegato che non era stato lui a redigere materialmente quel verbale di dimissioni,ma il collega (OMISSIS) in PS, e che, nel referto di visita neurologica effettuata alle 20.13, non aveva l’obbligo …”di indicare tutto’ ma che, comunque, aveva detto, oralmente, ai due colleghi ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) che la (OMISSIS) doveva iniziare la terapia empirica.” p. 31 sentenza di primo grado).
Di fatto il (OMISSIS) ha ammesso di avere dato priorita’ al trasferimento della paziente e che se il neurologo gli avesse consigliato di somministrare la terapia antibiotica “io non avrei esitato ” (p. 23 sentenza di primo grado): ha invece esitato, e a lungo, anzi non ha proprio attuato ne’ quanto previsto dal protocollo ospedaliero ne’ quanto indicato dal (OMISSIS), contraddicendosi peraltro.

 

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Per il ricorrente non si comprende come la Corte territoriale abbia potuto cosi’ semplicisticamente trattare allo stesso modo le due posizioni: anche a voler considerare solo il dato documentale, resta il fatto che il (OMISSIS) non ha provveduto neppure alle 22.30 e quindi appare davvero poco credibile e meritevole di fiducia la sua dichiarazione.
Il (OMISSIS) – continua il ricorso – ha prestato la propria attivita’, a voler considerare esclusivamente il dato documentale e la ricostruzione fornita dalla Corte territoriale, in due momenti, alle 20.13, quando ha fatto la diagnosi e dato indicazioni per il trasferimento e successivamente, contattato telefonicamente dal personale di P.S., alle 22.30 quando, secondo la ricostruzione di (OMISSIS), avrebbe prescritto la terapia, che peraltro lo stesso (OMISSIS) si e’ ben guardato dal fare. Questi due momenti, che perimetrano nettamente il ruolo del neurologo, svolgeranno un ruolo significativo quando si affrontera’ il tema del nesso causale.
La Corte di Milano – ci si duole – ha completamente negato la circostanza che il (OMISSIS) sia venuto meno, per negligenza ed imperizia, al caposaldo della legge Gelli Bianco ovvero la conoscenza delle raccomandazioni contenute nelle linee guida e delle buone pratiche clinico assistenziali.
Non al (OMISSIS) si sarebbe dovuta attribuire la colpa “per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte” (p. 12 sentenza impugnata), come peraltro aveva deciso il tribunale, bensi’ esclusivamente al (OMISSIS) che ha liberamente e scientemente operato una scelta tra i comportamenti indicati dal protocollo decidendo quale attuare preventivamente. Che il (OMISSIS) avesse deciso di non eseguire la terapia farmacologica e’ evidente visto che tale opzione non e’ stata attuata nell’arco temporale dalle 20.15 alle 23.30 durante il quale si e’ occupato della paziente.
La legittimita’ dell’affidamento di (OMISSIS) – prosegue il ricorso- avrebbe trovato un limite se fossero emerse circostanze tali da fargli ritenere che il collega avesse violato o fosse sul punto di violare una regola cautelare; ma la ricostruzione dello stesso (OMISSIS) ha evidenziato, invece, che cosi’ non e’ stato e pertanto nessuna estensione dell’obbligo di diligenza del neurologo puo’ essere richiesta.

 

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Invero, per il ricorrente non v’e’ chi non veda come il (OMISSIS), prestato il richiesto consulto e constatata la situazione grave ma non ancora emergenziale (codice giallo), fosse piu’ che legittimato a fare affidamento sull’adeguatezza dell’operato dei preparati colleghi del pronto soccorso, avvezzi a rapportarsi quotidianamente con un variegato numero di casistiche, nonche’ a conoscenza del protocollo sanitario da applicare nei casi di meningite.
Il difensore ricorrente richiama, quanto agli obblighi ed alla posizione di garanzia del medico chiamato a prestare il consulto, il precedente di questa Sez. 4 di cui alla sentenza del n. 24068 del 29/5/2018 nel senso che non e’ sufficiente il mero invio a consulenza per assumere la posizione di garanzia all’interno di una struttura complessa.
Viene ricordato che nel caso che ci occupa tutti i testi hanno rappresentato l’esistenza di una suddivisione dei compiti e di un’organizzazione del lavoro, come avviene all’interno delle strutture ospedaliere.
Dal verbale di P.S. e dalle stesse affermazioni della denunciante e dei suoi familiari, marito e figlia, emerge che “la dottoressa (OMISSIS), assumeva la gestione della paziente e divenne la referente dei famigliari” (il richiamo e’ a pag. p. 2 dell’atto di denuncia – querela). Dall’istruttoria espletata, inoltre, non e’ mai emerso un coinvolgimento del dottor (OMISSIS) che potesse essere collocato oltre il ruolo strettamente consulenziale.
In particolare, per il ricorrente si puo’ tranquillamente sostenere che la (OMISSIS) non fu certo abbandonata a se stessa, come sostenuto dalla parte civile appellante, ma affidata alle cure di almeno due medici, la (OMISSIS) in prima istanza e poi e costantemente il (OMISSIS), decisamente il medico di riferimento, e l’apporto anche causale del (OMISSIS) non puo’ che considerarsi del tutto irrilevante e privo di efficacia in relazione al verificarsi dell’evento.
Ritiene la Corte d’appello che la condotta negligente di (OMISSIS) abbia costituito una concausa nel verificarsi della malattia e delle lesioni lamentate dalla (OMISSIS) in quanto: “entrambi hanno partecipato alla medesima catena causale e per entrambi la condotta alternativa lecita sarebbe stata la stessa adeguarsi tempestivamente al protocollo e alle linee guida della scienza medica e somministrare la terapia prescritta cio’ avrebbe modificato in melius il decorso della patologia. Un trattamento tempestivo avrebbe innescato un decorso causale diverso e portato alla verificazione di un evento-malattia piu’ lieve rispetto a quello concretamente verificatosi, con minori sofferenze per la paziente A causa delle manchevolezze dei due sanitari del (OMISSIS), invece, la malattia ha assunto un quid pluris di gravita’ modale e temporale e ha determinato l’indebolimento permanente dell’organo dell’udito della (OMISSIS) – o l’aggravamento dello stesso – oltre sofferenze fisiche e psichiche” (p. 12 della sentenza impugnata).
Ebbene, ricorda il ricorrente che g stessi consulenti del P.M. hanno scritto quanto segue (p. 14 relazione): “Nessuno studio clinico prospettico (Wolff e Decazes) consente di quantificare con precisione il tempo ottimale per attuare un’opportuna terapia antibiotica dopo l’arrivo in ospedale di un paziente affetto da meningite batterica. Un piccolo numero di studi cimici e’ riuscito a quantificare le ore di somministrazione di antibiotici dopo il ricovero in ospedale e due di essi mostrano un rapporto statistico tra questo periodo e la prognosi di meningite batterica negli adulti. I dati a disposizione sembrano raccomandare che nel sospetto di meningite batterica la terapia antibiotica e’ piu’ efficace se e’ iniziata entro un’ora dall’arrivo.” Precisa in udienza il Dott. (OMISSIS) (ud. 23/3/17, p. 16 trascrizione): “Questa e’ la raccomandazione, pero’ non abbiamo un dato statistico, cioe’ questa e’ la raccomandazione dell’autore che ha fatto una revisione critica della sua casistica e della letteratura, e’ giunto a questa conclusione.” Prosegue (p. 17 ibidem):”…bisogna agire in fretta, perche’ se si agisce non in fretta sicuramente i danni sono maggiori, pero’ tra il dire di quanto lo non mi sento in grado di dare un numero.” “…La terapia non fatta e la terapia fatta, cioe’ non c’e’ un dato..”. (p. 18).
Il ricorrente evidenzia che, dal verbale di pronto soccorso del (OMISSIS) in atti (p. 17), emerge che la somministrazione dell’antibiotico (Rocefin e’ stata eseguita alle ore 01.37.49 a ben due ore dall’accettazione in P.S., avvenuta alle ore 23.31(p. 15).
Per cui, se si considera che il dottor (OMISSIS) ha avuto due contatti con il caso clinico (20.13 – consulenza – 22.30 – telefonata aggiornamento) e la terapia antibiotica e cortisonica, cosi’ urgente secondo l’interpretazione della parte civile e della Corte, e’ stata somministrata solo alle ore 01.37.49 non si puo’ certo ritenere che il ruolo svolto dal (OMISSIS) possa costituire una concausa determinante al verificarsi del presunto e non provato evento.

 

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Si domanda il ricorrente: Non e’ forse una concausa anche la posizione attendista dei sanitari dell’Ospedale (OMISSIS)- La paziente e’ giunta al pronto soccorso di detta struttura intorno alle 23.31: perche’ aspettare cosi’ tanto prima d’intraprendere la terapia-
La conclusione, percio’, sarebbe che se vi e’ un unico medico al quale non si possono muovere censure e’ proprio il (OMISSIS) e, nell’ambito degli apporti causali, non si puo’ certo non ritenere significativo anche il comportamento dei sanitari dell’ospedale (OMISSIS).
Richiamata la giurisprudenza in tema di nesso di causalita’ di questa Corte (ed in particolare Sez. 4 n. 38991/2010 e SSUU n. 30328/2002 Franzese), considerando la condotta del (OMISSIS), non si potrebbe che aderire alla valutazione del C.T.P. (OMISSIS) che l’ha definita consona a quella dell’agente modello: la visita e la diagnosi sono state prontamente eseguite, cosi’ come immediata e’ stata l’indicazione della terapia e del trasferimento in altra struttura sanitaria.
Il (OMISSIS) ha seguito le raccomandazioni contenute nelle linee guida e nel protocollo ospedaliero e nessuna censura puo’ essere mossa al suo operato.
Il ricorrente ricorda che, secondo l’orientamento di questa Corte in tema di nesso causale, “il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attivita’ (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilita’ razionale.” (Sez. 4, n. 24922/2019).
Non essendo automaticamente consentito dedurre dal coefficiente di probabilita’ espresso dalla legge statistica, che pure nella fattispecie in esame appare particolarmente elevato (70% di ipoacusia in soggetto anziano – dato questo mai contraddetto), la conferma o meno dell’ipotesi accusatoria sul nesso causale, il giudice deve verificarne la validita’ nel caso concreto, sulla base delle circostanze di fatto e dell’evidenza disponibile. Il giudizio controfattuale dovrebbe portare a ritenere che, ammessa l’esistenza di una posizione di garanzia del (OMISSIS), la mancata effettiva prescrizione, ma sul punto la Corte chiede anche un quid pluris ovvero la concreta somministrazione, della terapia antibiotica e cortisonica nel periodo intercorrente tra le ore 20.13 e 22.30 avrebbe cagionato un ridotto in termini temporali e meno invasivo ricovero ospedaliero, atteso che in ogni caso questo evento si sarebbe verificato, e un ulteriormente ridotto reliquato di ipoacusia, che in ogni caso sarebbe residuato visto la percentuale sopra citata: il tutto in considerazione dell’apporto causale non certo irrilevante, anzi preponderante, del (OMISSIS) (paziente in carico dalle 20.13 alle 23.30, posizione di garanzia quale medico di P.S.) e dei medici del P.S. dell’A.O. (OMISSIS) (dalle 23.45 alle 01.43 momento in cui hanno somministrato la terapia).
La Corte territoriale – ci si duole – ha acriticamente considerato l’esistenza del danno estendendone l’imputabilita’, ai fini civilistici, anche all’operato del dottor (OMISSIS), con una ricostruzione non consona ne’ alle risultanze processuali – del tutto assenti in ragione del danno ma ampiamente favorevoli in relazione alla condotta del neurologo – ne’ all’orientamento giurisprudenziale prevalente.
Chiede, pertanto, annullarsi ai soli effetti civili l’impugnata sentenza con ogni conseguente statuizione e condannare la parte civile al pagamento delle spese di proseguita assistenza sostenute dal (OMISSIS) secondo la nota che sara’ depositata in udienza.
3. In data 9/4/2021 e’ stata presentata memoria difensiva a firma dell’Avv. (OMISSIS), nell’interesse della parte civile (OMISSIS), tesa a contrastare le argomentazioni di cui ai ricorsi.
Ricostruita la vicenda processuale, il difensore, quanto al ricorso del (OMISSIS), evidenzia che i due motivi proposti sarebbero inammissibili perche’, lungi dall’individuare elementi di effettiva contraddittorieta’ della motivazione, si limitano a stimolare – avanti a questa Corte di legittimita’ – una diversa ricostruzione di profili fattuali, rispettivamente collegati all’addebito colposo e all’evento dannoso, gia’ definitivamente accertati dai giudici di merito. Prova ne sarebbe il tentativo di riepilogare, per ben tre pagine su dieci, il contenuto della consulenza tecnica dell’imputato, gia’ ampiamente valutata e superata, sin dai primo grado di giudizio.

 

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Viene evidenziato che la tesi difensiva dell’imputato ruota attorno a una serie di assunti, i quali escluderebbero la sussistenza della ritenuta condotta colposa.
In particolare, l’inerzia del medico di P.S., che, dalle ore 20.00 alle ore 22.57, nulla avrebbe fatto se non cercare di trasferire la paziente, senza somministrare la doverosa terapia antibiotica, sarebbe giustificata: 1. dal fatto di non essere un neurologo, ma un “medico cardiologo”; circostanza che sarebbe “la chiave di lettura di tutto” il ricorso per cassazione; 2. dal fatto di aver asseritamente rispettato le indicazioni dello specialista neurologo Dott. (OMISSIS), il quale, dopo aver confermato alle ore 20:13 la diagnosi di meningite, avrebbe semplicemente suggerito di trasferire la paziente, senza prescrivere la terapia antibiotica (prescrizione poi sempre secondo (OMISSIS) – effettuata solo per via telefonica verso le ore 22:30).
In questo affidamento verso il neurologo sta, in definitiva, l’intera difesa del (OMISSIS). Si tratta, peraltro, secondo il difensore di parte civile, di una linea difensiva gia’ vagliata e screditata da una doppia conforme sentenza di condanna, che ne ha palesato l’assoluta insostenibilita’.
Quanto al problema dell’affidamento verso il neurologo, i giudici di primo e di secondo grado hanno gia’ ampiamente spiegato perche’ non escluda affatto la responsabilita’ del (OMISSIS) la circostanza (confermata dal giudice di seconde cure) che il (OMISSIS) abbia suggerito la terapia antibiotica solo alle 22:30 e non gia’ alle 20:13, cosi’ come invece sostenuto dal neurologo.
La colpa del secondo non esclude certo quella del primo, ma piuttosto ad essa si somma. Sul punto, infatti, e’ stato ampiamente dimostrato in entrambi i giudizi di merito che l’Ospedale (OMISSIS), cosi’ come ogni altro nosocomio e sulla base delle linee guida nazionali e internazionali, aveva implementato un “Protocollo medico sospetta meningite batterica in pronto soccorso del (OMISSIS)”, depositato dalla difesa di parte civile come allegato alla memoria dell’8.3.17 (e richiamato dalla Corte d’Appello in sentenza alla nota 1) che il (OMISSIS) ha disatteso. E tale protocollo, contrariamente a quanto potrebbe evincersi dalla pag. 5 del ricorso (OMISSIS) (ove si parla di linee guida redatte dalla neurologia), fosse un protocollo rivolto specificamente ai medici del pronto soccorso, finalizzato proprio a uniformare i comportamenti che costoro devono autonomamente tenere in presenza di un sospetto caso di meningite.
Quanto al ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS) il difensore della parte civile evidenzia che, da un lato, anzitutto, citando brani di testimonianze e relazioni tecniche, l’imputato pretende che venga rivalutata, in termini squisitamente fattuali, l’esistenza dell’ipoacusia in capo alla (OMISSIS). E non si tratterebbe di ipotetici travisamenti della prova (dichiarativa o peritale): cio’ che l’imputato contesta e’ proprio la valutazione che il giudice di merito ha svolto rispetto a queste risultanze probatorie. Per rendersi conto dell’impostazione di questo motivo, viene richiamata pag. 3 del ricorso, dove si dice che “nessun approfondimento e’ stato effettuato dal giudice di primo grado, che ha ritenuto sufficienti le produzioni dei referti della parte civile”; si contesta il modo in cui il giudice ha esercitato i propri poteri decisori in ordine alla valutazione di prove esistenti e ben comprese nel loro significato esplicativo. Si tratterebbe, cosi’, di un motivo palesemente inammissibile avanti al giudice di legittimita’.

 

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In secondo luogo, poi, anche la limitazione al concetto di ipoacusia apparirebbe inaccettabile in quanto entrambi i giudici hanno correttamente sposato l’orientamento della concretizzazione dell’evento, alla luce delle molteplici le sentenze nelle quali viene esplicitato che, in tema di responsabilita’ medica, non rileva esclusivamente l’esistenza in se’ della patologia, ma anche e soprattutto il suo concreto sviluppo, la sua virulenza e la sua durata (vengono ricordate sul punto le sentenze 2474/2011 e 22156/2016).
In seconda battuta, nel ricorso si contesta la ritenuta condotta colposa del (OMISSIS), sulla base di una serie di argomenti, che possono essere cosi’ sinteticamente riepilogati: 1) non sarebbe vero che il (OMISSIS) ha suggerito al (OMISSIS) la somministrazione della terapia antibiotica soltanto alle 22:30, avendolo fatto verbalmente anche alle ore 20:13; 2) non sarebbe vero che il medico (in questo caso neurologo), chiamato quale consulente, conserva una posizione di garanzia rispetto al paziente visitato, la quale spetterebbe solo al medico di pronto soccorso che ha in carico il paziente medesimo; 3) il (OMISSIS) avrebbe maturato un legittimo affidamento sull’operato del (OMISSIS), idoneo ad escludere la sua responsabilita’ colposa.
Tutte e tre le lagnanze, secondo la parte civile, sono inaccoglibili: la prima perche’ inammissibile, la seconda e la terza perche’ infondate, cosi’ come gia’ ampiamente chiarito dalla sentenza impugnata, la quale ha gia’ affrontato questi profili, presentati in identico modo dall’imputato.
In particolare, in punto di assunzione di garanzia in capo al medico che viene chiamato per un consulto, il difensore di parte civile richiama i dicta di questa Sez. 4 n. 4827/2003, n. 3365/2010, n. 39838/2016.
Nel caso di specie, in definitiva, si legge ancora nella memoria della parte civile, il principio di affidamento non puo’ in alcun modo operare, per la semplice ragione che il (OMISSIS) si trovava a sua volta pacificamente in una situazione di colpa, derivante quantomeno da due gravi forme di negligenza: 1. non avere correttamente prescritto (e indicato per iscritto) nella propria diagnosi delle ore 20:13 la somministrazione della doverosa terapia antibiotica a favore di una paziente, rispetto alla quale aveva appena accertato la sussistenza di una grave forma di meningite; 2. non essersi in seguito sincerato – come imposto dalle succitate sentenze di Codesta Corte, oltreche’ ovviamente dalle regole dell’arte medica – che la paziente da lui visitata fosse stata correttamente trattata dal medico di P.S. (e cio’ a prescindere dal momento nel quale la terapia e’ stata prescritta).
In ultimo, quanto al nesso causale, si evidenzia che il (OMISSIS) sollecita questa Corte a rivalutare il doppio giudizio conforme che i giudici di merito hanno dato a proposito della sussistenza dello stesso, ma non tenta nemmeno di confrontarsi, ritornando piuttosto su quel ragionamento in astratto, che la Corte d’Appello gia’ si era premurata di considerare e rigettare.

 

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La parte civile chiede, pertanto, di voler dichiarare entrambi i ricorsi inammissibili o, comunque, di rigettarli in quanto infondati.
4. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi, il difensore della parte civile (OMISSIS), che ha chiesto dichiararsi inammissibili o rigettarsi i ricorsi e condannarsi gli imputati alla rifusione delle spese sostenute nel grado, come da nota spese depositata e il difensore di (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati, nei limiti di seguito enunciati e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano cui va demandata anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita’.
2. In primis, per quello che rileva in questa sede, vanno ricordati i fatti che hanno portato al processo.
Il (OMISSIS), alle 18.26, l’odierna parte civile effettuava accesso presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale (OMISSIS) in Milano, inviata da sostituto del curante per iperpiressia da 3 giorni, stato confusionale, cefalea (codice giallo).
Alle 18.42 la paziente veniva visitata in sala dalla Dott.ssa (OMISSIS) che annotava “paziente in stato di agitazione, non collaborante, piretica” e le somministrava SF 500 ml, Midazolam 1/2 fl e Plasil 1 fl im.
Alle 18.45, la paziente eseguiva RX torace ed alle 19.14 TAC al capo.
Durante la TAC, si manifestava un ulteriore episodio di agitazione con vomito e veniva contattato l’anestesista.
Versando la paziente in forte agitazione psicomotoria, veniva attuata una contenzione fisica, facendo sottoscrivere l’apposito modulo di consenso informato ai familiari.
Alle ore 20, la (OMISSIS), concluso il turno, affidava la paziente al (OMISSIS), medico del turno di notte del Pronto Soccorso unitamente alla collega Squinzi e, avendo ipotizzato una sospetta meningite, suggeriva al collega che le subentrava in pronto soccorso di contattare con urgenza il neurologo reperibile. E il (OMISSIS) cosi’ faceva.
Il neurologo Gianluigi (OMISSIS) si portava rapidamente (alle 20,13) in pronto soccorso e valutava la paziente, visionava la TAC cerebrale effettuata e confermava il sospetto clinico di meningite, annotando sul verbale del Pronto Soccorso “paziente vigile ma non contattabile, non parla ne’ esegue comandi, isocorica, nuca rigida e decubito preferenziale laterale”.
Il (OMISSIS) consigliava di inviare la paziente in una struttura con un reparto di malattie infettive, nell’evidente sospetto di meningite. Cio’ in quanto l’Ospedale (OMISSIS), afferente al (OMISSIS), nei suoi vari presidi non ha alcun reparto di malattie infettive ne’ consulente infettivologo, dovendo contattare colleghi infettivologi di altre strutture, mentre la pertinenza della paziente era chiaramente inerente alla specializzazione Infettivologia.
Tuttavia, lo stesso non menzionava sulla consulenza verbalizzata in Pronto Soccorso ne’ riferiva a voce al (OMISSIS) – secondo la tesi difensiva di quest’ultimo, mentre il (OMISSIS) sostiene di averlo fatto – alcun suggerimento riguardante la terapia da iniziare nelle more del trasferimento.

 

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Visionati gli esami ematochimici (leucocitosi significativa con GB circa 16000/ml) e PCR “7 e valutati gli esami strumentali, il (OMISSIS) riteneva confermato il sospetto clinico di meningite.
Tra le 20.30 e le 22.30, il (OMISSIS), seguendo le istruzioni del (OMISSIS), cercava ripetutamente di trasferire la paziente presso struttura idonea, ma la ricerca della stessa richiedeva molto piu’ tempo del previsto, soprattutto per la lunga attesa di conferma telefonica da parte dei vari reparti contattati.
Venivano contattati, nell’ordine, – e scrupolosamente annotato nel diario clinico – l’Ospedale (OMISSIS) (con risposte sempre negative) ed infine il (OMISSIS). E solo in tale ultima struttura vi era disponibilita’ di un posto letto in infettivologia.
Nel frattempo, tra le 20.30 e le 22.30, veniva contattato telefonicamente piu’ volte il collega neurologo che non riteneva opportuno eseguire la rachicentesi, esame fondamentale per la diagnosi di meningite, in quanto il campione avrebbe dovuto essere inviato presso l’Ospedale Niguarda per l’analisi, ritenendo piu’ indicata l’esecuzione di questa procedura presso una struttura dotata di reparto di malattie infettive.
Tuttavia, il (OMISSIS), alle 22.30, in caso di mancato trasferimento della paziente, consigliava telefonicamente – circostanza stavolta confermata anche dal (OMISSIS)- di eseguire emocolture e successiva terapia antibiotica con Rocefin 4 gr, Amplital 4 gr e Decadron 8 mg ev.
Le emocolture non venivano eseguite – secondo quanto riferito dal (OMISSIS)-per una ragione temporale, in quanto, nel momento in cui il (OMISSIS) aveva suggerito telefonicamente di eseguire le stesse e la terapia antibiotica, era gia’ stato trovato il posto-letto al (OMISSIS).
Secondo la tesi difensiva del (OMISSIS), in altri termini, fu ritenuto piu’ opportuno, nell’interesse della paziente, un trasferimento il piu’ rapido possibile verso la struttura specializzata, per consentire gli accertamenti e le cure specialistiche piu’ appropriate, considerato che l’inizio della terapia antibiotica sarebbe stato differito di un breve lasso temporale, con il grande vantaggio di potere eseguire gli accertamenti colturali senza interferenze terapeutiche. Inoltre, il (OMISSIS) ha sostenuto che la terapia antibiotica non e’ stata somministrata per non inficiare l’esito delle emocolture, avendo appunto gia’ trovato il posto letto al (OMISSIS). E che in ogni caso le condizioni cliniche ed i parametri vitali della paziente venivano continuamente monitorati ed apparivano stabilizzarsi.
Alle ore 22.35 veniva richiesta consulenza anestesiologica per trasporto urgente protetto presso l’Ospedale (OMISSIS) ed alle 22.57 la paziente veniva finalmente trasferita in ambulanza, con codice rosso di gravita’ in uscita.

 

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3. A fronte di tali fatti sono stati contestati in imputazione agli odierni ricorrenti i seguenti profili di colpa:
– al (OMISSIS), medico del pronto soccorso che ricevette in consegna la paziente alle ore 20 con una chiara indicazione che fosse affetta da meningite, di non avere immediatamente iniziato la terapia antibiotica, cosi’ come prescritto dalle linee guida di quel pronto soccorso.
– al (OMISSIS), medico specialista di non avere subito disposto la terapia antibio-stica, o in ogni caso di non avere controllato che il collega del pronto soccorso l’attuasse.
Come si ricordava in premessa, nei confronti del (OMISSIS) vi e’ stata una doppia conforme affermazione di responsabilita’ mentre il (OMISSIS) e’ stato assolto in primo grado perche’ il fatto non sussiste e la Corte milanese, sull’appello della sola parte civile, ne ha affermato la responsabilita’ civile nei confronti di (OMISSIS).
Orbene, va evidenziato a questo punto che sono infondati i motivi di doglianza proposti dagli odierni ricorrenti tesi a contestare la sussistenza dei comportamenti colposi loro imputati.
Quanto al (OMISSIS), con motivazione logica e congrua, nonche’ corretta in punto di diritto – e che, pertanto, si sottrae ai denunciati vizi di legittimita’ – i giudici del gravame del merito evidenziano come, indipendentemente dal fatto che il collega specialista gliel’avesse o meno consigliato o indicato, egli, da medico del pronto soccorso doveva sapere che, secondo le linee guida vigenti, di fronte ad un sospetto di meningite la terapia antibiotica andava iniziata quanto prima.
La motivazione sul punto della Corte territoriale non si presta a censure di legittimita’.
Viene ricordato in proposito come le prime condotte imposte dal protocollo dell’Ospedale (OMISSIS) -prodotto in atti dalla difesa di parte civile- e dalle linee guida previste per la meningite dal Ministero della sanita’ nel 2014 – contestate nel capo di imputazione – sono l’emocultura e la la somministrazione della terapia antibiotica in infusione endovenosa (Amplital 12 g nelle 24 ore in due somministrazioni piu’ Rocefin 4 gr. nelle 24 ore in due somministrazioni). Quindi, in presenza di un sospetto di meningite, la terapia antibiotica deve essere iniziata senza indugio, a prescindere dai restanti accertamenti, poiche’ in tal caso gli antibiotici sono l’unico rimedio contro la morte. Come adempimento successivo e’ indicata l’opportunita’ del trasferimento.

 

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Con motivazione logica e congrua la Corte lombarda rileva che il (OMISSIS) si e’ adoperato immediatamente e con molto impegno prima nel consultare il collega neurologo e poi al fine di trasferire la paziente presso un idoneo reparto di malattie infettive, ma, a fronte delle difficolta’ nel reperire un altro nosocomio disponibile, e proprio perche’ l’attesa diventava sempre piu’ lunga, avrebbe dovuto somministrare subito la terapia ed attuare quegli interventi “urgenti e salvavita” previsti dal protocollo dell’Ospedale
Egli invece e’ restato inerte per quasi tre ore sul piano terapeutico, ha omesso qualunque attivita’ doverosa, pertanto violando il protocollo che, come si e’ detto, prioritariamente prescriveva di intervenire con trattamento antibiotico. E, al fine di evitare che l’antibiotico falsasse l’esame del liquor, avrebbe potuto, prima di iniziare la terapia antibiotica, prelevare un campione del liquor stesso e inviarlo all’Ospedale (OMISSIS) al seguito della paziente, per le analisi del caso.
E vero che (OMISSIS) sin dalle 20.13 contatto’ il neurologo, il quale consigliava il trasferimento della paziente e solo successivamente, ritiene la Corte territoriale a differenza del giudice di primo grado, verso le ore 22.30, ebbe a prescrivere la terapia antibiotica, ma cio’ non esclude la responsabilita’ del primo, che era in prima persona tenuto al rispetto del protocollo.
Corretto e’ il rilievo che, a prescindere dalla mancanza di direttive da parte dello specialista, (OMISSIS) avrebbe dovuto conoscere e seguire pedissequamente il protocollo cosi’ come quello che alcun pregio abbia la circostanza che la sua specializzazione fosse la cardiologia e non la neurologia, dovendo egli essere a conoscenza delle linee guida e dei protocolli di pronto soccorso vigenti nell’ospedale ove prestava servizio non come cardiologo, ma, appunto, come medico di pronto soccorso.
4. Il ricorso del (OMISSIS) ripropone come principale argomento difensivo un tema gia’ affrontato, negli anni, da questa Corte di legittimita’, che e’ quello dell’affidamento in ipotesi di cooperazione multidisciplinare.
Il tema e’: doveva e poteva il medico del pronto soccorso che aveva chiesto la consulenza specialistica al collega attivarsi motu proprio rispetto ad indicazioni terapeutiche che non gli erano state fornite- Doveva conoscere comunque le linee guida che gli imponevano la somministrazione, quanto prima, della terapia antibiotica- Sussiste la responsabilita’ del medico che ha chiesto il consulto anche se concorre quella del collega che il consulto gli ha fornito-
La risposta, a tutti i quesiti di cui sopra, e’ di segno positivo.

 

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Costituisce, infatti, ius receptum di questa Corte di legittimita’ che, in tema di colpa professionale medica, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidiscipli-nare, ancorche’ non svolta contestualmente, ogni sanitario – compreso il personale paramedico – e’ tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attivita’ verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiche’ la sua responsabilita’ persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalita’ ed imprevedibilita’ (cosi’ questa Sez. 4, n. 30991 del 6/02/2015, Pioppo ed altri, Rv. 264315 che, in applicazione del principio, ha confermato la sentenza di condanna nei confronti degli infermieri e dell’anestesista per le lesioni occorse alla vittima, la quale, in attesa di essere sottoposta ad intervento chirurgico, era stata posizionata sul lettino operatorio ed era stata girata sul lato, senza tuttavia essere legata, ed in tale posizione le era stata somministrata l’anestesia, a causa della quale, sopravvenuto lo stato di incoscienza, era caduta dal letto; conf. Sez. 4, n. 53315 del 18/10/2016, Paita e altri, Rv. 269678; Sez. 4, n. 50038 del 10/10/2017, De Fina e altri, Rv. 271521; Sez. 4, n. 53453 del 15/11/2018, Di Marco, Rv. 274499).
Ne consegue che ogni sanitario non puo’ esimersi dal conoscere e valutare l’attivita’ precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.
Ne’ puo’ invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiche’ allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilita’ anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalita’ ed imprevedibilita’, cio’ che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l’abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilita’ al precedente garante della scelta operata (Sez. 4, n. 46824 del 26/10/2011, Castellano e altro, Rv. 252140).

 

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Ne’ vale ad esimere da responsabilita’ la circostanza che il collega sia piu’ anziano, avendo questa Corte di legittimita’ in piu’ occasioni escluso che possa invocare esonero da responsabilita’ il medico che si sia fidato acriticamente della scelta del collega piu’ anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneita’, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla (cosi’ questa Sez. 4, n. 39727 del 12/6/2019, Perugino, Rv. 277508 che ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilita’ dell’aiuto chirurgo, componente dell’equipe medica che aveva provveduto all’esecuzione di un parto cesareo nel corso del quale si erano manifestate evidenti situazioni critiche interne, per non avere dissentito dall’operato del primario e non averlo indirizzato alla immediata isterectomia, che avrebbe impedito il verificarsi della successiva emorragia, causa della morte della partoriente; conf. Sez. 4, n. 7667 del 13/12/2017 dep. 2018, Capodiferro ed altri, Rv. 272264 che ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilita’ del medico – ginecologo per il decesso di una paziente a seguito di emorragia conseguente a intervento di parto cesareo, per aver omesso di valutare e contrastare, nonostante la assoluta gravita’ delle condizioni in cui versava la persona offesa, la decisione del collega piu’ anziano di non procedere ad intervento di isterectomia).
5. Infondati sono anche i profili di doglianza proposti dal (OMISSIS) in punto di contestazione della propria colpa.
Non si presta a censure di legittimita’ sul punto, infatti, la sentenza impugnata laddove, con motivazione logica e congrua, ritiene di ascrivere anche al (OMISSIS) la colpa della tardata somministrazione della terapia antibiotica.
Rilevano i giudici del gravame del merito che il (OMISSIS), chiamato per un consulto, concludeva la visita neurologica alle ore 20.13 diagnosticando una sospetta meningite e – come risulta dal verbale di dimissioni dal (OMISSIS) sottoscritto da (OMISSIS) e dalla certificazione del (OMISSIS) in ordine alla visita effettuata a quell’ora – consigliava di inviare la paziente presso un nosocomio avente un reparto di malattie infettive, per sospetta meningite, non aggiungendo nient’altro. La prescrizione della terapia antibiotica si rileva nella annotazione riguardante un “contatto” con il (OMISSIS) delle ore 22.30 (“contattato il neurologo reperibile che consiglia di eseguire una emocoltura e succcessiva tp antibiotica con Rocefin 4gr, Dmplital 4gr e Decadron 8 mg “).
Proprio alla luce di tali risultanze, logico appare che la Corte territoriale abbia ritenuto credibile quanto sostenuto da (OMISSIS), e cioe’ che la prescrizione della terapia sia avvenuta solo alle ore 22.30. Se veramente il (OMISSIS) avesse prescritto la terapia alle 20.13 – ci si domanda nella sentenza impugnata – perche’ non segnarla in cartella- Il fatto che la nota di dimissioni riporti l’avvenuta prescrizione solo alle 22.30, in assenza di prova contraria, porta a ritenere che la terapia sia stata effettivamente prescritta solo a quell’ora. Ma logico e’ anche il rilievo che, anche a voler dar credito alla tesi difensiva che egli l’avesse indicata oralmente sin dalle 20,13, egli avrebbe dovuto accertare, nel contatto delle 22,30, che nel frattempo la terapia fosse stata correttamente effettuata dal collega.
A differenza di quanto affermato dal giudice di primo grado, quello di appello evidenzia correttamente che compito del (OMISSIS) non era solo quello di visitare la paziente e di formulare una corretta diagnosi, ma anche di prescrivere la terapia, interessarsi della vicenda, somministrare i farmaci salvifici personalmente o controllare che altri lo facessero: tutti adempimenti da lui omessi. Come si evince dagli atti, infatti, il neurologo si e’ limitato ad effettuare la diagnosi, senza poi prescrivere la doverosa terapia. Quindi la condotta dello specialista non puo’ ritenersi diligente e perita.

 

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Pertinente e’ il richiamo che la Corte territoriale opera alla giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ (Sez. 4, n. 24068 del 15/2/2018, Voccia ed altri, Rv. 272958) secondo cui, con riguardo alla posizione di garanzia del medico che sia stato interpellato anche solo per un semplice consulto specialistico e che accerti l’esistenza di una patologia ad elevato ed immediato rischio di aggravamento, ha l’obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad evitare eventi dannosi ovvero, in caso d’impossibilita’ di intervento, e’ tenuto ad adoperarsi facendo ricoverare il paziente in un reparto specialistico, portando a conoscenza dei medici specialistici la gravita’ e urgenza del caso ovvero, nel caso di indisponibilita’ di posti letto nel reparto specialistico, richiedendo che l’assistenza specializzata venga prestata nel reparto dove il paziente si trova ricoverato specie laddove questo reparto non sia idoneo ad affrontare la patologia riscontrata con la necessaria perizia professionale (cfr. anche Sez. 4, n. 4827 del 11/12/2002, dep. 2003, Perilli Rv. 224178 in un caso relativo ad un chirurgo vascolare che, richiesto di un consulto dal sanitario del pronto soccorso, dopo aver diagnosticato un sospetto aneurisma dell’aorta addominale retropancreatica, aveva omesso l’immediato ricovero nel reparto, gli immediati approfondimenti diagnostici, il ricovero nel reparto di chirurgia vascolare, l’immediato intervento chirurgico o, comunque, la segnalazione dell’immediata necessita’ dello stesso).
Cio’ in quanto il medico che all’interno di una struttura sanitaria ospedaliera, venga chiamato per un consulto specialistico, ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, non potendo esimersi da responsabilita’ adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione (cosi’ Sez. 4, n. 3365 del 18/12/2009 dep. 2010, Leone ed altro, Rv. 246500 in relazione ad un caso di omicidio colposo, in cui due anestesisti chiamati ad intervenire per la presenza di una epiglottide, dopo aver visitato la paziente, richiedevano l’intervento dell’otorino e si allentavano dal reparto, omettendo di intubare la paziente per prevenire il rischio di completa ostruzione delle vie respiratorie).

 

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Va ricordato, peraltro, in linea generale che in tema di colpa professionale, una volta che un paziente si presenti presso una struttura medica chiedendo la erogazione di una prestazione professionale, il medico, in virtu’ del “contatto sociale”, assume una posizione di garanzia della tutela della sua salute ed anche se non puo’ erogare la prestazione richiesta deve fare tutto cio’ che e’ nelle sue capacita’ per la salvaguardia dell’integrita’ del paziente (cfr. Sez. 4, n. 13547 del 2/12/2011 dep. 2012, Ferrari ed altri, Rv. 253293 che, in applicazione del principio ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha, in riforma della sentenza di primo grado, condannato agli effetti civili, il medico in servizio presso una clinica odontostomatologica, il quale si era limitato ad invitare il paziente a recarsi in ospedale senza assicurarsi che i medici di destinazione fossero informati in modo preciso della gravita’ della situazione con il supporto di adeguata documentazione medica relativa alla diagnosi della patologia).
6. Entrambi gli imputati pongono, invece, fondatamente, il tema della carenza motivazionale in punto di nesso di causalita’ tra la condotta colposa loro contestata e l’ipoacusia manifestata dalla persona offesa.
Il perimetro dell’accusa e della decisione e’ rappresentato dall’imputazione, perche’ e’ in relazione a quella che gli imputati hanno potuto difendersi.
E l’imputazione (che i giudici di appello hanno ritenuto di non trascrivere nella loro interezza, ma c’e’ in quella di primo grado) fa riferimento al “deficit uditivo quale conseguenza della meningite pneumococcica, malattia non prontamente diagnosticata (…) e non correttamente curata (…) con l’indebolimento permanente di un senso”.
Ebbene, tema centrale dell’odierna decisione e’ quello di individuare il rapporto tra le condotte colpose del (OMISSIS) e del (OMISSIS), delle quali, come visto in precedenza, i giudici del merito hanno fornito adeguata e logica motivazione e l’evento lesivo contestato in imputazione, ovvero l’ipoacusia.
I principi cui ispirare tale verifica sono quelli enucleabili dalla nota sentenza delle Sezioni Unite Franzese (Sez. Un. 30328 del 10/7/2002, Franzese, Rv. 222139) che possono cosi’ riassumersi: 1. il nesso causale puo’ essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditivi dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensita’ lesiva; 2. non e’ consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilita’ espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiche’ il giudice deve verificarne la validita’ nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosi’ che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresi’ escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva e’ stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilita’ razionale” o “probabilita’ logica”; 3. l’insufficienza, la contraddittorieta’ e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio; 4. alla Corte di Cassazione, quale giudice di legittimita’, e’ assegnato il compito di controllare retrospettivamente la razionalita’ delle argomentazioni giustificative – la cd. giustificazione esterna -della decisione, inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensi’ il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell’ipotesi sullo specifico fatto da provare.
Le Sezioni Unite Franzese hanno ripudiato, dunque, qualsiasi interpretazione che faccia leva, ai fini della individuazione del nesso causale quale elemento costitutivo del reato, esclusivamente o prevalentemente su dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica.

 

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Ebbene, la sentenza oggi impugnata non supera il vaglio di legittimita’ perche’, tradendo evidentemente il retropensiero della difficolta’ di provare che l’ipoacusia sia dipesa dalle due ore di ritardo nella somministrazione dell’antibiotico da parte dei due odierni ricorrenti, allarga illegittimamente il campo dell’evento affermando: “Occorre anzitutto precisare che l’evento rispetto al quale accertare il nesso causale e’ costituito non solo dalla ipoacusia, conseguenza permanente che la meningite ha lasciato sulla (OMISSIS), ma anche dalla malattia patita dalla stessa, la quale ha subito un lungo periodo di coma e poi di riabilitazione. L’evento concreto e’ dunque la malattia cosi’ come hic et nunc verificatasi, nella sua complessiva manifestazione. nella sua dimensione temporale e nei postumi. Il dibattimento ha dimostrato con certezza il rilievo eziologico della condotta colposa del (OMISSIS) rispetto all’evento. Tutti i consulenti tecnici hanno infatti sostenuto che, secondo elevati coefficienti probabilistici, “prima vengono somministrati gli antibiotici, migliore e’ il decorso della malattia, piu’ tardi vengono somministrati, peggiore e’ il decorso”. Il Protocollo dell’Ospedale (OMISSIS) precisa che “si e’ evidenziata in diversi studi retrospettivi una differenza significativa quando la terapia e’ stata instaurata dai medici di famiglia o dalla prima urgenza”. Nel caso specifico, pur non potendo quantificare esattamente il miglioramento che la somministrazione degli antibiotici avrebbe consentito, i consulenti hanno comunque dichiarato che un miglioramento vi sarebbe stato, poiche’ gli antibiotici avrebbero agito prima sull’infezione, riducendo non solo la virulenza della stessa, ma anche il periodo complessivo di ricovero della paziente, la quale ha riportato come conseguenza permanente una ipoacusia” (cosi’ pagg. 8-9 della sentenza impugnata).
La Corte territoriale, dunque, “cambia le carte in tavola”. Ma questo non e’ possibile perche’ gli imputati sono stati chiamati a difendersi rispetto alla possibilita’ che, in ragione della loro condotta omissiva, sia derivata alla (OMISSIS) l’ipoacusia.
Ed invece i giudici del gravame del merito, con una motivazione che peraltro non pare fare buon governo dei principi sanciti dalle SSUU Franzese del 2002 e da tutta la giurisprudenza di questa Corte successiva, pongono l’accento sui “miglioramenti” che ci sarebbero stati e sul miglior decorso della malattia se vi fosse stata una somministrazione degli antibiotici sin dalla prima visita del (OMISSIS), alle 20.13.
Ancora, a pag. 12 della sentenza impugnata si legge che il (OMISSIS) e il (OMISSIS) “hanno partecipato alla medesima catena causale e per entrambi la condotta alternativa lecita sarebbe stata la stessa: adeguarsi tempestivamente al protocollo e alle linee guida della scienza medica e somministrare la terapia prescritta: cio’ avrebbe modificato in melius il decorso della patologia” e che “un trattamento tempestivo avrebbe innescato un decorso causale diverso e portato alla verificazione di un evento-malattia piu’ lieve rispetto a quello concretamente verificatosi, con minori sofferenze per la paziente”.

 

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Del tutto apodittica, invece, e’ la successiva affermazione che “a causa delle manchevolezze dei due sanitari del (OMISSIS), invece, la malattia ha assunto un quid pluris di gravita’ modale e temporale e ha determinato l’indebolimento permanente dell’organo dell’udito della (OMISSIS) – o l’aggravamento dello stesso – oltre a sofferenze fisiche e psichiche”.
Il giudice del rinvio, pertanto, dovra’ rivalutare il tema del nesso eziologico tra le condotte colpose loro imputate e l’evento loro imputato, riportandolo a quello di cui all’imputazione, ovvero alla ipoacusia che avrebbe cagionato l’indebolimento permanente dell’udito della (OMISSIS).
E naturalmente non potra’ eludere il tema del perche’ ritiene che l’ipoacusia sia da mettere in relazione al ritardo terapeutico del primo ospedale e non a quello del secondo, dove pure la somministrazione dell’antibiotico e’ cominciata alcune ore dopo l’arrivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimita’.

 

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