Clausola di recesso e patto di non concorrenza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|1 settembre 2021| n. 23723.

Clausola di recesso e patto di non concorrenza.

La clausola che consente al datore di lavoro di recedere unilateralmente dal patto di non concorrenza è nulla per contrasto con norme imperative. A tal proposito, non rileva il fatto che il recesso sia intervenuto in costanza di rapporto di lavoro, poiché gli obblighi delle parti si sono cristallizzati al momento della sottoscrizione del patto.

Ordinanza|1 settembre 2021| n. 23723. Clausola di recesso e patto di non concorrenza

Data udienza 25 novembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Lavoro – Patto di non concorrenza – Pagamento somme – Presupposti – Articoli 1344 e 1373 cc – Criteri – Articolo 2125 cc – Difetto di motivazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 11046-2017 proposto da:
(OMISSIS), domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 936/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28/10/2016 R.G.N. 446/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. CINQUE GUGLIELMO.

Clausola di recesso e patto di non concorrenza

RILEVATO IN FATTO

CHE:
1. Con la sentenza n. 936 del 2016 la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Reggio Emilia il 7.4.2015 con la quale era stata respinta la domanda proposta da (OMISSIS), nei confronti di (OMISSIS) spa di cui era stata dipendente dal 3.4.2000 fino al 31.3.2011 allorquando era stata dimessa, diretta ad ottenere la somma di Euro 40.246,31 quale compenso dovuto per la clausola del patto di non concorrenza per i due anni successivi alla cessazione del rapporto, pattuita al momento della assunzione.
2. La Corte di merito ha rilevato, sul presupposto del chiaro tenore letterale della clausola in oggetto, che il patto de quo era sottoposto ad una condizione potestativa a favore di parte datoriale, che si era riservata, al momento della risoluzione del rapporto, di decidere se avvalersene o meno e che una siffatta clausola era stata ritenuta nulla, per contrasto con norme imperative, in sede di legittimita’. Tuttavia, la Corte territoriale ha sottolineato che, nella fattispecie, il contrasto con le norme imperative non era ravvisabile perche’ il datore di lavoro aveva esercitato il diritto di recesso ben sei anni prima della risoluzione del rapporto di lavoro per cui la lavoratrice non aveva subito alcun sacrificio, in relazione alla facolta’ di riorganizzare il proprio futuro lavorativo e da indennizzare con la indennita’ pretesa.
3. Avverso la decisione di seconde cure ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso (OMISSIS) spa.
4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
5. Le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:
1. I motivi possono essere cosi’ sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2125 c.c., dell’articolo 1344 c.c., dell’articolo 1373 c.c., in ordine alla nullita’ della clausola di recesso unilaterale, nonche’ all’illegittimita’ del recesso intimatole da (OMISSIS) spa. Deduce, in particolare, l’erroneita’ in punto di riconosciuta validita’ del recesso unilaterale dal patto di non concorrenza operato dal datore di lavoro in corso di rapporto di lavoro, in palese contrasto e difformita’ dai principi normativi imperativi, anche univocamente richiamati nella giurisprudenza della Suprema Corte di legittimita’.
3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione nonche’ falsa applicazione dell’articolo 1373 c.c., comma 3, dell’articolo 1362 c.c., dell’articolo 2125 c.c., circa l’illegittimita’ del recesso intimato in corso di rapporto di lavoro. Si sostiene l’erroneita’ della sentenza in punto di riconosciuta validita’ del recesso unilaterale del patto di non concorrenza operato dal datore di lavoro in corso di rapporto di lavoro, mediante un improprio richiamato principio di diritto, anche contrastante con una diversa previsione contrattuale specifica ovvero con la prevista forma scritta ex lege.
4. Il ricorso e’ fondato e va accolto in parte qua.
5. I due motivi, per la loro interferenza, devono essere scrutinati congiuntamente e in relazione ad essi vanno richiamati i precedenti di questa Corte di legittimita’ pronunciati in analoghe vicende (Cass. n. 10536 del 2020; Cass. n. 10535 del 2020; Cass. n. 3 del 2018), cui questo Collegio ritiene di dare seguito.
6. Invero, e’ stato affermato che la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative; inoltre, e’ stato altresi’ precisato, sempre con la richiamata giurisprudenza di legittimita’, che il fatto che, nella fattispecie, il recesso del patto di non concorrenza sia avvenuto in costanza di rapporto di lavoro non rileva, poiche’ i rispettivi obblighi si sono cristallizzati al momento della sottoscrizione del patto, il che impediva al lavoratore di progettare per questa parte il proprio futuro lavorativo e comprimeva la sua liberta’; ma detta compressione, appunto ai sensi dell’articolo 2125 c.c., non poteva avvenire senza l’obbligo di un corrispettivo da parte del datore: corrispettivo che, nella specie, finerebbe per essere escluso ove al datore stesso venisse concesso di liberarsi ex post dal vincolo (cfr. Cass. n. 3 del 2018).
7. Tali argomentazioni rendono, conseguentemente, non condivisibile l’assunto della Corte territoriale secondo cui, la circostanza che il recesso fosse avvenuto in costanza di rapporto di lavoro, addirittura diversi anni prima (oltre sei) dallo scioglimento dello stesso, non concretizzava alcuna compressione della liberta’ del lavoratore di progettare il proprio futuro lavorativo.
8. Pertanto, premesso che l’obbligazione di non concorrenza a carico del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto sorge, nella fattispecie, sin dall’inizio del rapporto di lavoro (Cass. n. 8715 del 2017), tamquam non esset va considerata la successiva rinuncia al patto stesso appunto perche’, mediante questa, si finisce per esercitare la clausola nulla, tramite cui la parte datoriale unilateralmente riteneva di potersi sciogliere dal patto, facendo cessare ex post gli effetti, invero gia’ operativi, del patto stesso, in virtu’ di una condizione risolutiva affidata in effetti a mera discrezionalita’ di una sola parte contrattuale (Cass. n. 3 del 2018).
9. La trattazione di ogni altra doglianza resta assorbita.
10. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere accolto in parte qua, con la cassazione della gravata sentenza e il rinvio alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che procedera’ ad un nuovo esame attenendosi ai principi di legittimita’ sopra esposti e provvedera’, altresi’, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso in parte qua; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

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